Aggiornamento 12-ago-2025
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IL NEGOZIATO MULTILATERALE PER LA LOTTA AL CAMBIAMENTO CLIMATICO a cura del Comitato scientifico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile
2025, COP 30_1. NEL DECENNALE DI PARIGI PREVALGONO PREOCCUPAZIONI E Scoraggiamento Elementi di uno studio mediante l'AI Gemini su un database di Carbonbrief Ad un decennio dall'Accordo di Parigi, è cresciuto il malcontento per il processo climatico dell'ONU. I critici affermano che i colloqui non stanno facendo abbastanza per accelerare la riduzione delle emissioni, affrontare i combustibili fossili o raccogliere fondi per il clima per i paesi in via di sviluppo. Figure influenti nella politica climatica e nei gruppi della società civile affermano che le COP hanno bisogno di una revisione urgente. Questo è stato riconosciuto dalla presidenza brasiliana della COP30, che ha preso atto delle crescenti richieste di cambiamento e ha chiesto alle parti di riflettere sul futuro del processo stesso in un contesto di preoccupazioni per la crisi del multilateralismo, conflitti diffusi e l'escalation dei pericoli climatici. Proponiamo di seguito una raccolta delle opinioni più autorevoli sulle tematiche critiche. L'Accordo di Parigi è stato un successo? Parigi ha funzionato bene per alcuni aspetti (Stern), incluso il rafforzamento dei suoi obiettivi di temperatura ed emissioni alla luce dell'evoluzione scientifica. Ha anche portato a un primo bilancio globale che ha richiesto di triplicare l'energia rinnovabile e raddoppiare l'efficienza energetica entro il 2030 e di abbandonare i combustibili fossili al fine di raggiungere emissioni nette zero entro il 2050. Parigi rimane uno degli sforzi multilaterali di maggior successo nella storia recente. Ha realizzato ciò che pochi pensavano possibile: un accordo tra quasi 200 paesi su una questione globale che va al cuore della sovranità nazionale, dei modelli economici e della politica interna. Le ultime COP hanno trovato un accordo per la transizione dai combustibili fossili – non è un'impresa da poco. Prima di Parigi, il mondo era sulla buona strada per un catastrofico riscaldamento di 4-5 °C. Gli impegni di oggi, sebbene ancora inadeguati, hanno piegato quella curva più vicino a 2,5-3 °C, ancora poco, ma significativo. Piuttosto che soffermarsi sulle imperfezioni del sistema, la questione è se possa evolvere, realisticamente e politicamente. Smantellare il sistema attuale è improbabile che produca un sistema più forte o più equo con l'autorità di annullare le decisioni nazionali. All'indomani di ogni COP, ci sono appelli per riformare la Convenzione, ma dovremmo puntare a un'evoluzione, non a una rivoluzione, per tre ragioni. In primo luogo, una rivoluzione quasi certamente non si tradurrebbe in qualcosa di più forte di quello che abbiamo già. È difficile immaginare che sarebbe possibile adottare l'Accordo di Parigi nell'attuale contesto geopolitico ed economico. In secondo luogo, l'Accordo di Parigi sta funzionando, anche se non abbastanza velocemente. In terzo luogo, e soprattutto, le maggiori barriere al fal rispetto dell'Accordo di Parigi sono le carenze nella politica globale. Nessuna modifica del processo delle COP può superarle.
emissione globali di CO2 Come potrebbero essere migliorati i negoziati stessi? È tempo di riconoscere pienamente che c'è una crisi di fiducia nel processo climatico dell'ONU e di prendere misure appropriate per limitarla. Le parti diffidano tra loro e gli stakeholder sono frustrati dei risultati limitati dopo 30 anni di colloqui sul clima. Il processo di negoziazione può essere frustrante, rimane però essenziale. Converrebbe rendere il carico di lavoro più gestibile, raggruppando gli argomenti all'ordine del giorno e organizzando il lavoro su base pluriennale cercando di dare abbastanza tempo a ogni punto, piuttosto che affrontare tutto insieme ogni volta, e sviluppare la consapevolezza che non ogni punto ha bisogno di un risultato ad ogni riunione. Potremmo... snellire gli ordini del giorno ripetitivi e sovraccarichi, ed elevare la responsabilità dei presidenti della COP attraverso un giuramento pubblico, potenzialmente amministrato dal bureau dell'UNFCCC, che ricordi alla presidenza della COP il suo ruolo (Figueres).Molte delle inefficienze percepite non sono difetti in quanto tali, ma sono inerenti a un processo globale in cui tutte le nazioni sono sovrane e uguali – e tutti vogliono dire la loro. Sono anche inerenti alla questione stessa del cambiamento climatico, che genera un'agenda in continua espansione, attirando sempre più partecipanti del governo e della società civile. Le mosse per ristrutturare i negoziati si scontrano inevitabilmente con forze potenti che sanno come massimizzare la loro influenza nel sistema esistente e preferiscono di gran lunga lo status quo. Le COP dovrebbero evitare negoziati affrettati a porte chiuse senza consultazioni delle parti, che rendono impossibile l'attuazione. Quando il testo della bozza appare all'undicesima ora e viene inoltrato alla plenaria di chiusura senza una discussione adeguata, le possibilità che le parti si ingannino a vicenda sul reale significato del testo si moltiplicano. Un linguaggio come "transizione dai combustibili fossili" o il percorso verso la "Tabella di marcia da Baku a Belém per 1,3 trilioni di dollari", dove la formulazione non è chiara, consente alle parti di scegliere l'interpretazione più favorevole, minando l'attuazione di decisioni che erano già difficili da raggiungere. Snellire gli ordini del giorno e limitare le dimensioni delle delegazioni governative sono cose per cui vale la pena lottare, ma imporre criteri per la selezione dei paesi ospitanti delle COP e escludere le aziende private coinvolte in attività ad alta intensità di carbonio non è possibile (Depledge). Se il vero problema è che la COP non sta prendendo decisioni in linea con la scienza, allora la risposta non è armeggiare con la procedura. Ciò che serve è un ripensamento strategico importante e riforme più fondamentali. Il processo deve cambiare (Singh), snellire i negoziati, rivedere le regole del consenso e vietare ai lobbisti dei combustibili fossili di influenzare i testi. Porre al centro le voci dei popoli indigeni, delle comunità in prima linea e della società civile. E aumentare i finanziamenti pubblici per il clima per consentire una transizione giusta e un vero sostegno per l'adattamento e l'affrontare le perdite e i danni. Il recente parere consultivo della Corte internazionale di giustizia ha rafforzato la richiesta di risarcimenti climatici. La COP30 deve aprire una nuova era di responsabilità e giustizia. I colloqui sul clima dell'ONU possono guidare tagli più rapidi alle emissioni? L'UNFCCC è efficace solo nella misura in cui le parti lo consentono. L'Accordo di Parigi sta funzionando esattamente come alcuni temevano e come alcuni dei principali paesi emettitori speravano. Si basa sulla promessa di trasparenza: che i rapporti nazionali e il bilancio globale, in qualche modo ispireranno l'ambizione climatica. Ma la trasparenza non è la stessa cosa della responsabilità. Il regime di Parigi stesso ha un ruolo importante da svolgere. Per cominciare (Stern), il regime deve sviluppare molto di più una partnership ampia nello spirito della Coalizione ad alta ambizione del 2015. Certo, Parigi è stata costruita sul principio dei "contributi determinati a livello nazionale" e quel principio non può essere buttato a mare. Ma Parigi è stata anche costruita sulla promessa che si sarebbe sforzati di prevenire un pericoloso cambiamento climatico, che i nuovi obiettivi di emissione ogni cinque anni avrebbero riflesso la massima ambizione possibile dei paesi e che i bilanci globali avrebbero, di fatto, fatto il punto della situazione. La natura determinata a livello nazionale degli NDC e il fatto che nessuna valutazione dei progressi venga formalmente fatta al di fuori del periodo di cinque anni del bilancio globale, significa che il divario di ambizione diventerà più difficile da colmare quanto più urgente diventerà colmarlo. L'ironia è che l'architettura di Parigi è stata fatta su misura per accogliere le idiosincrasie degli Stati Uniti, che si sono ripetutamente ritirati dall'accordo. Un approccio basato sull'ambizione comporta estrarre dichiarazioni nazionali di intenzione di riduzione delle emissioni, sfruttando la denuncia pubblica dei paesi e rafforzando gli impegni attraverso una maggiore responsabilità. Ma le condizioni non sono favorevoli a questo approccio. La politica nazionale raramente privilegia la riduzione delle emissioni rispetto ad altri obiettivi e la politica globale è sempre meno reattiva allo shame climatico. Al contrario, le condizioni per un approccio di apprendimento attraverso l'azione sembrano più promettenti. Non c'è nulla negli NDC che dica che i paesi non possono essere interrogati, spronati e criticati (Stern). Proteggere i permalosi non è così importante quanto proteggere un mondo abitabile. Gli NDC potrebbero essere liberati per essere modelli di sperimentazione piuttosto che basi rigide solo per la responsabilità (Dubash). Percorsi dettagliati di sviluppo a basse emissioni di carbonio a livello settoriale metterebbero in evidenza le comunanze dei paesi, rivelerebbero un ambito produttivo per la cooperazione internazionale e incentivarebbero i finanziamenti... Un processo internazionale rinnovato dovrebbe essere focalizzato sul lavoro duro e dettagliato per consentire transizioni di sviluppo a basse emissioni di carbonio e resilienti e meno sulle di dichiarazioni di intenti. Dovremmo passare a un approccio in cui i progressi sono misurati prevalentemente dall'impatto delle politiche attuate a livello nazionale, non dagli NDC sulla carta. Come possono le COP garantire una maggiore responsabilità? L'opportunità più grande per sostenere l'implementazione si trova al di fuori del processo formale, mettendo ordine e struttura nell'”agenda d'azione. Questa agenda è cresciuta enormemente negli ultimi anni e ci sono state molte iniziative preziose. Tuttavia, non c'è stata sufficiente continuità e non sono stati fatti abbastanza follow-up e monitoraggi per garantire che ciò che viene annunciato e promesso venga poi realizzato. Interessante la proposta della presidenza brasiliana entrante della COP30 di strutturare l'agenda d'azione attorno a sei ampi temi, tratti dai risultati del bilancio globale, incluso un tema trasversale sugli elementi abilitanti, come il ruolo vitale della finanza. All'interno dei negoziati, c'è un'evidente necessità di monitorare i numerosi impegni presi al di fuori del processo di negoziazione regolare, sia nelle dichiarazioni guidate dalla presidenza che nelle decisioni di copertura (Allan). Ciò che deve cambiare è il funzionamento del sistema. Ogni dieci anni circa, il regime climatico si è adattato, passando dal legalismo top-down di Kyoto alla flessibilità determinata a livello nazionale di Parigi (Lee). Questi cambiamenti non sono stati solo filosofici, ma hanno anche permesso nuove capacità. Il crollo di Copenaghen ha contribuito a catalizzare i piani di investimento nelle energie rinnovabili, mentre Parigi ha introdotto i NDC. La prossima fase deve integrare più a fondo nel processo la realizzazione e l'equità, includendo, per esempio, meccanismi che allineino i piani di transizione aziendale con la transizione dei paesi, le politiche nazionali e i percorsi settoriali. I risultati di qualsiasi processo di riforma dovrebbero significare meno teatralità, decisioni più rapide e una maggiore responsabilità. Tutto ciò migliorerebbe non solo il coinvolgimento dei paesi ma anche quello del pubblico, così come la credibilità del processo climatico globale. Invece di catalizzare l'ambizione, l'Accordo di Parigi è stato utilizzato dai paesi sviluppati per sottrarsi alle loro responsabilità storiche (Singh). Non sono l'Accordo di Parigi o l'UNFCCC ad aver fallito, sono i paesi ricchi che hanno minato il sistema per proteggere gli inquinatori e preservare un modello di crescita insostenibile. Le nazioni ricche devono essere ritenute responsabili per le loro emissioni storiche e devono pagare per le perdite e i danni che hanno causato. Ambizione e implementazione non sono necessariamente complementari. La prima è guidata da una concentrazione incessante sulle emissioni, sulla comparabilità degli impegni di emissione e sulla costruzione della responsabilità. La seconda è resa possibile collegando il clima ad altri obiettivi, cercando formulazioni specifiche per i paesi che ottengano sostegno politico e una sperimentazione flessibile che consenta di imparare dal fallimento. Scendere di più, non di meno, nei dettagli settoriali potrebbe rivelare opportunità non evidenti dalle altezze stratosferiche dei negoziati sul clima. L’altro punto è che rafforzare l'applicazione degli obiettivi climatici attraverso la supervisione scientifica, la revisione tra pari (peer review) e una rendicontazione solida, garantendo che governi, presidenze delle COP e aziende siano ritenuti responsabili (Club di Roma). Dovrebbe esserci un organo consultivo scientifico permanente all'interno della COP. La scienza deve essere centrale nei negoziati, con tutte le delegazioni regolarmente informate sugli ultimi dati relativi a rischi, equità, soluzioni e scenari. I colloqui sul clima delle Nazioni Unite hanno bisogno del voto a maggioranza? Il voto è l'argomento tabù. I Paesi firmatari dell'UNFCCC non sono mai stati in grado di adottare le regole di procedura perché non riescono a trovare un accordo sulla disposizione relativa al voto in assenza di consenso. Invece, procedono riunione dopo riunione usando le regole come bozze di regole di procedura. Ciò ha creato una corsa al ribasso in cui i paesi che vogliono ostacolare i progressi possono farlo. Per 29 anni, gli altri Paesi hanno dovuto accettare il minimo comune denominatore in nome del consenso. La decisione presa nel 2023 di abbandonare gradualmente i combustibili fossili ha bisogno sia di essere dettagliata che di essere monitorata, ma non è presente da nessuna parte nei negoziati formali in vista di Belém. Tali omissioni riflettono un problema fondamentale dell'UNFCCC e un difetto fondamentale dell'Accordo di Parigi: la regola del consenso. Alcuni paesi stanno ora sfacciatamente facendo marcia indietro sul loro precedente impegno e affermano che qualsiasi menzione di riduzione dei combustibili fossili in qualsiasi contesto è per loro una linea rossa. Una manciata di paesi tiene in ostaggio il futuro dell'umanità perché, a causa della regola del consenso, può bloccare tutto ciò che vuole. Anche le presidenze delle COP che vogliono far progredire l'agenda hanno paura di essere audaci, per timore che il processo si paralizzi. Nel contesto dei negoziati formali, potremmo riconsiderare la nostra tradizione di dover adottare tutte le decisioni all'unanimità. Le procedure dell'UNFCCC richiedono il consenso per l'adozione delle decisioni, non necessariamente l'unanimità. La differenza è importante e, certo, difficile da gestire, ma vale la pena esaminarla (Figueres). Negli ultimi mesi, molti critici hanno dichiarato la crisi il processo climatico multilaterale delle Nazioni Unite rotto, sostenendo che dovrebbe essere smantellato e sostituito, ma non ci sono alternative valide sul tavolo. Riformare le procedure di base, come introdurre il voto a maggioranza o modificare la convenzione, richiederebbe l'accordo di tre quarti dei paesi, seguito dalla ratifica nazionale. Anche senza l'attuale geopolitica fratturata, questo sarebbe un compito arduo. Quale dovrebbe essere il ruolo della presidenza della COP? Le COP dovrebbero evitare di aggiungere ulteriore pressione chiarendo i doveri e i processi per il presidente della COP. Le regole di procedura danno semplicemente al presidente della COP il potere di condurre formalmente i negoziati, cosa che dovrebbe essere fatta in modo neutrale. Sempre più spesso, vediamo i presidenti della COP stabilire piani eccessivamente ambiziosi per le rispettive COP. Le idee di successo permeano quello che dovrebbe essere un ruolo di facilitazione verso il progresso collettivo dei colloqui sul clima delle Nazioni Unite. Le COP si concludono con dichiarazioni e resoconti di risultati che non riflettono i progressi effettivi. La revisione della conduzione dei negoziati e del ruolo e delle aspettative delle presidenze della COP potrebbe aiutare a ripristinare parte della fiducia danneggiata nel processo. L'agenda d'azione deve sfuggire al vizio che le mutevoli presidenze e i campioni di alto livello le hanno imposto, in cui i nuovi annunci prevalgono sulla realizzazione (Hale). Solo i paesi con un'elevata ambizione climatica dovrebbero essere idonei a ospitare le COP (Club di Roma). La presidenza della COP potrebbe mostrare una manciata di progetti di energia rinnovabile su larga scala nei propri paesi, sostenuti da finanziamenti concreti. Tale funzione aiuterebbe a colmare il divario sempre più ampio tra ciò che viene concordato alle COP e ciò che accade sul campo. Le aziende di combustibili fossili hanno troppa influenza? La sopravvivenza dell'industria dei combustibili fossili dipende dal fallimento dell'UNFCCC, poiché il raggiungimento degli obiettivi dell'UNFCCC e dell'Accordo di Parigi significa innegabilmente l'eliminazione graduale dei combustibili fossili. Non c'è quindi da meravigliarsi se, fin dall'inizio, i lobbisti dell'industria dei combustibili fossili siano stati presenti alle COP e abbiano lavorato per minare l'ambizione. Le presidenze hanno molto di cui rispondere e possono essere fondamentali per aumentare la responsabilità. La COP sta diventando la nuova Davos: un luogo d'incontro per miliardari, senza un controllo scrupoloso delle loro attività o dei loro annunci. Questo deve finire. Le presidenze dovrebbero revocare gli inviti ai CEO della Oil&Gas. I Paesi potrebbero adottare una politica sui conflitti di interesse per, quantomeno, rendere trasparente l'influenza dei lobbisti dei combustibili fossili ed escludere successivamente coloro che mirano a influenzare indebitamente il processo. I Paesi, compreso il team della presidenza, potrebbero rifiutare di dare loro i badge. Inoltre, potrebbero porre fine al greenwashing alle COP nella forma di sponsorizzazioni aziendali e padiglioni aziendali. e COP sono troppo grandi? Le COP sono al contempo troppo e troppo poco (Hale): anche le COP di maggior successo sono minuscole rispetto al problema. Il cambiamento climatico richiede l'azione di tutta la società. In questo sistema complesso, il processo UNFCCC svolge la funzione critica di fissare agende e obiettivi. Nessun altro organismo ha la legittimità multilaterale necessaria. I vertici sul clima potrebbero passare da un forum di discussione a una dimostrazione di leadership se gli inviti fossero estesi solo ai paesi che hanno presentato e mantenuto gli NDC più progressivi e li stanno attuando. Accanto a un'unica riunione di due settimane in un unico luogo, abbiamo bisogno di molte riunioni più piccole e mirate in molti luoghi. La buona notizia è che gli elementi di questo cambiamento sono già ben avviati, con sempre più città che ospitano settimane del clima. Le riunioni regionali con formati più flessibili raggiungono più persone, in modo più mirato, molto più a buon mercato ed efficiente di una COP. Le COP devono evolvere da forum incentrati sui negoziati a riunioni più frequenti, più piccole, incentrate sulle soluzioni, incentrate sui progressi e sull'attuazione, con un'ampia partecipazione degli stakeholder.Per altro verso gli eventi collaterali, delle attività dei padiglioni e dei panel delle COP hanno subito un deciso cambiamento, da un numero minore di eventi incentrati sulla negoziazione e l'attuazione a una vasta gamma di panel che mostrano nuove iniziative o azioni nazionali. Riguarda ciò che è nuovo, non il follow-up su ciò che è stato concordato. Gli spazi dei padiglioni potrebbero essere riservati a coloro che possono dimostrare che la loro presenza farà progredire l'azione per il clima. Come potrebbe essere migliorata la partecipazione alla COP? La società civile, i giovani, i popoli indigeni, le donne, le comunità locali e le persone con disabilità, tra gli altri, hanno sempre più affrontato uno spazio civico che si restringe nelle COP (Lennon). Devono lottare per far sentire la loro voce, per essere presenti nelle stanze in cui si prendono le decisioni, per l'accesso alle informazioni e al processo decisionale aperto e per riunirsi pacificamente. Le barriere strutturali... minano l'inclusività e la partecipazione equa alle riunioni, dal costo elevato degli alloggi, un problema gravissimo per la prossima COP 30, alle pratiche di visto discriminatorie e alla riduzione delle quote della società civile. Queste barriere devono essere smantellate per garantire che tutte le parti e gli stakeholder possano partecipare pienamente e su un piano di parità. Le parti dovrebbero incorporare e sostenere la partecipazione non solo alle COP, ma anche nell'azione per il clima e nelle decisioni sul campo. Possono farlo creando spazio in tutti i punti all'ordine del giorno per ascoltare i titolari dei diritti e garantendo che i diritti umani e lo spazio civico siano garantiti durante tutti i negoziati. Gli accordi di ospitalità devono garantire la libertà di parola, di riunione e di accessibilità, sostenuti da un organismo indipendente per affrontare le violazioni. In che modo le COP possono guidare il cambiamento al di fuori del processo ONU? La COP deve trasformarsi da un forum di negoziazione a una piattaforma di realizzazione, inclusione e responsabilità, ancorando l'azione per il clima alle realtà vissute dalle persone e alle richieste della scienza (Dixson-Declève).Dovrebbe esserci un'analisi approfondita e onesta del valore aggiunto del processo UNFCCC e di ciò che è meglio lasciare ad altri forum. Sebbene alcuni negoziati rimangano necessari, l'azione più urgente si è spostata sull'attuazione nel contesto delle forze di mercato e dell'economia climatica. Non c'è dubbio che la società civile, le imprese, le città e le comunità si stanno muovendo più velocemente dei governi (Figueres). Questi attori, tradizionalmente considerati ed etichettati come semplici osservatori, sono diventati i veri motori della trasformazione. Si potrebbero considerare i pro e i contro della creazione di un mondo reale semi-staccato accanto alla COP, che amplifichi i loro progressi, metta in mostra l'innovazione e reindirizzi intuizioni attuabili al processo formale. Il processo di Parigi ha un ruolo da svolgere nell'incoraggiare e monitorare un'azione forte al di fuori dei suoi spazi formali (Stern). Ciò include i settori pubblico e privato che lavorano insieme sulla rapida decarbonizzazione e sullo sblocco del tipo di investimenti su larga scala necessari affinché i paesi del sud del mondo costruiscano economie sostenibili e resilienti. C'è un ultimo, più grande problema, che nessuna riforma dell'UNFCCC può risolvere: il regime climatico è figlio dell'ordine mondiale democratico, quello stesso che si sta trasformando in una pericolosa imitazione degli stati canaglia. L'ascesa dell'estrema destra e l'erosione della democrazia stanno rendendo il multilateralismo stesso inutile. Un mondo che non è in grado di fermare i genocidi a Gaza e in Sudan non può risolvere la crisi climatica. 2024. LA COP 29 DI BAKU. TRIPLICARE LE FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI ENTRO IL 2030 8 novembre 2024. Si apre la 29 COP climatica a Baku. Nere prospettive. Nel 2025 il limite degli 1,5 °C di Parigi verrà superato
La violenza
dell’impatto climatico è in crescita oltre ogni previsione. Le vittime di
Valencia sono paragonabili a quelle delle guerre in corso. Valencia,
immagine del progresso e delle speranze dell'umanità con la sua architettura
futuribile di Santiago Calatrava, è ora ridotta alla squallida
rappresentazione dell'impotenza del genere umano a salvare se stesso (in
figura un particolare). Preoccupa però il diffondersi di una forma di
rassegnazione che, pur se alimentata dal ricco sistema mondiale dell’oil
and gas e fatta propria in occidente da taluni schieramenti
politici, rischia da sola di vanificare lo sforzo immane profuso in
trent’anni nel negoziato internazionale multilaterale sul clima. L’Emissions
Gap Report 2024 dell’ UNEP conferma la perdurante crescita delle
emissioni GHG, arrivate a 57 GtCO2eq nel 2023, e con essa delle
concentrazioni in atmosfera e, per diretta conseguenza, della temperatura
media superficiale terrestre e marina, con punte oltremisura proprio nelle
zone temperate di cui fanno parte l’Europa e il bacino mediterraneo.
L’obiettivo degli 1,5 °C di Parigi a fine secolo viene quasi universalmente
giudicato fuori portata, anche negli interventi ufficiali. Il mediterraneo
salirà sopra gli 1,5 gradi nel 2025. In questo quadro si prepara a Baku una COP 29 in tono minore. Il check degli impegni assunti dai vari paesi, gli NDC, avverrà infatti solo il prossimo anno alla COP 30 in Brasile. Ai governi è stato richiesto di rivedere al rialzo entro il 2025 i propri livelli di ambizione che ad oggi farebbero fallire l’obiettivo di Parigi, e a presentarne di nuovi per il 2035, anno in cui le emissioni globali, che ancora oggi continuano a crescere, dovrebbero essere ben del 60% più basse rispetto a quelle del 2019. L’Europa ha comunicato un promettente abbattimento delle emissioni dell’8,3% nel 2023 confermando il suo impegno immutato sulla transizione ecologica. Le elezioni americane, però, riportano uno dei peggiori negazionisti alla guida di un grande paese e suscitano gravi preoccupazioni. Al proposito Reuters segnala che i leader mondiali delle principali economie come l'Unione Europea, gli Stati Uniti e il Brasile hanno in programma di disertare la COP 29. La Cina resta paradossalmente con l’Europa alla frontiera del clima, ma ha chiesto ai paesi di discutere off the records a Baku sulle tasse di confine sul carbonio che sarebbero dannose per i paesi in via di sviluppo. Alcuni documenti dalla Cina sollevano il timore che le crescenti tensioni commerciali tra le principali economie potrebbero bloccare i colloqui di Baku. Al di fuori delle negoziazioni formali, le COP sono spazi in cui governi, settore privato e società civile possono impegnarsi in una collaborazione autentica per promuovere l'azione per il clima. Molte sono state le acquisizioni dei vertici recenti, come gli impegni per incrementare le energie rinnovabili, ridurre gradualmente i combustibili fossili, promuovere l'azione per il clima nelle città, rendere green il settore finanziario, fermare la deforestazione e altro ancora. La maggior parte dei paesi non dispone però di strutture di monitoraggio dell’azione dei governi e degli altri soggetti. La COP 29 è un'opportunità per dimostrare un reale progresso sui numerosi impegni presi finora. Per le iniziative esistenti, ciò significa comunicare pubblicamente i progressi attraverso il Global Climate Action Portal dell'UNFCCC o pubblicando relazioni adeguate. Ciò aiuterebbe a far progredire la comprensione del ruolo che gli sforzi cooperativi possono svolgere nel supportare azioni ambiziose. In concreto, quali sono gli obiettivi attribuiti alla COP 29? Dare un nuovo obiettivo al finanziamento per il clima. La COP 29 sarà una sorta di COP finanziaria, incentrata sull'adozione di un nuovo improbabile obiettivo di finanziamento per il clima, il NCQG che sostituirà il precedente obiettivo annuale di 100 miliardi di dollari stabilito nel 2009 a Copenhagen e tuttora inevaso. Dovrebbe essere rivalutato l'importo e il tipo di finanziamento che i paesi in via di sviluppo ricevono per sostenere la loro azione per il clima. Il quadro internazionale e la nuova alleanza dei BRICS complicano le cose. In effetti, molti paesi in via di sviluppo non possono mantenere o rafforzare i loro impegni climatici senza sostegni. Ma i paesi occidentali, da sempre restii a far fronte alle responsabilità che sono essenzialmente le loro, non mancheranno di sfruttare il pretesto della crisi geopolitica per non fare fronte agli impegni vecchi e a quelli nuovi. I dialoghi tecnici degli ultimi tre anni, volti a dare forma al NCQG, lasciano sul tavolo questioni fondamentali sulle dimensioni e la struttura dell'obiettivo. Una decisione chiave è a quale cifra punterà il NCQG, quantificato da volta a volta da miliardi a trilioni su base annua. Per ora sembra probabile che NCQG consisterà in più obiettivi che riflettono diversi tipi di flussi finanziari pubblici e privati. Resta da definire, e non è poco, quali paesi forniranno finanziamenti, se saranno favoriti determinati strumenti finanziari come sovvenzioni o prestiti agevolati e quale rendicontazione sarà richiesta per promuovere la trasparenza. Aumentare l’ambizione degli impegni nazionali per il clima. I paesi dovranno annunciare i loro nuovi impegni nazionali sul clima (NDC) solo nel 2025. Diversi grandi emettitori, Brasile, Regno Unito ed Emirati Arabi Uniti annuncerebbero i loro nuovi NDC alla COP di quest'anno. I nuovi NDC dovrebbero includere nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni GHG per il 2035, aumentare quelli del 2030 e mettere i paesi su percorsi credibili per raggiungere le emissioni zero nette intorno alla metà del secolo. Per stimolare cambiamenti di così vasta portata, gli NDC dovrebbero stabilire obiettivi specifici per settore, energia, trasporti, agricoltura, in coerenza con il Global Stocktake della COP 28. A Baku si potrà al più tentare di coinvolgere il settore privato per aiutare a indirizzare più finanziamenti verso l'azione per il clima. Maggiori finanziamenti per perdite e danni. La crisi climatica è ingigantita al punto che alcuni impatti vanno già oltre ciò a cui le persone possono adattarsi, come la perdita di vite umane e mezzi di sostentamento a causa di inondazioni estreme e incendi boschivi o la scomparsa di siti patrimoniali costieri a causa dell'innalzamento del livello del mare. Nei negoziati sul clima delle Nazioni Unite, il termine usato è loss and damage. Il primo giorno della COP 28 è stato avviato il Fondo per rispondere alle perdite e ai danni (FRLD). Da allora, la Banca Mondiale ha assunto il ruolo di fiduciario, le Filippine sono state scelte come paese ospitante per il consiglio del Fondo e Diong è stato nominato primo direttore esecutivo. Il passo successivo è riempire le casse del fondo. Alla COP 28 sono stati promessi circa 700 M$; è un inizio, ma nulla in confronto ai 580 G$ di danni legati al clima che i paesi in via di sviluppo potrebbero dover affrontare entro il 2030. Un piano di mobilitazione delle risorse dovrebbe essere attivo entro il 2025. Alla COP 29, i paesi sviluppati dovrebbero annunciare nuovi impegni, eventualmente inseriti nel NCQG, in modo che il sostegno possa iniziare a fluire verso i paesi bisognosi, ma le ombre scure delle divisioni geopolitiche si allungano sul negoziato proprio nell’anno delle terribili inondazioni nel Rio Grande do Sul, in Emilia e a Valencia. Adeguare il finanziamento per l'adattamento nell’ottica della definizione di un obiettivo globale. Alla COP 29 i paesi dovrebbero anche lavorare per colmare il divario finanziario per l'adattamento, che attualmente si aggira intorno ai 194 - 366 G$ all'anno in crescita. Nel 2021 i paesi hanno concordato di raddoppiare il finanziamento per l'adattamento entro il 2025 come parte del Glasgow Climate Pact. La Convenzione climatica sta preparando un rapporto per la COP 29 per documentare i progressi verso questo obiettivo, come sollecitato dal Global Stocktake dell'anno scorso. A Baku, con il NCQG, i finanziamenti per l'adattamento dovrebbero essere messi alla pari con quelli per la mitigazione e gli interessi sui prestiti dovrebbero essere ridimensionati. Del pari si dovrebbe tentare di dare forza all'obiettivo globale sull'adattamento (GGA), che si vuole che assuma un rilievo politico pari agli 1,5 °C di Parigi. Alla COP 28, i paesi avevano stabilito gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 e avviato un programma di lavoro biennale per determinare come saranno misurati gli sforzi di adattamento. Alla COP 29, i negoziatori tenteranno di raggiungere un accordo su un set gestibile di indicatori per monitorare i progressi e i flussi finanziari sia a livello nazionale che locale. Sfruttare i mercati del carbonio per guidare l'azione per il clima. L'articolo 6 dell'accordo di Parigi consente ai paesi di scambiare crediti di carbonio per raggiungere i propri obiettivi climatici nazionali. I paesi ricchi di foreste pluviali tropicali potrebbero vendere crediti per generare fondi per la protezione delle foreste che i paesi che acquistano i crediti potrebbero dedurre nei propri NDC. Le regole sul funzionamento di questi mercati dovranno essere definite prima che gli scambi possano iniziare in un assetto capace di garantire che i mercati del carbonio, disciplinati da standard internazionali, siano ecologicamente validi e non rischino di compromettere i tagli alle emissioni globali. Si tratta di cosa assai diversa dai mercati volontari dell’offsetting che hanno dato in questi anni più scandali che risultati Fallito alla COP 28 l’accordo sulle regole dell'articolo 6, le parti hanno fatto alcuni progressi nel trovare un terreno comune. L'organismo di vigilanza per il nuovo meccanismo di accreditamento dell'accordo di Parigi è il PACM, che gestirebbe l'accredito del carbonio tra i paesi e che ha recentemente concordato due standard sui requisiti metodologici e sulle attività che comportano rimozioni ecosistemiche. Ha anche stabilito che tutti i progetti devono rispettare le tutele ambientali e dei diritti umani. A Baku si dovrà stabilire se il PACM andrà avanti; come affrontare l'autorizzazione dei crediti di carbonio; se un paese può revocare l'autorizzazione dei crediti; se i crediti dovranno passare attraverso un processo di revisione tecnica prima di poter essere utilizzati e se i paesi in via di sviluppo con risorse limitate possono o meno utilizzare il registro del commercio internazionale per le transazioni sui crediti. Rafforzare la trasparenza intorno alle azioni nazionali per il clima. La trasparenza è un principio cardine dell'accordo di Parigi, tanto che i paesi sono tenuti a presentare i loro primi rapporti biennali sulla trasparenza (BTR) entro la fine di quest’anno. In questi rapporti i paesi chiariranno le modalità dei loro sforzi per ridurre le emissioni di gas serra; i loro progetti e piani di adattamento e quanto sostegno finanziario hanno fornito, mobilitato, ricevuto o di cui hanno bisogno. Dettaglieranno anche i progressi che i paesi stanno facendo verso i loro obiettivi NDC del 2025 e del 2030. La preparazione di rapporti biennali sulla trasparenza è un processo esteso e complesso e i paesi in via di sviluppo con meno esperienza richiederanno supporto per il capacity building. Riconoscendo queste sfide, la presidenza azera ha lanciato la Baku Global Climate Transparency Platform per supportare le metodologie della rendicontazione e della trasparenza e ha ospitato diversi workshop regionali per supportare gli sforzi di rendicontazione.
2023. LA COP 28 di DUBAI. PHASEOUT DELLE FONTI FOSSILI DI ENERGIA (resoconti in diretta da COP 28 UAE live e dalle Nazioni Unite, disponibili su VOLUME VI)
15 dicembre 2023. I prossimi passi per l’Italia dopo le decisioni della Cop 28, di Ivan Manzo Il vertice di Dubai ha stabilito finalmente l’allontanamento dal settore fossile. Per accelerare il processo di decarbonizzazione dobbiamo dotarci di una Legge sul clima, rivedere il Pniec e trasformare i Sussidi ambientalmente dannosi. Il documento finale della Cop 28 per la prima volta associa la causa, i combustibili fossili, all’effetto, il riscaldamento globale. Può sembrare strano ma, in 30 anni di negoziati, non si era ancora riusciti a mettere nero su bianco che non solo occorre tagliare le emissioni climalteranti, ma che bisogna anche spingere forte sulla transizione da un sistema basato sulle energie fossili, che oggi soddisfano circa l’80% della domanda energetica globale, a uno pulito e rinnovabile. l testo definitivo del primo inventario delle azioni compiute dagli Stati, quel Global stocktake che va effettuato ogni cinque anni (il prossimo si avrà dunque nel 2028) e che ricorda che i Paesi sono ampiamente fuoristrada sull’Accordo di Parigi e devono presentare nuovi contributi determinati a livello nazionale (impegni di riduzione delle emissioni) entro il 2025, indica che bisogna ridurre le emissioni climalteranti del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035, rispetto al 2019, per centrare l’obiettivo degli 1,5 °C. Inoltre, la decisione Onu “richiama i Paesi” a effettuare politiche di “allontanamento dalle fonti fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questa decade - entro il 2030, così da raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, come indicato dalla scienza”. Sempre sotto al profilo della mitigazione, la Cop 28 suggerisce di: triplicare le fonti rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030; accelerare la riduzione graduale del carbone non abbattuto (“unabated”); ridurre le emissioni di metano – anch’esso menzionato per la prima volta - e quelle sul trasporto su strada; eliminare gradualmente e il prima possibile i sussidi “inefficienti” ai combustibili fossili. i tratta di un pezzo importante dell’accordo, ma che presenta aspetti controversi. Senza dubbio è positivo il fatto che per la prima volta nel testo negoziale si associ la riduzione delle emissioni ai combustibili fossili. Soprattutto alla luce del fatto che questa decisione è stata presa in un Paese direttamente interessato, gli Emirati Arabi, e che il presidente della Cop 28, Sultan Al-Jaber, è anche l’amministrazione delegato della compagnia petrolifera di casa, l’Adnoc. Resta però l’amaro in bocca per la presenza nel testo finale di “transitioning away” (allontanarsi) piuttosto che di un “phase out” (eliminazione) accanto a combustibili fossili – il phase out era la principale speranza riposta in questa Cop prima dell’inizio, e per un semplice “phase down” (riduzione graduale) dal carbone persino “unabated”, e cioè solo quello che non si è in grado di catturare attraverso soluzioni tecnologiche, peraltro ancora poco efficaci e costose, come la Ccs (Carbon capture and storage), che al momento coprono solo lo 0,12% delle emissioni mondiali. Non rassicura nemmeno il termine “inefficienti” associato a sussidi ai combustibili fossili che, senza una definizione chiara significa tutto e nulla, restando così un parametro parecchio interpretabile. In sostanza, questa parte sul Gst permette ancora l’utilizzo di parecchie vie di fuga e resta lontana da quanto chiede la comunità scientifica.
A inizio summit ha sorpreso l’approvazione fulminea del fondo “Loss and damage”, quello destinato ai danni e alle perdite subite dai Paesi vulnerabili, a cui l’Italia ha dichiarato di voler contribuire per una somma pari a 100 milioni di euro, riconoscendo in questo modo la responsabilità storica detenuta dai Paesi industrializzati nell’aver provocato la crisi climatica. Il fondo fino a ora ha raggiunto la cifra di 655,9 milioni di dollari, “mancano però regole, obiettivi e target per passare dalla elargizione occasionale ad un finanziamento strutturale”, ha commentato Toni Federico nelle sue Cronache della Cop” pubblicate dall’ASviS. Un fondo diverso dal Green climate fund che copre le attività di mitigazione e di adattamento e che ha l’obiettivo, fino a ora mancato, di raccogliere 100 miliardi di dollari ogni anno. In generale, però, ci vorrebbero molti più soldi: la Cop 28 ricorda che in termini di finanza climatica servirebbero 4mila 300 miliardi di dollari l’anno per la mitigazione e 215-387 miliardi di dollari all’anno (da qui al 2030) per l’adattamento. Il documento punta inoltre ad arrestare la deforestazione e il degrado delle foreste entro il 2030, riconoscendo l'importanza del ruolo degli ecosistemi per il benessere umano e nello stoccaggio dei gas serra, in linea con quanto stabilito dall'Accordo di Montreal della Convezione sulla diversità biologica lo scorso anno. Male, infine, che dopo due settimane di discussioni non si sia trovato nessun accordo sui meccanismi del mercato deldi carbonio. La Cop 28 ha infatti rinviato tutte le decisioni alla Cop 29 di Baku, in Azerbaigian, sia per quanto riguarda la cooperazione bilaterale sui crediti di carbonio sia per quanto riguarda la costituzione di un meccanismo globale di scambio dei permessi di emissione. Tuttavia, per quanto imperfetto il testo negoziato a Dubai può vantare comunque un certo peso politico. Adesso organizzazioni e società civile hanno un’arma in più per obbligare i 198 Stati che hanno firmato l’accordo ad accelerare nell’immediato le politiche di transizione, ricordando che anche in sede Onu è stata finalmente riconosciuta la stretta connessione che intercorre tra riscaldamento globale, emissioni gas serra e combustibili fossili. Per centrare l’Accordo di Parigi non c’è dunque soluzione alternativa che dismettere carbone, gas e petrolio nei prossimi anni. Come dovrà procedere dunque il nostro Paese e quali sono i prossimi passi fondamentali? Rafforzare e approvare quanto prima il Pniec e il Pnacc. Quest'ultimo è stato presentasto in versione finale nei primi giorni del 2024. Per attuare il processo di transizione ecologica ed energetica, l’ASviS nel suo Rapporto 2023 L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile sottolinea che è ancora possibile centrare gli obiettivi climatici europei al 2030 (-55% di emissioni rispetto al 1990) e al 2050 (neutralità carbonica). Per portare il Paese all’avanguardia nella lotta alla crisi climatica occorrerebbe però rivedere i Piani per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici, il Pniec e il Pnacc. L’ASviS ricorda che questi Piani necessitano di ulteriori sviluppi per orientare le politiche economiche, sociali e ambientali in direzione dello sviluppo sostenibile. La bozza di Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima), per esempio, inviata alla Commissione europea a giugno, rivela diverse criticità che richiedono urgenti correzioni. Gli obiettivi sulle energie rinnovabili per il 2030 sono inferiori rispetto ai suggerimenti di esperti e operatori del settore e mostrano una mancanza di enfasi sul ruolo delle comunità energetiche. Mancano poi indicazioni chiare riguardo all'uso dell'elettricità rinnovabile derivante da idrogeno verde, nonché riguardo all'abbattimento delle emissioni gas serra, allo stop dei veicoli inquinanti; il tema della "giusta transizione", poi, è trattato in modo superficiale (come si intende attuarla?). Bene la chiusura confermata al 2025 delle centrali a carbone, anche se non vengono indicate alternative basate sulle fonti rinnovabili. In sostanza, il Pniec necessita di miglioramenti significativi per diventare uno strumento efficace nel guidare l'Italia verso la decarbonizzazione. Il Pnacc (Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici), invece, va soprattutto finanziato dato che, al momento, non sono previste risorse dedicate a questo importante Piano di adattamento alla crisi climatica.
Iniziare finalmente ad eliminare e convertire i sussidi ambientalmente dannosi. L’Italia deve trovare nuove modalità di coinvolgimento attivo di soggetti economici e sociali per la definizione e la realizzazione delle politiche climatiche e di un programma temporale per eliminare i sussidi dannosi all’ambiente (Sad) legati ai combustibili fossili. Secondo il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica al momento sono presenti all’interno del bilancio dello Stato circa 22,4 miliardi di euro di Sad. I soldi provenienti sia dalla riconversione dei Sad sia da una nuova fiscalità ecologica attenta alla tutela del capitale naturale e premiare le imprese virtuose, potrebbero essere utilizzati per finanziare l’innovazione tecnologica low carbon e per ridurre le disuguaglianze economiche e sociali fortemente presenti nel Paese, come tra l’altro confermato dal Rapporto sui Territori pubblicato il 13 dicembre sempre dall’ASviS. Favorire lo sviluppo di un sistema industriale italiano completo delle rinnovabili. Il progressivo contrasto ai cambiamenti climatici aumenterà la domanda di energia elettrica, poiché l'elettricità offre rendimenti superiori e può essere prodotta senza generare emissioni di CO2. Tuttavia, la decisione di prolungare l'uso predominante del gas naturale nella produzione elettrica rischia di portate l'Italia fuori dalla rotta stabilita dalle direttive dell'Unione europea e dagli accordi internazionali. Una scelta ancor più azzardata considerando i prezzi elevati e instabili del gas. Anche per questo motivo occorre favorire lo sviluppo di un sistema industriale italiano delle rinnovabili, che si dice pronto a superare il raddoppio delle Fer (Fonti energetiche rinnovabili elettriche) entro il 2030 al ritmo annuale di 8-10 GW (Gigawatt) all’anno. Grazie a un uso intelligente dei fondi del Pnrr, il nostro Paese ha l’opportunità di costruire una politica industriale basata sulla fabbricazione di tecnologie centrali al processo di transizione, come pannelli solari e batterie. La rete elettrica futura sarà notevolmente diversa dall'attuale. Sarà infatti basata sulle fonti rinnovabili, sull'autoconsumo, sull'accumulo dell'energia e sull'efficienza energetica programmata supportata da tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale. Le comunità energetiche rinnovabili, concepite in un'ottica solidaristica offrono, infine, un'opportunità democratica e partecipativa per affrontare nuove e vecchie forme di disuguaglianze, come la povertà energetica. 11-13 dicembre 2023. Il documento finale dell'Accordo di Dubai - Transitioning away from fossil fuels Conta poco quello che è successo nei giorni 11 e 12. Conta invece la plenaria del 13 mattina, Santa Lucia, (video) in cui al Jaber ha presentato il frutto del suo lavoro, il documento finale della COP 28. Dalle COP tutti si aspettano risultati trasformativi, capaci cioè di far fare al mondo intero passi in avanti sostanziali. Questo in realtà è avvenuto poche volte, solo 2 su 28, a Kyoto e a Parigi. Poi si è trattato più che altro di un riflesso dell’esistente o, come è stato detto dallo stesso Presidente, di una politica del “minimo comune denominatore”. Anche qui a Dubai, con molti sforzi, si è riusciti a fatica in una presa d’atto di eventi ormai in corso, si prende cioè atto di una transizione ormai in cammino per abbandonare i combustibili fossili. Non si dice come e in quanto tempo deve avvenire la transizione in armonia con i risultati scientifici condivisi. Ha un indubbio valore che la presa d’atto sia condivisa da tutti, compresi Iran, Russia, Arabia Saudita, Bolivia, Venezuela e via carogneggiando. Che ci sia la importante benedizione della Cina, dell’India e degli Stati Uniti, al netto delle opinioni degli americani e dei vari trumpisti in agguato, questo conta. Conta anche la fermezza dell’Europa e perfino della UK, che ha appena finito di smantellare la sua di transizione. Il wording di Dubai pesa in fondo come un phase-down, meno del phase-out che a Glasgow fu cancellato all’ultimo momento dall’India, ma più di quello perché comprende petrolio e gas.
Quasi 200 paesi al vertice sul clima della COP 28 hanno concordato un documento che per la prima volta invita tutte le nazioni ad abbandonare i combustibili fossili per evitare gli effetti peggiori del cambiamento climatico e a incrementare rapidamente le energie rinnovabili. Il testo del documento ve lo riproponiamo nei punti salienti, come si deve, in lingua originale. Subito notiamo che di fossil fuels, un neologismo importante per la COP, si parla una sola volta al punto 28: 28. Further recognizes the need for deep, rapid and sustained reductions in greenhouse gas emissions in line with 1.5 °C pathways and calls on Parties to contribute to the following global efforts, in a nationally determined manner, taking into account the Paris Agreement and their different national circumstances, pathways and approaches: (a) Tripling renewable energy capacity globally and doubling the global average annual rate of energy efficiency improvements by 2030; (b) Accelerating efforts towards the phase-down of unabated coal power; (c) Accelerating efforts globally towards net zero emission energy systems, utilizing zero and low-carbon fuels well before or by around mid-century; (d) Transitioning away from fossil fuels in energy systems, in a just, orderly and equitable manner, accelerating action in this critical decade, so as to achieve net zero by 2050 in keeping with the science; (e) Accelerating zero- and low-emission technologies, including, inter alia, renewables, nuclear, abatement and removal technologies such as carbon capture and utilization and storage, particularly in hard-to-abate sectors, and low-carbon hydrogen production; (f) Accelerating and substantially reducing non-carbon-dioxide emissions globally, including in particular methane emissions by 2030; (g) Accelerating the reduction of emissions from road transport on a range of pathways, including through development of infrastructure and rapid deployment of zero and low-emission vehicles; (h) Phasing out inefficient fossil fuel subsidies that do not address energy poverty or just transitions, as soon as possible; 29. Recognizes that transitional fuels can play a role in facilitating the energy transition while ensuring energy security; L’accordo non include un impegno esplicito a eliminare né a ridurre gradualmente i combustibili fossili. Ha invece raggiunto un compromesso che invita i paesi a contribuire agli sforzi globali per la transizione via dai combustibili fossili nei sistemi energetici. Al Jaber ricorda che: “Per la prima volta in assoluto nel nostro accordo finale è presente un testo sui combustibili fossili”. Il documento rafforza l’obiettivo degli 1,5 °C e riconosce necessario un taglio delle emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019, aumentando il livello richiesto per gli NDC di tutti i paesi quando si presenteranno al GST del 2025. Di grande rilievo il riconoscimento della urgenza di triplicare l’energia rinnovabile globale e raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030.
L’affermazione secondo cui le emissioni globali dovrebbero raggiungere il picco entro il 2025 è stata abbandonata. La Cina si è opposta, pur se sembra essere sulla buona strada per raggiungere il picco delle proprie emissioni entro quella data. Le argomentazioni in difesa dei combustibili fossili si sono fatte strada nel testo con i carburanti di transizione (il gas naturale, è ovvio) e la immaginifica CCS. Pochi o nulli i progressi sull’adattamento e sui finanziamenti necessari, peraltro ciclopici. Il fondo per perdite e danni, grande successo di al Jaber all’apertura della COP, non si capisce come dovrebbe essere strutturato e finanziato dopo le generosità della prima ora. I paesi del sud del mondo e i sostenitori della giustizia climatica constatano che non si quantifica il necessario in termini di riduzione delle emissioni globali e finanziamenti per aiutare i più vulnerabili a far fronte al peggioramento delle dei condizioni meteorologiche estreme e delle ondate di calore. L’Alleanza dei piccoli stati insulari (AOSIS), che rappresenta 39 paesi, ha lamentato di non essere stata presente quando l’accordo è stato adottato poiché impegnata a formulare le sue proposte. Alla fine ha accettato il testo, dichiarandolo però pieno di scappatoie, come è del resto facile constatare. Raccogliamo dalla stampa alcuni commenti. Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha twittato: “Piaccia o non piaccia, l’eliminazione graduale dei combustibili fossili è inevitabile. Speriamo che non arrivi troppo tardi”. Johan Rockström, del Potsdam Institut: “L’accordo non consentirà al mondo di mantenere il limite degli 1,5 °C (opinione condivisa dal mainstream scientifico), ma il risultato è un punto di riferimento fondamentale. Questo accordo mira a chiarire a tutte le istituzioni finanziarie, imprese e società, che ora siamo finalmente, otto anni in ritardo rispetto al programma di Parigi, al vero inizio della fine dell’economia mondiale basata sui combustibili fossili”. Al Jaber gliene sarà riconoscente. John Kerry, inviato speciale di Biden, ha dichiarato: “Anche se nessuno qui vedrà pienamente rispecchiate le proprie opinioni, il fatto è che questo documento invia un segnale molto forte al mondo”. Molti paesi sviluppati si sono uniti ai più vulnerabili e ai più poveri, un’alleanza del tutto inedita, nello spingere apertamente per l’eliminazione graduale del carbone, del petrolio e del gas. L’Unione Europea ha affermato che c’è una “supermaggioranza” a sostegno dell’idea, ma molti paesi ricchi vorrebbero che si applicasse solo ai combustibili fossili unabated, quelli in cui le emissioni derivanti dalla loro combustione non vengono catturate. Catturate come? L’Arabia Saudita e paesi alleati si sono opposti all’inclusione di qualsiasi riferimento alla riduzione della produzione e del consumo di combustibili fossili nel testo dell’accordo ottenendo un successo, va detto, tanto grande quanto deleterio. Il capo della UN FCCC, Stiell, ha affermato che la COP 28 che avrebbe dovuto segnare un duro stop ai combustibili fossili lascia alla fine molto spazio all’interpretazione e che quindi spetta ai paesi impegnarsi nella sua lettura più ambiziosa. Dall’Africa si segnala che l’accordo invia un segnale forte al pianeta ma ci sono troppe lacune su tecnologie non provate e costose come la CCS, l’ultimo escamotage del mondo dei fossili che hanno dichiaratamente tutte le intenzioni di proseguire nei loro commerci. Però, aggiungono, questo risultato sarebbe stato impossibile solo due anni fa, specialmente in una COP in un petrostato. Dal nostro paese, che non ha giocato come al solito un grande ruolo a Dubai, Edo Ronchi dichiara che la sostituzione di phase-down con transitioning away non pare un cedimento sostanziale: sia la fuoriuscita dai fossili, sia l’accelerazione, sia l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni nette, sono obiettivi affermati chiaramente. È ormai palese, dice, che le azioni chiave necessarie per ridurre le emissioni al 2030 sono ampiamente conosciute e nella maggior parte dei casi molto convenienti e che è ormai largamente diffusa nelle opinioni pubbliche in tutto il mondo e fra i governi la convinzione che dobbiamo abbandonare i fossili, che dobbiamo accelerare la decarbonizzazione e che, in modo articolato, con tappe diverse, per i diversi livelli di sviluppo, siamo in grado di farlo, tecnicamente ed economicamente. Italy for climate lamenta l’assenza di una roadmap chiara per il transitioning away. L’unico anno citato è il 2050, troppo lontano per tradursi davvero in impegni concreti e stringenti. Mancano date e numeri certi e ci sono degli accrediti ambigui di soluzioni tecnologiche discutibili, nucleare, CCS. Si tratta alla fine di un traguardo probabilmente storico, ma di una vittoria figlia di un compromesso, peraltro forse inevitabile portato del multilateralismo in un quadro di enorme complessità. Mariagrazia Midulla, per il WWF Italia, dichiara pessima la menzione dei combustibili per la transizione, una transizione che gli interessi del gas tendono a rendere infinita ed enormemente più dispendiosa, proprio perché consistenti fondi tengono in piedi il sistema fossile. Per un pianeta vivibile abbiamo bisogno della completa eliminazione di tutti i combustibili fossili e della transizione verso un futuro di energia rinnovabile nonché a un sistema votato a risparmiare energia e risorse e a usarle nel modo più efficiente possibile. Nel testo sentiamo ancora gli interessi non solo dei Paesi produttori di idrocarburi, ma soprattutto delle potenti compagnie occidentali, incluse le nostre, che i combustibili fossili li estraggono, gestiscono e vendono. La Legambiente approva l’impegno a triplicare le rinnovabili e il raddoppio dell’efficienza energetica. L’accordo sancisce per la prima volta l’uscita dalle fonti fossili in modo da raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050, con un’accelerazione dagli anni di qui al 2030, triplicando le rinnovabili e raddoppiando l’efficienza energetica. La scelta di prevedere una “transition away” graduale per la fuoriuscita da gas, petrolio e carbone rappresenta un timido passo avanti. Per l’Italia ci aspettiamo la rimodulazione e la cancellazione dei sussidi ambientalmente dannosi entro il 2030. Tre talloni d’Achille dell’accordo sono, segnala Legambiente, la CCS, il ricorso al gas come combustibile di transizione e la mancanza di un serio impegno per la finanza climatica per aiutare i paesi più poveri.
2022. LA COP 27 di SHARM EL-SHEIKH. PERDITE E DANNI CAUSATI DAL CLIMA A CARICO DEI PAESI INQUINATORI (Resoconti disponibili su VOLUME VI) 23 Novembre 2022. Ragionamenti finali sulla COP 27. Tramontati gli 1,5 °C? (tratto liberamente da IISD) La COP 27 doveva essere una di COP di attuazione, come il nuovo segretario esecutivo dell'UNFCCC Simon Stiell ha ribadito nel giorno dell'apertura. Tuttavia, due cose hanno complicato l'adempimento di questo compito: il 2022 è stato un anno di crisi verticale, con i prezzi di energia e cibo in aumento, impatti prolungati della pandemia di COVID-19, rallentamenti economici e, non ultime, le tensioni geopolitiche. Le prospettive di riduzione delle emissioni e l'esborso dei necessari finanziamenti per il clima per raggiungere a breve l'obiettivo degli 1,5 °C si sono maledettamente complicate. Peggio ancora, le idee dei vari paesi sull'attuazione dell'Accordo di Parigi si sono diversificate e forse confuse.
Durante la plenaria di chiusura, le parti hanno convenuto che il meglio di questa COP è stata l'istituzione di un fondo dedicato a perdite e danni. Tuttavia, le valutazioni sono contrastanti su come i risultati dimostrino la determinazione sull'implementazione e le ambizioni. Piuttosto che mantenere in vita gli 1,5 °C, alcuni temono che questa potrebbe essere la COP del loro tramonto. La conferenza di Sharm avrebbe dovuto avere il difficile compito di passare dalla costruzione del programma e dall'innalzamento delle ambizioni al compito apparentemente più banale (ma critico) di mettere in pratica l'uno e le altre. Con il regolamento dell'Accordo di Parigi completato e gli obiettivi di emissione definitivamente stabiliti a Glasgow nel 2021, la COP 27 avrebbe dovuto concentrarsi sull'attuazione. Nell'Agenda c'erano i programmi di lavoro sull'ambizione di mitigazione e sull'obiettivo globale dell'adattamento concordato a Glasgow. Ma c'era anche qualcosa di nuovo nelle crescenti richieste dei paesi in via di sviluppo per stabilire uno strumento di finanziamento per le perdite e i danni. L'incapacità dei paesi sviluppati di mantenere il loro impegno finanziario di 100 miliardi di dollari per il clima, deliberato a Copenaghen nel 2009, ha continuato a scavare la fossa della sfiducia tra Sud e Nord. Le parti dell'Accordo di Parigi generalmente concordano sui suoi pilastri principali: implementazione delle azioni di mitigazione e adattamento e supporto per i paesi in via di sviluppo attraverso la finanza e altri mezzi di implementazione. La questione delle perdite e danni ha invece acquisito visibilità e consensi crescenti solo negli ultimi anni, con i disastri climatici che hanno provocato il caos in tutto il mondo. Per molti paesi rimane la massima priorità la riduzione accelerata delle emissioni e dare una chance all'invito della COP 26 a mantenere in vita gli 1,5 °C. Tra essi ci sono i paesi più sviluppati, lo Environmental Integrity Group e alcuni dei paesi più vulnerabili del mondo, tra cui i paesi meno sviluppati (LDC) e l'Alleanza degli Island Developing States (AOSIS), insieme all'Associazione per l'America Latina e i Caraibi (AILAC), che vedono l'abbandono degli 1,5 °C come una minaccia esistenziale. I diversi paesi in via di sviluppo ad alto e medio reddito e le principali economie emergenti, raccolti nel gruppo negoziale dei paesi in via di sviluppo like-minded (LDMC), a loro volta, credono di sentirsi sempre più sotto pressione per ridurre ulteriormente le proprie emissioni. Sostengono che il principio di Rio della responsabilità comune ma differenziata, sancito dalla Convenzione del 1992, che chiede ai paesi sviluppati di assumersi ruolo e responsabilità dell'azione climatica, non è affatto venuto meno, ma che viene sempre più chiesto a loro di fare fronte a delle responsabilità che non gli competerebbero, un fardello causato dalla mancanza di azione dei paesi sviluppati. Alla COP 27, questa analisi è ststa particolarmente visibile durante le discussioni sul “Programma di lavoro per aumentare urgentemente la mitigazione ambizione e attuazione in questo decennio critico", stabilito a COP 26. Qui, la decisione finale chiarisce che questo programma di lavoro sarà “non prescrittivo, non punitivo, facilitativo, rispettoso della sovranità nazionale, … e non imporrà nuovi obiettivi". Per questo gruppo, gli altri pilastri dell'Accordo di Parigi sono altrettanto importanti della mitigazione, e sottolineano che le priorità dei paesi in via di sviluppo, tra cui l'adattamento e la finanza, continuano ad essere affrontati in maniera insufficiente. Proprio per essere sul suolo africano, molti si aspettavano che la COP 27 avrebbe avuto a tema centrale l'adattamento e la finanza, che sono priorità per il continente. Le discussioni sull'obiettivo globale dell'adattamento continuano: è un obiettivo ambizioso fissato nell'Accordo di Parigi, che i negoziatori hanno affrontato per chiarirlo pur in un contesto difficile che ha comportato discussioni fino alle ultime ore della COP. Alcuni esperti di adattamento a lungo termine ritenevano che il problema non avesse avuto l'attenzione che meritava, con il timore che quelle risorse, proprio quando le cose iniziavano ad andare, potevano essere trasferite alle perdite e danni. Per molti, l'unico risultato nuovo e tangibile sull'adattamento è stata la decisione di iniziare lo sviluppo di un quadro programmatico da adottare il prossimo anno, per guidare la Convenzione verso l'obiettivo globale sull'adattamento. Una parte fondamentale del programma di lavoro mira a migliorare la comprensione di cosa significa effettivamente l'adattamento e come misurare i progressi verso il suo raggiungimento. Le esigenze di adattamento possono essere molto locali e qualitative, e rendono difficile la formulazione di provvedimenti aggregati nel segno di un obiettivo globale. Ci si aspettava che la finanza fosse un'altra voce importante a Sharm El-Sheikh, con le agende dei vari organismi negoziali che la stanno trattando sotto una straordinaria molteplicità di forme. Tra i problemi più controversi c'è quello del tracciamento dei pagamenti dei paesi sviluppati della loro quota dei 100 miliardi di dollari entro il 2020. Anche l'OECD ha dichiarato che finora non si superano i 17 miliardi di dollari e che non si va oltre l'impegno preso a Glasgow di raddoppiare entro il 2025 i finanziamenti per l'adattamento rispetto ai livelli del 2019. Allo stesso tempo, i paesi sviluppati vorrebbero espandere il pool di contributori ai finanziamenti per il clima estendendolo al settore privato, alla filantropia, alle fonti di beneficenza, alle banche di sviluppo e persino ad alcuni paesi in via di sviluppo. Benché durante le COP siano stati presi nuovi impegni di finanziamento per il clima, che hanno spesso contribuito a mitigare le dispute, il valore dei contributi alla COP 27 è stata piuttosto scarsa. L'Adaptation Fund ha conseguito 230 milioni di dollari di nuovi impegni e promesse iniziali per il nuovo Global Shield, il regime assicurativo contro i rischi climatici, che ha totalizzato 210 milioni di euro. Le decisioni finali della COP 27, col nome di Piano di attuazione di Sharm El-Sheikh, mettono assieme alcuni dei risultati principali dei documenti della conferenza e non fanno altro che evidenziare tutte le difficoltà di conciliare le diverse visioni a proposito di implementazione. Durante la plenaria di chiusura, molti gruppi e paesi hanno sottolineato che i testi non sono andati oltre Glasgow nel dimostrare maggiore ambizione e che a loro avviso avrebbero dovuto includere riferimenti al picco delle emissioni globali entro il 2025 e alla graduale riduzione di tutti i combustibili fossili, non solo del carbone. Altri, a loro volta, erano più preoccupati dell'erosione dei principi di equità e della responsabilità comune ma differenziata e della capacitazione e accusavano i sostenitori di una maggiore ambizione di tentare di mascherare la mancanza di volontà di provvedere al sostegno ai paesi in via di sviluppo. La presenza di 112 leader mondiali durante la prima settimana può aver creato l'impressione di un grande impegno sull'implementazione. Forse però l'implementazione non è così attraente come l'ambizione, il solito rapporto tra i fatti e le chiacchiere. Con scarse risorse finanziarie disponibili nel breve periodo, l'attenzione si è concentrata su chi dovrebbe avere la priorità nella fruizione. A fronte della lunga lista di richieste del gruppo africano, gli appelli ad avere altrettanta attenzione da parte di altre regioni in via di sviluppo hanno rallentato il negoziato. Alla fine l'Africa ottiene solo due brevi riferimenti nel testo. Le perdite e danni, che colpiscono i paesi e le comunità più vulnerabili, sono state una priorità per lo sviluppo delle piccole isole fin dagli anni '90. I paesi sviluppati hanno tradizionalmente resistito alle richieste di finanziamenti specifici per perdite e danni, in parte per paura delle relative responsabilità e delle richieste di risarcimento che potrebbero derivarne per essere stati causa della maggior parte delle emissioni storiche. La decisione che ha adottato l'Accordo di Parigi nel 2015 è che l'articolo sulla perdita e il danno non include né responsabilità né compensi. Alla COP 27, questo avvertimento contro l'interpretazione di qualsiasi finanziamento come responsabilità o compensazione è stato accuratamente richiamato come nota a piè di pagina in tutti i testi, un compromesso che ha permesso di avere finalmente all'ordine del giorno un articolo sugli accordi di finanziamento per perdite e danni e un spazio dedicato nei negoziati formali per discutere la questione. Nel corso degli anni, l'esigenza di un accordo di finanziamento ha ricevuto il sostegno di tutti i paesi in via di sviluppo. Alla COP 27 è stato finalmente raggiunto un accordo per istituire un fondo dedicato per perdite e danni, insieme a un comitato di transizione incaricato di elaborare i dettagli e identificare opportunità e lacune in modo che possa essere reso operativo alla COP 28 nel 2023. A Sharm alcuni paesi sviluppati hanno insistito per il diritto di sostener tale fondo solo in favore dei paesi più vulnerabili e solo se i finanziamenti proverranno da una più ampia base di donatori, come, ognuno ha pensato, la Cina. Alla fine la formula trovata è per “assistere i paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabile agli effetti negativi del cambiamento climatico", ma senza specificare quali sarebbero questi paesi. La decisione non identifica chi finanzierebbe, ma semplicemente rileva che le risorse saranno "nuove. aggiuntive e complementari e includeranno fonti, fondi, processi e iniziative sotto e al di fuori della Convenzione e dell'Accordo di Parigi”. La decisione raccomanda inoltre l'allargamento delle fonti di finanziamento. Un'altra importante forza trainante per il fondo perdite e danni è stata la società civile, che si è mobilitata per la richiesta del fondo, la giustizia climatica e l'equità. I negoziati sull'articolo 6 sono continuati in sottofondo durante le due settimane di COP e sono riusciti a fornire significative indicazioni che aiuteranno a rendere operativa e ad ampliare la cooperazione internazionale con approcci di mercato e non di mercato per ridurre le emissioni, sostenere l'adattamento e promuovere lo sviluppo sostenibile. La società civile ha seguito da vicino queste discussioni, intervenendo dove le tutele ambientali, sociali e umane e i diritti delle popolazioni indigene non sono stati rispettati. Ciò vale in particolare per l'area dell'offsetting, che si riferisce all'estrazione della CO2 dall'atmosfera con mezzi naturali o tecnologici per aiutare i paesi a raggiungere emissioni nette pari a zero. Nella decisione finale, una prima bozza che la società civile credeva fosse vaga e priva di salvaguardie critiche e disposizioni sui diritti, è stata riconsegnata all'Organismo di Vigilanza del meccanismo di mercato ex art. 6.4 per ulteriori approfondimenti. Tuttavia, gli osservatori rilevavano un'assenza di “riferimenti alla necessità di qualsiasi mercato di contribuire all'ambizione generale e all'imperativo di rispettare e proteggere i diritti umani”. La COP 27 ha ha tenuto la linea degli 1,5 °C, che rimangono ancora in vita. La conferenza ha anche preso decisioni sostanziali nelle principali aree cruciali per l'attuazione, compresa la mitigazione, l'adattamento, la finanza e i mercati, ma ha lasciato molti a chiedersi quando questi diversi elementi dell'azione per il clima verranno realizzati. I riferimenti alla scienza e all'urgenza sono presenti nella decisione sul programma di lavoro sulla mitigazione, ma alcuni paesi in via di sviluppo, gli LMDC, hanno ritenuto che l'articolo avrebbe dovuto introdurre nuovi elementi rispetto al mandato di Parigi, come gli obiettivi a medio termine, e stabilire la conclusione del programma di lavoro nel 2023 invece di proseguire fino al 2030. Come compromesso, il programma di lavoro ora ha il limite al 2026. Allo stesso modo, c'è stato un invito a riflettere sulle nuove indicazioni dell'IPCC sulla necessità che il picco delle emissioni globali avvenga prima del 2025 per limitare il riscaldamento a 1,5 °C. Analoga disputa c'è stata nelle discussioni sulla finanza, dove i paesi in via di sviluppo hanno sottolineato l'urgenza di fare chiarezza sul “quantum” e sui tempi di di fissazione post-2025 sui finanziamenti per il clima. I paesi sviluppati hanno continuato a insistere per discutere prima degli aspetti tecnici e poi concordare un obiettivo quantitativo nel 2024.
21 Novembre 2022. Conclusa la COP 27 con l'assemblea plenaria. Il documento finale, consensi e delusioni La plenaria ha inizio domenica poco dopo le due di notte ora locale. Poi subisce ulteriori rinvii (video). Nella bozza di testo presentata in plenaria, gli obiettivi di mitigazione sembrano essere niente più di una copia di quanto concordato a Glasgow nel 2021, quando è stata concordata anche una riduzione graduale (phase down) per il carbone. C'erano speranze che il presidente avrebbe ampliato questa "fase di riduzione" per includere tutti i combustibili fossili, ma non c'è nessun riferimento in questo testo. Ecco cosa dice: "Invita le parti ad accelerare lo sviluppo, e la diffusione delle tecnologie e l'adozione di politiche per la transizione verso sistemi energetici a basse emissioni, anche aumentando rapidamente l'adozione di misure di generazione di energia pulita e di efficienza energetica, tra cui l'accelerazione degli sforzi verso la l'eliminazione graduale dell'energia a carbone senza sosta e l'eliminazione graduale delle sovvenzioni inefficienti ai combustibili fossili, fornendo nel contempo un sostegno mirato ai più poveri e ai più vulnerabili in linea con le circostanze nazionali e riconoscendo la necessità di sostegno verso una transizione giusta". Ci sono state molte discussioni sull'obiettivo di Glasgow degli 1,5 °C. Alcuni paesi hanno cercato di rinnegare l'obiettivo di 1,5 °C e di abolire il meccanismo della irreversibilità degli impegni (ratcheting up). Hanno fallito, ma è stata eliminata dal testo finale una risoluzione per raggiungere il picco delle emissioni entro il 2025. ll gas è stato il grande protagonista di questa COP, con un numero sorprendentemente elevato di accordi firmati a margine del vertice. Il documento finale della COP 27 contiene un provvedimento per incentivare “l'energia a basse emissioni”. Ciò potrebbe significare molte cose, dai parchi eolici e solari ai reattori nucleari e alle centrali elettriche a carbone dotate di cattura e stoccaggio del carbonio. Poiché a pensar male ... potrebbe anche valere per il gas, che ha emissioni inferiori rispetto al carbone, un fossile "buono". Non c'è stato alcun miglioramento rispetto all'impegno dello scorso anno di ridurre gradualmente l'uso del carbone, nonostante l'intensa le pressioni di molti Paesi che volevano inserire nel testo un impegno a "ridurre gradualmente tutti i combustibili fossili". Ecco invece le parole del documento concordato alla COP 27 che istituisce il fondo per aiutare i Paesi in via di sviluppo a far fronte agli impatti dei cambiamenti climatici. Il linguaggio è significativo. "La Conferenza delle Parti ... decide di istituire nuovi accordi di finanziamento per assistere i paesi in via di sviluppo che sono particolarmente vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento climatico, in risposta a perdite e danni, anche con particolare attenzione ad affrontare perdite e danni fornendo e assistendo nella mobilitazione di risorse nuove e aggiuntive, e che questi nuovi accordi integrino e includano fonti, fondi, processi e iniziative nell'ambito e al di fuori della Convenzione e dell'Accordo di Parigi. Decide inoltre, nel contesto dell'istituzione delle nuove modalità di finanziamento ... di istituire un fondo per la risposta a perdite e danni il cui mandato include un focus sulla gestione di perdite e danni". Il testo, concordato da quasi 200 paesi, istituisce anche un comitato per elaborare le regole per realizzare il fondo. Quel comitato riferirà alla COP del prossimo anno. Con la creazione di un nuovo Fondo perdite e danni, peraltro ancora vuoto, la COP 27 manda un avvertimento agli inquinatori che non possono più andare avanti senza problemi con la loro distruzione climatica. D'ora in poi dovranno risarcire i danni che hanno causato e rendere conto alle persone che stanno affrontando tempeste , inondazioni devastanti e mari in sollevamento (CAN). Lo stesso Guterres si compiace del risultato ottenuto su loss and damage (video) ma dice: "Siamo chiari. Il nostro pianeta è ancora in rianimazione. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un problema che questa COP non ha affrontato. Un fondo per perdite e danni è essenziale, ma non è una risposta se la crisi climatica cancella dalla mappa un piccolo stato insulare o trasforma un intero paese africano nel deserto. Il mondo ha ancora bisogno di passi da gigante in termini di ambizione climatica. La linea rossa che non dobbiamo oltrepassare è la linea che porta il nostro pianeta oltre il limite di temperatura di 1,5 gradi. C'è stato anche probabilmente qualche progresso nella riforma del sistema finanziario globale, con un numero crescente di paesi alla ricerca di modifiche urgenti alle banche multilaterali del mondo che, sostengono, non riescono a fornire i finanziamenti necessari. Questo è ora diventato un argomento serio di discussione. Consensi anche per l'apertura di un possibile processo di riforma del sistema finanziario delle Nazioni Unite: è stato accolto qualche elemento dell'Agenda di Bridgetown, promosso da Mia Mottley, la coraggiosa leader delle Barbados. Nel testo si legge: le nazioni del mondo "invitano gli azionisti delle banche multilaterali di sviluppo (MDB) e le istituzioni finanziarie internazionali a riformare pratiche e priorità, allineare e aumentare i finanziamenti … e incoraggiare le MDB a definire una nuova visione adatta allo scopo di affrontare l'emergenza climatica globale". Gli altri risultati di COP 27 sembrano però, ancora una volta, deludenti. L'europeo Timmermans dice che avremmo dovuto fare molto di più. I nostri cittadini si aspettano che noi prendiamo la leadership della lotta climatica, cosa che significa ridurre le emissioni molto più rapidamente. L'Australia (Umbrella Group da cui, recentemente, sono state espulse Russia e Bielorussia) dichiara: "Dobbiamo andare oltre, alla luce delle dure scoperte della scienza più recente, anche riconoscendo che le emissioni globali devono raggiungere il picco entro il 2025 per mantenere in vita gli 1,5 °C". L'influenza dell'industria dei combustibili fossili è stata evidente su tutta la trattativa. Questa COP ha indebolito i paesi che assumono impegni nuovi e più ambiziosi. Il testo non fa menzione della graduale eliminazione dei combustibili fossili e fa scarso riferimento alla scienza e all'obiettivo degli 1,5°C (Tubiana). La presidenza egiziana ha prodotto un testo che protegge chiaramente gli stati del petrolio e del gas e le industrie dei combustibili fossili. Questa tendenza va fermata prima della COP negli Emirati Arabi Uniti il prossimo anno. Se il rinnovato impegno formale mantenuto sul limite di riscaldamento globale di 1,5 °C è fonte di sollievo, rimane il fatto che i progressi compiuti in materia di mitigazione dopo la COP 26 di Glasgow sono stati troppo lenti. L'azione per il clima alla COP 27 mostra che siamo sulla soglia di un mondo di energia pulita, ma solo se i leader del G 20 saranno all'altezza delle proprie responsabilità, manterranno la parola data e rafforzeranno la loro volontà. L'onere è su di loro. Tutti gli impegni sul clima devono essere trasformati in azioni concrete, compresa la rapida eliminazione dei combustibili fossili, una transizione molto più rapida verso l'energia green e piani tangibili per fornire sia finanziamenti per l'adattamento che per perdite e danni. Vanessa Nakate, giovane leader dei Fridays for future (in figura), ugandese, ha una visione molto più pessimistica: “Doveva essere la COP africana, ma i bisogni del popolo africano sono stati ostacolati dappertutto. Perdite e danni nei paesi vulnerabili sono ormai evidenti, ma alcuni paesi sviluppati qui in Egitto hanno deciso di ignorare la nostra sofferenza. I giovani non hanno potuto far sentire la loro voce alla COP 27 a causa delle restrizioni alla protesta, ma il nostro movimento sta crescendo e i comuni cittadini di ogni paese stanno iniziando a ritenere i loro governi responsabili della crisi climatica". Alla plenaria ha chiesto a tutti i paesi di una "urgente intensificazione degli sforzi" e si è detta profondamente delusa dal fatto che alcune Parti abbiano cercato di frenare l'ambizione di tutti di moltiplicare gli sforzi per l'abbattimento delle emissioni. L'anno scorso, per la prima volta, un combustibile fossile, vale a dire il carbone, è stato menzionato per la "riduzione graduale" in un accordo sul clima delle Nazioni Unite. A Sharm diversi paesi e la società civile hanno spinto affinché tutti i combustibili fossili, inclusi petrolio e gas, fossero inclusi per l'eliminazione graduale. ma questo non è accaduto, né è stato in alcun modo rafforzato l'impegno sul raggiungimento dell'obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Ancora peggio per alcuni è stata l'inclusione nel testo dell'accordo del concetto di "basse emissioni" accanto all'energia rinnovabile, che, come abbiamo detto, è una formulazione che potrebbe essere interpretata come un'approvazione del gas, che è un combustibile fossile più pulito del carbone e tuttavia produce emissioni sostanziali per il riscaldamento del pianeta. Nonostante una discussione senza precedenti sull'equa eliminazione graduale di petrolio, gas e carbone, il risultato finale è stato l'ennesimo rifiuto del riconoscimento formale che tutti i fossili stanno causando la crisi climatica e danneggiando le comunità. Al momento la traiettoria delle emissioni è pericolosamente fuori rotta e l'accordo di Sharm fa ben poco per correggerla. Dalla società civile vengono ovunque preoccupazioni: la mancanza di progressi nell'eliminazione graduale dei combustibili fossili mostra l'ipocrisia dei governi dei paesi ricchi nel loro bla bla bla nel mantenere l'aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5 gradi e rivela la egemonia esercitata nella COP dalle industrie dei combustibili fossili. Disappunto anche sull'articolo 6 che regola il mercato del carbonio, l'offsetting e i permessi di emissione. Cerca di bloccare le scappatoie per le industrie e i paesi inquinanti per fare il greenwashing e ritardare le riduzioni delle emissioni di gas serra, ma manca di trasparenza, consente pratiche contabili discutibili, fa marcia indietro sui diritti umani e sui diritti delle popolazioni indigene. Tra i non molti meriti del documento per la prima volta in assoluto, una decisione della COP fa menzione di soluzioni basate sulla natura (nature based) e dedica una sezione alle foreste. Questa è ovviamente un'ottima notizia. Menziona anche il ruolo dell'alimentazione ed anche questa è la prima volta. La formulazione è però piuttosto opaca e non riconosce apertamente il ruolo che i sistemi agricoli svolgono nella generazione di emissioni di carbonio e altri gas serra. Il testo riconosce che gli impatti del cambiamento climatico aggravano le crisi energetiche e alimentari globali, e viceversa. Si parla di sicurezza alimentare e della particolare vulnerabilità dei sistemi di produzione alimentare agli impatti negativi del cambiamento climatico. Parimenti notevole di citazione è il fatto che, anche qui per la prima volta, il testo negoziale accrediti quelli che siamo abituati a chiamare tipping point, cambiamenti irreversibili del clima: "Riconosce l'impatto del cambiamento climatico sulla criosfera e la necessità di ulteriori comprensione di questi impatti, compresi i tipping point". La scienza ha per tempo avvisato di questo tipo di criticità anche oltre la criosfera. Uno studio recente ne ha rilevate cinque già a rischio a 1,1 °C: il crollo della calotta glaciale della Groenlandia, che alla fine produrrà un enorme innalzamento del livello del mare, il crollo di una corrente chiave nell'Atlantico settentrionale, l'interruzione della pioggia da cui dipendono miliardi di persone per il cibo e un improvviso scioglimento del permafrost ricco di carbonio. A 1,5°C di riscaldamento, quattro dei cinque punti critici passano da possibili a probabili. Sempre a 1,5°C, diventano possibili altri cinque punti critici, compresi i cambiamenti nelle vaste foreste settentrionali e la perdita di quasi tutti i ghiacciai montani. In totale, i ricercatori hanno trovato prove di 16 punti critici, con gli ultimi sei oltre i 2°C, su scale temporali che variano da pochi anni a secoli. Durante tutta la conferenza ci sono state critiche sul modo in cui è stata gestita dalla presidenza egiziana. In alcuni momenti sembrava che si stesse muovendo troppo lentamente e negli ultimi due giorni è stato riferito che seguiva procedure tutt'altro che trasparenti, il che significava che era difficile per i delegati essere sicuri che tutti stessero avendo la stessa visione delle cose. Annalena Baerbock, il ministro degli Esteri tedesco, ha rilasciato una dichiarazione accusando la presidenza di "ostruzionismo e carenze organizzative", e ha affermato che solo un'alleanza transcontinentale progressista ha impedito il "fallimento totale della Conferenza". Che ruolo ha avuto l'Europa alla COP 27? Il capo dell'esecutivo, Ursula von der Leyen, ha descritto l'accordo COP 27 come "un piccolo passo verso la giustizia climatica", ma ha affermato che per il pianeta serve molto di più. "Abbiamo curato alcuni dei sintomi ma non curato il paziente dalla febbre. COP 27 ha mantenuto vivo l'obiettivo degli 1.5 °C. Sfortunatamente, tuttavia, non ha ottenuto l'impegno dei principali emettitori mondiali di ridurre gradualmente i combustibili fossili, né nuovi impegni sulla mitigazione del clima". Venerdì, con una drammatica inversione a U, l'Unione Europea ha aderito alle richieste dei paesi poveri di creare un nuovo fondo per affrontare le perdite e i danni causati dal riscaldamento globale, una decisione che ha aperto la strada all'accordo all'inizio di domenica. Si è poi dichiarata lieta che la COP 27 abbia aperto un nuovo capitolo sul finanziamento delle perdite e dei danni e abbia gettato le basi per un nuovo metodo di solidarietà tra chi ha bisogno e chi può aiutare, così contribuendo a ricostruire la fiducia tra Sud e Nord del mondo. C'è una lezione che viene dalla COP 27 per la COP del prossimo anno nello Stato petrolifero per eccellenza, secondo la UCL:
Alla fine della ennesima delusione, tutti stiamo vedendo, ancora una volta, i limiti delle COP nella governance della lotta ai cambiamenti climatici. Come andare oltre? Secondo ancora la UCL quello che serve è un apparato meno ingombrante e più maneggevole, che si concentri sugli aspetti più critici della crisi climatica, che faccia il suo lavoro in gran parte al riparo dei media e che presenti un volto meno amichevole verso il settore dei combustibili fossili. Una via da seguire, quindi, potrebbe essere quella di istituire una serie di organismi più piccoli, ognuno dei quali si occupi di una delle questioni chiave, in particolare energia, agricoltura, deforestazione, trasporti, perdite e danni e forse altri. Tali organismi funzionerebbero a tempo pieno, mantenendosi in contatto tra loro e forse riunendosi un paio di volte all'anno. Idealmente, dovrebbero essere composti da rappresentanti sia dei paesi sviluppati che di quelli della maggioranza del mondo. In contatto diretto con i rappresentanti dei governi nazionali, parte del loro mandato consisterebbe nel negoziare accordi che siano realizzabili, legalmente vincolanti e che effettivamente svolgano il lavoro, sia che si tratti di invertire la deforestazione, ridurre le emissioni di metano o ridurre il consumo di carbone. Man mano che tutti i termini e le condizioni saranno concordati, questi potrebbero essere convalidati e firmati dai leader mondiali come una cosa ovvia e senza la necessità del clamore di una conferenza globale. Per concludere la nostra documentazione, teniamo conto che i commenti sulla COP 27 sono e saranno sempre più numerosi. Incominciamo a segnalare progressivamente i più pertinenti. Il primo posto spetta al Guardian, cui tutti dobbiamo riconoscere un giornalismo di straordinaria qualità nei giorni di Sharm. Ci sono poi IISD, Nature, Carbonbrief, WRI, BBC, Washington Post, Le Monde_1, Le Monde_2, La Repubblica Green and Blue, Climate Home News, Italy for climate, Reuters, The Times, Politico, Huffington Post, Quartz, Financial Times, Axios, El Pais, Bloomberg, Al Jazeera, CMCC, Daily Star, Inside Climate News, Sbilanciamoci, Valigia Blu, Resilience ... 28 Maggio 2022. Transizione ecologica e cambiamenti climatici di Toni Federico Il concetto di transizione non si applica ai cambiamenti climatici. Anzi il clima, come ogni altra risorsa ambientale, deve essere restituito agli equilibri che hanno preceduto l’impennata delle temperature. La lotta ai cambiamenti climatici è piuttosto l’obiettivo principale della transizione ecologica in tutte le sue componenti, in particolare quella energetica che deve garantire la neutralizzazione delle emissioni serra a metà secolo. Le transizioni climatiche, i cosiddetti tipping point, sono viceversa i limiti delle variabili di stato climatiche oltre i quali si determina un cambiamento irreversibile del sistema, del quale non possiamo prevedere le conseguenze. Il clima è gravemente compromesso già oggi, quando siamo ai due terzi dell’anomalia termica media terrestre fissata come limite dall’Accordo di Parigi in +1,5 °C. Le concentrazioni di CO2 alle Hawaii (Mauna Loa), causa principale del riscaldamento terrestre, sono a maggio 2022 di 421,72 ppm, +3,84 ppm in 12 mesi. Le emissioni antropogeniche di questo gas che, ricordiamo, non sono una variabile di stato del sistema climatico ma una forzante esogena, cioè una variabile di input. In piena lotta internazionale ai cambiamenti climatici, sono passate dalle 22,75 Gt del 1990 a 35,5 nell’anno di Parigi (+56%) a 36,7 nel 2019 (+61%) a 36,3 nel 2021 dopo ben due anni di crisi pandemica globale. Il trend marginale della crescita al 2019 era di poco meno di un miliardo di tonnellate all’anno. Ci siamo dati in Europa un ben chiaro obiettivo di abbattimento al 2030 del 55%, rispetto al 1990, confermato dal recente REPower EU, che ci deve portare entro il 2030 in EU 27 da 5,7 a 2,5 Gt, e in Italia da 0,52 a 0,23 Gt di emissioni GHG, mentre oggi siamo ancora a 0,42 Gt. Il salto programmato ha l’aspetto di una brusca inversione di tendenza a livello mondiale e di una estrema accelerazione in Europa e in Italia, ma non si tratta di una transizione, concetto che non si applica alle forzanti ma allo stato del sistema, quanto piuttosto di una forte accelerazione delle politiche di mitigazione. Mitigazione ed adattamento sono i due approcci possibili alla lotta per il clima. Mitigare significa ridurre le forzanti dell’effetto serra in atmosfera, cioè le emissioni. Le riduzioni non possono avere effetto immediato sulle concentrazioni, e quindi sulla temperatura media terrestre, a causa della lunga persistenza in atmosfera dei vari gas, che per la CO2 supera i cento anni. La mitigazione ha un effetto globale, come le emissioni che si diffondono rapidamente su scala mondiale. Dovunque effettuata, la mitigazione beneficia l’intero pianeta. Per converso le emissioni di ogni paese danneggiano l’intera umanità per tutto il tempo di permanenza dei gas in atmosfera. Ne deriva che le responsabilità del cambiamento climatico non sono addebitabili al paese che sta emettendo di più su base annua (la Cina), ma a quello che ha il valore massimo dell’integrale delle emissioni su tutto il tempo delle permanenze in atmosfera dei diversi gas (gli Stati Uniti, seguiti dall’Europa). Per una autentica giustizia climatica lo sforzo di mitigazione dovrebbe essere proporzionato al danno arrecato sia in termini di responsabilità storica che di emissioni procapite anche considerando le importazioni ma, questo principio (il noto “chi inquina, paga”) non ha trovato udienza nel negoziato multilaterale sul clima, così perpetuando uno stato di tensione tra Sud e Nord del Mondo con la Cina, ormai il grande emettitore, a fare da avvocato dei paesi in via di sviluppo. L’uso del suolo è causa indiretta di emissioni equivalenti. Qui è in causa lo stato di conservazione del bioma terrestre e degli oceani, capaci entrambi di assorbire CO2 dall’atmosfera, talché la deforestazione di una determinata area verde o forestale, la impermeabilizzazione, la desertificazione di un territorio e il riscaldamento oceanico si traducono in quantità equivalenti di CO2 che restano in atmosfera assumendo il ruolo di emissioni virtuali. Qui c’è spazio per le cosiddette Nature Based Solution, NBS, una tipologia di interventi per proteggere e gestire in modo sostenibile le risorse naturali e gli ecosistemi... in grado di portare benefici sia per la qualità della vita umana che per la biodiversità (IUCN). Al momento attuale si valuta che a livello mondiale il contributo dell’uso del suolo, delle foreste e dei relativi cambiamenti (LULUCF) equivalga ad una significativa fonte netta di emissioni di GHG, contribuendo a circa il 23% delle emissioni antropogeniche di CO2, metano e protossido di azoto nel 2007-2016, calcolato in CO2eq. Per EU 27 nel 2019 il bilancio è vantaggioso, pari a -249 MtCO2eq e per l’Italia è pari a -40 MtCO2eq. Alcune NBS si possono prestare a forme di greenwashing , come il carbon offsetting, alberi in cambio di emissioni, utilizzato da aziende di ogni tipo per mettere in atto una sorta di carbon land grab (Monbiot). Se si calcola che la riforestazione può catturare al massimo 2,5 Gt di CO2 ogni anno (il 6% delle emissioni) i programmi di offsetting dovrebbero occupare 3,6 Mkm2, oltre la metà di tutta la terra disponibile nel mondo per praticare qualche forma di offset. L’adattamento è invece l’insieme delle politiche di intervento sul territorio che dovrebbero contenere gli effetti del cambiamento climatico, riducendo la vulnerabilità dei sistemi naturali, sociali ed economici. Per un verso non ci possono essere politiche, misure o cambiamenti capaci di contrastare gli eventi climatici estremi, in aggravamento già con un warming medio di un solo °C; per un altro verso le azioni di adattamento sono necessariamente locali, ne beneficiano solo le comunità che le mettono in atto e sono le più disparate e non sono nemmeno necessariamente green. Adattamento e mitigazione sono pertanto complementari e sono sinergici solo in alcuni casi, come avviene per le soluzioni NB. Per ridurre l’impatto dei fenomeni estremi, come tifoni e inondazioni, si può infatti ricorrere alla protezione, rigenerazione e ampliamento delle barriere naturali costiere, costituire dai mangrovieti, dalle aree umide o dalle strutture coralline. Operazioni che garantiscono anche una fonte vitale di cibo e di materiali per le popolazioni locali.
Gli strumenti a disposizione sono quelli della transizione energetica e dell’economia circolare. Negli ultimi trent’anni in Italia si è assistito ad un processo di decarbonizzazione molto significativo nel settore elettrico. Fra il 1990 e il 2019 la generazione elettrica da fonti fossili è rimasta stabile (-2%) ma il mix è cambiato, con il carbone ridotto del 40% e il gas che ha sostituito il petrolio come fonte primaria. La crescita della produzione nazionale di elettricità nel periodo (+35%) è avvenuta totalmente a carico delle fonti rinnovabili, che in trent’anni sono più che triplicate e hanno raggiunto oggi il 40% della produzione nazionale. Nel 1990 era il 16%, allora composto solo da idroelettrico e geotermico. Nel 2020 la generazione elettrica ha subito una lieve contrazione del 5%, avvenuta interamente a carico delle fonti fossili. In trent’anni il settore elettrico nazionale ha più che dimezzato le proprie emissioni specifiche passando da 578 nel 1990 a 258 gCO2/kWh nel 2020. Questo imponente processo di decarbonizzazione è dovuto innanzitutto alla penetrazione delle fonti rinnovabili, in particolare tra il 2008 e il 2014, in secondo luogo ai miglioramenti tecnologici e di efficienza degli impianti alimentati a gas naturale e infine al graduale phase out del carbone, iniziato nel 2012 e acceleratosi negli ultimi anni. La più attesa delle transizioni abilitanti è quella dei trasporti, responsabili di oltre 109 MtCO2eq di GHG e ancora dipendenti dai combustibili fossili per più dell’80%. Con il 25% delle emissioni totali, i trasporti sono il terzo settore a livello nazionale in termini di emissioni GHG, dopo l’industria e gli edifici. Sono l’unico settore che non ha ridotto le proprie emissioni dal 1990. Il 97% delle emissioni dei trasporti deriva dall’utilizzo di carburanti fossili. Le emissioni associate ai consumi elettrici sono il 3% del totale e riguardano ancora quasi esclusivamente il trasporto su rotaia, sia urbano che extraurbano. Il modo di spostare passeggeri e merci in Italia resta profondamente insostenibile da molti punti di vista, con un impatto negativo sulla qualità della vita di milioni di cittadini. Quello che si chiede è ridurre il più possibile la domanda di trasporto e decarbonizzare la domanda rimanente tramite l’utilizzo di veicoli a emissioni zero, per tre obiettivi: risparmiare traffico evitando gli spostamenti non necessari (avoid); attuare lo spostamento modale di passeggeri e merci verso sistemi di trasporto pubblico a basso impatto (shift); migliorare l’efficienza propria del mezzo di trasporto per mezzo dell’elettrificazione (improve). L’industria è il primo settore per emissioni GHG in Italia: nel 2019 è responsabile del 37% delle emissioni nazionali (46% nel 1990). Al tempo stesso, l’industria ha contribuito più di ogni altro settore alla mitigazione: dal 1990 al 2019 le emissioni si sono ridotte del 36%, pari a 86 MtCO2eq, in buona parte per l’elettrificazione, l’innovazione e anche per il rallentamento della produzione industriale, aggravato dalla crisi economico - finanziaria del 2008. L’intensità carbonica del valore aggiunto si è ridotta di oltre un terzo dal 2005 al 2019, segnando un importante trend di decarbonizzazione che si è arrestato solo nel 2020 a causa della pandemia. Il settore degli edifici è il secondo per emissioni in Italia, con 116 MtCO2eq, il 57%, lo stesso del 1990 quando però era il 70% del totale. Gli edifici residenziali hanno ridotto le emissioni del 26% mentre gli edifici del terziario le hanno aumentate del 25%, in linea con la crescita economica del settore. Nel periodo dal 1990 al 2019, le emissioni del settore agricolo si sono ridotte del 13% passando da 46 a 40 MtCO2eq, principalmente per la riduzione delle emissioni non energetiche che assommano a circa i tre quarti delle emissioni del settore. Di queste, quasi due terzi, la metà delle emissioni totali del settore agricolo, sono originate dagli allevamenti di bestiame, a causa della digestione enterica degli animali (oltre 13 MtCO2eq) ma anche della gestione delle deiezioni (6,3 MtCO2eq). La rimanente parte delle emissioni non energetiche riguardano la gestione del suolo agricolo (8,1 MtCO2eq). Tutte le fonti che compongono la parte non energetica delle emissioni agricole si sono ridotte o sono rimaste stabili negli ultimi trent’anni, con la gestione del suolo agricolo che ha fornito il contributo più significativo alla comunque lieve riduzione delle emissioni (fonte: I4C). Dobbiamo definire un sistema alimentare sostenibile, solido e resiliente in accordo con la strategia europea Farm to Fork che garantisca sicurezza alimentare e riduca l'impronta climatica e ambientale, promuovendo la riduzione degli sprechi e il passaggio a regimi alimentari sani e sostenibili, dal punto di vista dell'accesso al cibo, della salute e dell'ambiente, basati maggiormente sul consumo di frutta, verdure e cereali, anche per contenere il grave impatto della zootecnia sui cambiamenti climatici e sulle materie prime. Sul fronte dell’adattamento la Strategia italiana non ha ancora trovato applicazione sul territorio a causa della mancata finalizzazione del cosiddetto PNACC, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici. La procedura di VAS, infatti, ne ha messo in evidenza i numerosi limiti, comportando la necessità di apportare correzioni e modifiche con un allungamento delle tempistiche di approvazione. È da 15 anni che si discute del tema in Italia ma ancora si agisce con lentezza, pur nella consapevolezza che il nostro territorio sia altamente vulnerabile. In quest’ottica è quindi grave l’assoluta assenza dell’adattamento (o di qualche richiamo al PNACC che ne potesse accelerare l’approvazione e implementazione) nel PNRR dove si parla solo di dissesto idrogeologico. In discussione è anche il target 13.2 dell’Agenda 2030 che prescrive di migliorare l'istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale riguardo ai cambiamenti climatici in materia di mitigazione, adattamento, riduzione dell’impatto e di allerta precoce. Pandemia guerra e soprattutto malcelati opportunismi sembrano aver sottratto all’attenzione della politica e del pubblico la grave minaccia dei cambiamenti climatici: un problema in meno, si dirà, salvo poi ad accorrere all’ultimo momento quando sarà troppo tardi. L’obiettivo dell’Agenda sembra ormai nelle mani delle giovani e dei giovani, delle organizzazioni della società civile, dei movimenti come FfF, delle donne, le cui associazioni sono meno ciniche delle controparti maschili, e perfino dei bambini (UNICEF). Riteniamo che l’Italia debba dotarsi al più presto di una Legge nazionale sul clima, seguendo il modello europeo. La Legge dovrà stabilire tutte le modalità, gli obblighi e i target della mitigazione e dell’adattamento, assicurando i relativi finanziamenti. Può sostituire e finalizzare il PNIEC, di ingloriosa memoria, ormai dimenticato dal MITE, perché stabilirebbe i fini obbligatori della decarbonizzazione e, con essi, i mezzi necessari a intraprendere un percorso ormai condiviso e reso obbligatorio dall’Europa.
2021. DOPO LA PANDEMIA LA COP 26 di GLASGOW. PHASEOUT DEL CARBONE (Resoconti disponibili su VOLUME V) Sabato 13 Novembre 2021. Finisce qui la COP 26 con l'Assemblea plenaria di chiusura e il documento finale emendato dall'India
Oggi alle 8:00 precise vengono rilasciati una nuova bozza di accordo finale in sette pagine e 71 punti, e una nuova bozza di decisione dell'organismo di gestione dell'Accordo di Parigi, CMA, in nove pagine e 97 punti. L'assemblea informale di stocktaking è rimandata di qualche ora al primo pomeriggio. Il confronto tra i due documenti, quello di oggi e quello di mercoledì, mette in evidenza qualche ulteriore passo indietro frutto della negoziazione e delle discussioni di questa notte. La terza bozza di questa mattina ha mantenuto le risoluzioni chiave per perseguire i tagli delle emissioni di gas serra in linea con l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C. Alle nazioni verrà chiesto di tornare il prossimo anno per rafforzare i loro obiettivi sui tagli alle emissioni, gli NDC che finora sono inadeguati, e per accelerare l'eliminazione graduale dei sussidi per l'energia a carbone e i combustibili fossili. I delegati studieranno attentamente la decisione fino all'una, ora locale, quando saranno chiesti i loro commenti, dopo di che la presidenza cercherà di passare rapidamente a una sessione conclusiva in cui possono essere adottate le decisioni finali. I paesi lasceranno Glasgow ben consapevoli che gli attuali impegni collettivi per la riduzione delle emissioni entro il 2030 non sono abbastanza ambiziosi. Non sono allineati con l'obiettivo dell'accordo di Parigi di mantenere l'aumento del riscaldamento ben al di sotto dei 2 °C e di proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C. La migliore delle stime pubblicate in questi giorni proietta l'anomalia termica a fine secolo a 2,4 °C, guadagnando appena 0,3 °C rispetto agli NDC ufficiali di Luglio. Il progetto di testo della presidenza invita inoltre tutti i paesi ad accelerare gli sforzi verso l'eliminazione (phaseout) dell'energia a carbone e dei sussidi inefficienti (termine rimasto per tutti misterioso) per i combustibili fossili. L'atmosfera dei colloqui è stata generalmente costruttiva, sebbene alcune nazioni abbiano cercato di annacquare gli accordi sull'eliminazione graduale dei combustibili fossili e di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. I paesi in via di sviluppo vogliono, da parte loro, ulteriori garanzie sui finanziamenti per il clima, necessari per aiutarli a far fronte agli impatti di condizioni meteorologiche estreme, perdite e danni. La plenaria conclusiva ha inizio alle 19:25 di Sabato. All'esterno Greta Thunberg sventola il cartellino rosso alla COP 26. Le opposizioni di Cina ed India al phaseout tendenziale del carbone e dei combustibili fossili sembrano insuperabili, così come la riluttanza dei paesi poveri al testo del documento a causa del deficit dei finanziamenti tanto del GCF di Copenhagen quanto delle perdite e danni di Varsavia, il WIM. Cina ed India alla fine avranno ragione della resistenza presidenziale. Il testo viene emendato last minute suscitando una marea di dissensi. Dopo il primo, cash, salta così anche il terzo punto del programma della presidenza inglese: il coal. Opportunamente Boris Johnson si guarda bene dal farsi vedere. Draghi non può fare diversamente. Hollande a Parigi era andato. Il Presidente Sharma, visibilmente contrariato, nel suo ultimo commosso intervento dichiara: "è il momento della decisione e delle scelte di importanza vitale che tutti voi avete impostato e che hanno lanciato un decennio di crescente ambizione sui temi come l'adattamento, la mitigazione, la compensazione delle perdite finanziarie e dei danni e per rimanere sulla strada per mantenere gli 1,5 °C a portata di mano. Abbiamo confermato l'obiettivo dei cento miliardi di dollari e abbiamo quantificato il nuovo obiettivo per la Climate Finance. Queste decisioni concludono gli elementi in sospeso del libro delle regole dell'Accordo di Parigi. Credo che le decisioni che stiamo per prendere dimostrino la rilevanza e la leadership di questo processo multilaterale che promuovono un'azione per il clima inclusiva, riconoscendo l'importante ruolo svolto dai giovani, dalla società civile, delle popolazioni indigene, delle comunità locali e degli altri stakeholder. Ci complimentiamo per l'impressionante impegno e le azioni di tutti coloro che si sono uniti a noi a Glasgow nella nostra visione cash, car, coal, trees. I negoziati sono stati tutt'altro che facili. ve lo dico sinceramente, ma sono rimasto colpito dall'impegno che avete dimostrato per portare a termine il nostro lavoro, per creare consenso su un'agenda senza precedenti e alla fine concordare qualcosa di significativo per la nostra gente e il nostro pianeta. Ognuno di voi e la nazione che rappresentate si è fatto avanti qui a Glasgow accettando di fare ciò che serve per mantenere gli 1.5 °C alla portata. è mio grande onore accompagnarvi attraverso la procedura formale di adozione della decisione finale. Pertanto invito ora la COP ad adottare la decisione denominata Patto sul clima di Glasgow contenuta nel documento FCCC/PA/CMA/2021/L.16. Rispetto a questo testo l'India ha proposto un emendamento dell'ultimo minuto che sostituisce il "phase out" del carbone con un "phase down", ovvero una riduzione graduale. Il nuovo testo in lingua originale è: Parties would commit to “escalating efforts to phase down unabated coal power and inefficient fossil fuel subsidies while providing targeted support to the poorest and the most vulnerable in line with national circumstances and recognising the need for support towards a just transition.” Il testo di questa mattina era invece: “including accelerating efforts towards the phase out of unabated coal power and inefficient fossil fuel subsidies, recognising the need for support towards a just transition.” In data 17 novembre il Glasgow Climate Pact, emendato, si trova ancora in forma "unedited" sui siti UN FCCC. In precedenza, India, Iran e alcuni altri paesi avevano espresso opposizione ai riferimenti alla graduale eliminazione dei sussidi al carbone e ai combustibili fossili. Molti delegati dei paesi svantaggiati hanno espresso il loro disappunto per la proposta dell'India, ma hanno affermato che l'avrebbero accettata, sia pure con riluttanza. Il testo non prevede strumenti di finanziamento specifici per perdite e danni, una richiesta cruciale dei paesi in via di sviluppo. Ma la Guinea, parlando a nome dei paesi del G77, ha affermato che con questa grave mancanza "si può convivere", purché non porti pregiudizio alle nostre sacrosante aspirazioni. "Accettiamo questo cambiamento con la massima riluttanza", hanno detto le Isole Marshall. La Svizzera fa eco alla delusione generale dei paesi occidentali, ribadisce che l'eliminazione del carbone è indispensabile ma non si oppone al documento emendato dall'India. Pesante il dissenso dell'Europa, che si sente tagliata fuori dall'intesa USA - Cina. "Sappiamo benissimo che il carbone non ha futuro", afferma Timmermans, chairman del clima dell'UE, "ma questo non dovrebbe impedirci di prendere oggi una decisione storica". "Per il bene più grande, dobbiamo ingoiare questo boccone amaro", ha dichiarato il Lichtenstein. L'Europa dichiara: "è importante che siamo stati in grado di concordare sulla necessità di ridurre significativamente le emissioni globali in questo momento critico in cui le parti devono aggiornare i loro NDC per dare risposta all'emergenza climatica in linea con ciò che la scienza dice per mantenere vivo l'obiettivo degli 1,5 °C. Per l'UE è di fondamentale importanza che si sia stati in grado di concludere il Rulebook che consentirà di attuare pienamente l'accordo di Parigi. Altrettanto importante è la determinazione ad aumentare la finanza per il clima soprattutto per l'adattamento per i paesi in via di sviluppo più vulnerabili. EU si impegna ad aumentare i suoi contributi e a sostenere la Rete di Santiago per perdite e danni. Il fatto che abbiamo stabilito che dobbiamo mantenere in vita gli 1,5 °C è di importanza storica, ha aggiunto Timmermans. Per molta gente gli 1.5 °C non significano niente. Ma noi potremo dire ai nostri figli che, se facciamo quello che abbiamo promesso qui, l'umanità imparerà a vivere dentro precisi confini, il che significa che c'è un futuro prospero per ogni essere umano su questo pianeta. John Kerry, che certamente ha consentito a Cina e India di prevalere, dichiara che: "La negoziazione perfetta è quella che scontenta tutti", con buona pace di Obama. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato che i testi finali sono sostanzialmente dei compromessi che riflettono gli interessi, le condizioni, le contraddizioni e lo stato della volontà politica nel mondo di oggi. “Stiamo ancora bussando alla porta della catastrofe climatica”, ha detto."... credo ancora che il mondo debba eliminare gradualmente il carbone, porre fine ai sussidi ai combustibili fossili e dare un prezzo al carbonio, oltre a onorare l'impegno di 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima a sostegno dei paesi in via di sviluppo. Non abbiamo raggiunto questi obiettivi in questa conferenza. Ma abbiamo alcuni elementi per andare avanti”. In poche ore, a fine Conferenza, sono stati annunciati e pubblicati resoconti e commenti da tutte le parti, operatori, esperti, giornalisti, radio e TV, per lo più improntati ad uno scetticismo che talvolta è interessato, talaltra segno di delusione da parte di chi, nel combattimento contro i cambiamenti climatici, non vuol cadere nella abusata trappola di dare spazio a chi cerca di far profittare i propri interessi in salsa green. Ma quella che impressiona è la mobilitazione intorno ai temi del clima, che a questi livelli non si era mai vista: la società civile è in moto e questo ci sembra più importante degli esiti della riunione di condominio di Glasgow o del G20.
24 Giugno 2021. Il Parlamento europeo approva la EU Climate Law, la legge delle leggi
La legge sul clima guiderà la governance dell'UE nei prossimi decenni, a cominciare dall'ampio pacchetto di politiche che la Commissione proporrà il 14 luglio, progettate per ridurre le emissioni più velocemente per raggiungere gli obiettivi climatici. Comprenderà obiettivi più ambiziosi in materia di energie rinnovabili, riforme del mercato del carbonio dell'UE e norme più severe in materia di CO2 per le nuove auto. La maggior parte delle leggi dell'UE sono progettate per raggiungere il precedente obiettivo del blocco di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030 e necessitano di un aggiornamento per raggiungere i nuovi obiettivi. Le emissioni dell'UE nel 2019 sono state inferiori del 24% rispetto al 1990. I nuovi obiettivi sono progettati per mettere l'UE su un percorso che, se seguito a livello globale, limiterebbe l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C, come richiesto dall'Accordo di Parigi. Il 28 giugno i rappresentanti dei paesi membri dell'UE approveranno formalmente la legge. Parlamento e Ue firmeranno poi il testo, un passaggio formale, prima che diventi legge. La legge crea un organismo indipendente di esperti scientifici, due per ciascun paese, per fornire consulenza sulle politiche climatiche, seguire le indicazioni dell'IPCC e definire il budget per i gas serra per le emissioni totali che l'UE può produrre dal 2030 al 2050 per raggiungere i suoi obiettivi climatici. Dopo il 2050, l'UE punterà alle emissioni negative. La Commissione presenterà una proposta per un ulteriore obiettivo per il 2040 sei mesi al più tardi dopo la prima revisione globale nel 2023 prevista dall'Accordo di Parigi. La commissione pubblicherà una stima della quantità massima di emissioni di gas serra che l'UE può emettere fino al 2050 senza mettere in pericolo gli impegni di Parigi (il cd. carbon budget), che servirà anche per definire l'obiettivo rivisto dell'UE per il 2040. Entro il 30 settembre 2023, e successivamente ogni cinque anni, la Commissione valuterà i progressi collettivi compiuti da tutti i paesi dell'UE, nonché la coerenza delle misure nazionali, verso l'obiettivo dell'UE di diventare climaticamente neutra entro il 2050. La proposta di Climate Law dovrebbe essere approvata a breve dal Consiglio europeo. Sarà poi pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore 20 giorni dopo.
10 Marzo 2021. Il Parlamento europeo propone l’adozione del Carbon Border Adjustment Mechanism Con un meccanismo di adeguamento alle frontiere, CBAM, il prezzo delle merci importate in Europa rifletterebbe più accuratamente il loro contenuto di carbonio. Ciò garantirebbe che gli obiettivi climatici dell'UE non siano compromessi dal trasferimento della produzione in paesi con politiche climatiche meno ambiziose. Nell'ambito del sistema di scambio di quote di emissioni dell'UE (ETS), le industrie dell'UE si trovano ad affrontare una riduzione del limite delle emissioni verso il 2030, insieme a un prezzo da pagare se le emissioni superano un certo livello di riferimento. L'obiettivo è quello di guidare le industrie europee verso un percorso di riduzione delle emissioni di gas serra. Tuttavia, le importazioni nell'UE non sono soggette all'ETS e quindi acquisiranno un vantaggio competitivo sempre maggiore se i produttori di paesi terzi beneficeranno di costi del carbonio interni inferiori o nulli. Nell'attuale sistema ETS, l'assegnazione gratuita di diritti di emissione a livelli di riferimento mira a salvaguardare la competitività dell'industria ed evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Tuttavia, più diventeranno asimmetrici gli obiettivi di emissione e le misure politiche, più sarà fondamentale livellare efficacemente le condizioni di scambio per l'industria dell'UE attraverso disposizioni rafforzate sulla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Nel 2015 il rapporto tra le emissioni importate e le emissioni esportate dall'UE era di 3:1, dal momento che l'UE importava 1317 Mt di CO2 e ne esportava 424. L'UE è il principale importatore di carbonio al mondo e il tenore di carbonio delle merci esportate dall'UE è nettamente inferiore a quello delle merci importate. Il Parlamento Europeo, nella sua risoluzione del 10 marzo 2021, parte dalla osservazione che gli sforzi europei volti a contrastare i cambiamenti climatici sono superiori alla media degli sforzi internazionali e sottolinea che, per misurare l'impronta climatica complessiva dell'Unione, è necessario un efficace metodo di rendicontazione che tenga conto delle emissioni delle merci e dei servizi importati. Circa il 27 % delle emissioni globali di CO2 dovute alla combustione riguarda attualmente merci scambiate a livello internazionale. Alle importazioni nette di beni e servizi nell'UE è riconducibile oltre il 20 % delle emissioni interne di CO2 dell'Unione. Benché l'UE abbia notevolmente ridotto le sue emissioni interne di gas serra, le emissioni GHG incorporate nelle importazioni verso l'UE hanno registrato un costante aumento, compromettendo in tal modo gli sforzi compiuti dall'UE per ridurre la sua impronta carbonica globale. Il Parlamento chiede pertanto alla Commissione di mettere a punto metodologie intese a determinare l'impronta di carbonio e ambientale di ogni prodotto, adottando un approccio basato sull'intero ciclo di vita e garantendo che la contabilizzazione delle emissioni incorporate dei prodotti sia quanto più realistica possibile, includendo le emissioni prodotte dai trasporti internazionali. Sulla base di tale metodologia si può dare attuazione al meccanismo di CBAM previsto dal Green Deal, a condizione che sia compatibile con le norme del WTO e con gli accordi di libero scambio dell'UE, che non sia discriminatorio e non costituisca una restrizione dissimulata del commercio internazionale. Un CBAM creerebbe un incentivo per le industrie europee e i partner commerciali dell'UE a decarbonizzare le proprie industrie e sosterrebbe pertanto le politiche climatiche dell'UE e globali a favore della neutralità GHG in linea con gli obiettivi dell'accordo di Parigi. Il CBAM dovrebbe essere concepito esclusivamente per promuovere gli obiettivi climatici e non dovrebbe essere utilizzato impropriamente come strumento per rafforzare il protezionismo, le discriminazioni o le restrizioni ingiustificabili e al contempo dovrebbe essere non discriminatorio e mirare a garantire condizioni di parità a livello globale. Il Parlamento chiede alla Commissione di proporre, a integrazione dell'introduzione del CBAM, norme e standard più ambiziosi e vincolanti relativi alla riduzione delle emissioni GHG e ai risparmi in termini di risorse e di energia per i prodotti immessi sul mercato dell'UE, a sostegno del quadro strategico in materia di prodotti sostenibili e del nuovo piano d'azione per l'economia circolare. Ritiene che, al fine di evitare eventuali distorsioni nel mercato interno e lungo la catena del valore, il CBAM dovrebbe applicarsi a tutte le importazioni di prodotti e materie prime coperti dal sistema EU ETS, anche se integrati in prodotti intermedi o finali. In una fase iniziale (già entro il 2023) e previa una valutazione d'impatto, il CBAM dovrebbe applicarsi al settore energetico e ai settori industriali ad alta intensità energetica come quelli del cemento, dell'acciaio, dell'alluminio, della raffinazione del petrolio, della carta, del vetro, dei prodotti chimici e dei fertilizzanti, che continuano a beneficiare di consistenti quote gratuite e rappresentano tuttora il 94 % delle emissioni. Il contenuto di emissioni GHG delle importazioni dovrebbe essere contabilizzato sulla base di parametri di riferimento trasparenti, affidabili e aggiornati per prodotto a livello degli impianti nei paesi terzi e che, qualora l'importatore non renda disponibili i dati, dovrebbe essere contabilizzato il contenuto medio globale di emissioni GHG dei singoli prodotti, ripartito per i diversi metodi di produzione che presentano intensità di emissioni differenti. La fissazione del prezzo del carbonio per le importazioni dovrebbe coprire le emissioni dirette e indirette e quindi anche tenere conto dell'intensità di carbonio della rete elettrica di ciascun paese o, qualora l'importatore renda disponibili i dati, l'intensità di carbonio del consumo energetico a livello di impianto. Per affrontare il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di CO2, nel rispetto delle norme del WTO, il CBAM deve imporre oneri per il contenuto di carbonio delle importazioni in modo da rispecchiare i costi del carbonio sostenuti dai produttori dell'UE e la fissazione del prezzo del carbonio dovrebbe rispecchiare l'evoluzione dinamica del prezzo delle quote dell'UE nel quadro del sistema EU ETS. Secondo il Parlamento gli importatori dovrebbero acquistare le quote da una riserva distinta di quote rispetto all'EU ETS, in cui il prezzo del carbonio corrisponde a quello del giorno dell'operazione nell'EU ETS. L'iniziativa deve mirare a rendere superfluo il CBAM man mano che il resto del mondo avrà raggiunto il livello di ambizione che l'UE ha fissato in termini di riduzione delle emissioni di CO2. A tal fine la Commissione deve intensificare gli sforzi per conseguire una fissazione del prezzo globale della CO2 e per agevolare il commercio di tecnologie per la protezione del clima e dell'ambiente, ad esempio attraverso iniziative di politica commerciale come l'accordo sui beni ambientali del WTO. Consequenzialmente l'attuazione del CBAM deve essere accompagnata dall'eliminazione di tutte le forme di sovvenzioni dannose per l'ambiente concesse alle industrie ad alta intensità energetica a livello nazionale.
2019. LA COP 25 di MADRID. TIME FOR ACTION (Resoconti disponibili su VOLUME V) Domenica 15 Dicembre 2019. Termina una inutile COP 25 a Madrid. Conclusioni e cronaca giorno per giorno hanno finalmente avuto un po' di attenzione da parte dei media italiani
P er chi come noi del comitato scientifico segue e rendiconta da anni, giorno dopo giorno, le varie sessioni del negoziato per il clima, la penna si fa pesante nel registrare un'altra delusione ancora. COP 25 è stata sostanzialmente inutile, nonostante la ormai enorme mobilitazione, in particolare dei giovani, tranne che per un aspetto: COP 25 ha messo definitivamente in chiaro che esiste una ridotta di paesi sedicenti avanzati, che ne guidano alcuni altri che avanzati non sono, che non intende rinunciare di un epsilon ai propri affari fossili. Lo scontro con i volenterosi o come li volete chiamare è ormai netto. Il negoziato è negato in radice quando le parti vanno in trincea. Sarà difficile con la sola arma del blame and shame arrivare ad un compromesso e salvare Parigi, né gli appelli alla COP 26 dell'anno prossimo riusciranno a tanto. Il cambiamento climatico ci verrà addosso con tutta la sua forza e pagheranno i più deboli.Ci consola relativamente che stampa e TV italiane si siano finalmente accorte che esiste un problema climatico, più per merito di Greta che per il drammatico spettacolo di Venezia. Così possiamo trovare le cronache climatiche sulle pagine dei giornali e dei TG, e forse questo nostro lavoro non serve più. Ma l'atteggiamento dei giornalisti, benché in divenire, sembra ancora di chi pensa che i nostri problemi sono ben altri. La sinistra si distingue, guarda un po', per i suoi distinguo, un esempio dei quali sono gli articoli di un sempre più desolante Federico Rampini su Repubblica. La destra è viceversa compatta sul chissenefrega. Intanto quali conclusioni dalla COP 25? • La COP 25 aveva il motto "Time for action" e avrebbe dovuto essere, secondo la presidenza cilena, l'occasione per dispiegare le nuove ambizioni in vista dell'impegno per il 2020, preso a Parigi, di rappresentare una progressione che rispecchi la più alta ambizione possibile di ogni paese, anche se molti NDC coprivano il periodo fino al 2030. Il testo di Parigi non richiede esplicitamente nuovi impegni: le parti possono semplicemente [ri] comunicare la stessa offerta che avevano fatto nel 2015 o nel 2016. Dato che gli attuali NDC non sono sufficienti per limitare il riscaldando a 1,5 °C, ci sono stati sforzi nelle COP successive a concordare messaggi che richiedono maggiori ambizioni da tutte le parti. COP 25 era il vertice finale prima della scadenza del 2020, ed è quindi stata vista da molti, ONU, Cile e Spagna compresi, come un ltima possibilità per garantire maggiore ambizione. Allo stato solo 80 paesi, principalmente paesi piccoli e in via di sviluppo, hanno dichiarato la loro intenzione di migliorare i loro NDC entro il 2020, rappresentando solo il 10,5% delle emissioni mondiali. Tutti i grandi emettitori sono assenti da questo elenco. Fa eccezione l'Europa, della quale abbiamo rappresentato nel corso della settimana finale il Green Deal climatico, che però non ha avuto effetti di trascinamento. • La versione di sabato del documento finale della COP 25 si limitava a "reiterate the invitation to parties to communicate their plans". Meno di niente. Forti reazioni generalizzate portavano domenica all'ora di pranzo a un nuovo testo di 1/CMA.2 che richiama con grave preoccupazione l'urgente necessità di affrontare il divario significativo tra l'ambizione attuale e gli obiettivi di limitare il riscaldamento a 1,5 °C o ben al di sotto di 2 °C. Al paragrafo 7, il testo esorta le parti a considerare [quel] divario quando [ri] comunicano o aggiornano i loro NDC, anche se non in un tempo stabilito. Chiede inoltre al segretariato dell'UNFCCC di preparare un rapporto sommando gli NDC prima della COP 26. poco più di niente. • Tutti i problemi del mercato del carbonio di cui all'articolo 6 di Parigi, così come i requisiti di rendicontazione, trasparenza e tempi comuni per gli impegni sul clima sono stati tutti rimandati al 2020, quando i paesi dovrebbero anche sollevare l'ambizione dei loro sforzi. Sull'articolo 6 alla fine della settimana l'accordo era sembrato molto vicino, ma così non è stato. Se ne riparlerà a Bonn, a giugno 2020, una specie di COP 25 e mezza, ricominciando da capo, come molti temono. Lo scontro duro è stato e sarà sul double counting e sul riuso dei permessi di emissione di Kyoto. Poche le prospettive di accordo. • Ci sono state iniziative per aumentare l'ambizione da parte di alcuni attori non statali, ad esempio di 177 aziende, parti della Climate Ambition Alliance, disponibili a tagliare le loro emissioni in linea con l'obiettivo degli 1.5 °C, dopo che un gruppo di 477 investitori, che controllano 34 GUS$ in attività, avevano invitato i leader mondiali ad aggiornare i loro NDC e intensificare l'ambizione. Nessun effetto. • Su Loss and damage la discussione è stata durissima ma alla fine hanno avuto ragione gli Stati Uniti, che pure stanno uscendo da Parigi, nel rifiutare ogni responsabilità e ogni finanziamento aggiuntivo da parte dei paesi sviluppati, anche a testimonianza del loro rifiuto di assumersi una responsabilità diretta di tali danni. Resta un rimando al GCF, peraltro non ancora finanziato, e un generico invito ad una generica platea di donatori ad aumentare la contribuzione. • Sulla contemporaneità dell'assunzione degli NDC, nota come common timeframes, alla fine, non è stato possibile raggiungere un accordo a Madrid e la questione sarà ripresa automaticamente alla prossima riunione intersessionale a Bonn. • Nessun accordo sui formati e i contenuti del reporting. Rinvio a Bonn anche qui. • Entrambi i Rapporti dell'IPCC, quello sugli 1,5 °C, SR15, e quello sugli oceani, SROCC, sono stati solo registrati (noted), piuttosto che accolti (welcomed), dalla risoluzione politica finale. In più il documento esprime gratitudine e riconoscenza agli scienziati che hanno fatto il lavoro. • Sugli effetti dei cambiamenti climatici su oceani e terraferma in materia di adattamento, uno dei testi delle decisioni finali chiede che sia aperto un dialogo a Bonn nel giugno 2020. • Una delle poche, se non l'unica storia di successo alla COP di quest'anno è stata una decisione sul nuovo piano d'azione quinquennale per il genere (GAP), destinato a supportare l'implementazione delle decisioni e dei mandati relativi al genere nell'UNFCCC. Tutto ciò premesso, cioè una battuta d'arresto esiziale, pur conservando al prossimo anno il ruolo di un importante traguardo per l'Accordo di Parigi, molti alla COP 25 stavano addirittura prendendo in considerazione il fatto che potrebbe essere necessario cambiare l'intero processo delle COP dopo Glasgow e ripensare tutto il metodo multilaterale della negoziazione sul clima. I fatti però suonano diversamente. La UK (e l'Italia, partner della COP 26 che fine ha fatto?), ora con un governo conservatore e populista, dovrà fronteggiare la brexit in totale disaccordo con la Scozia che ospiterà la COP 26. Il presidente scozzese della COP 26, Claire O’Neill, non ha potuto nemmeno aprir bocca a Madrid perché impedita da una legge che regola i periodi pre- elettorali. Si attendono i risultati di un vertice UE-Cina a settembre 2020 e le elezioni presidenziali statunitensi a novembre. Entrambi gli eventi potrebbero svolgere un ruolo critico nell'ambizione climatica, inviando un chiaro segnale di intenzione di altri paesi o, nel caso degli Stati Uniti, invertendo la decisione di lasciare l'accordo di Parigi. Nel frattempo i vertici del G7 e del G20 del prossimo anno saranno organizzati dai paesi che hanno svolto un ruolo dirompente nelle COP recenti: Stati Uniti e Arabia Saudita, rispettivamente. Auguri!
2019. LA COP 24 di Katowice. La transizione giusta(Resoconti disponibili su VOLUME IV) I colloqui sul clima delle Nazioni Unite - la COP 24 - sono i più importanti da quando è stato firmato l'Accordo di Parigi nel 2015, perché devono scrivere un nuovo regolamento per i governi per ridurre i gas serra e aumentare le ambizioni, dopo i gravi avvertimenti dell'IPCC se il riscaldamento globale aumentasse di oltre 1,5 °C sopra i livelli preindustriali. Si sono registrati alla COP 24 22.771 partecipanti di cui 13.898 facenti parte delle delegazioni. Gli umori generali non sono affatto buoni all'apertura dei lavori. Ad essi contribuisce non poco il drammatico smog carbonioso polacco offerto ai partecipanti. Durante la settimana che precede la conferenza le concentrazioni di particolato PM 2,5 sono state in media di 47 μg/m3 su Katowice, la seconda città più inquinata d'Europa, due volte superiori alla linea guida dell'OMS per un periodo di 24 ore, e di 59 μg/m3 il sabato, quando i delegati hanno iniziato ad arrivare alla Conferenza. In fatto di umori delle delegazioni il punto più basso della settimana arriverà con la pubblicazione di mercoledì dei risultati annuali del Global Carbon Project. Hanno rivelato che le emissioni di carbonio dai combustibili fossili e dall'industria cresceranno di circa il 2,7% nel 2018. Questo è l'aumento più rapido in sette anni e cancella le speranze che le emissioni abbiano iniziato a raggiungere il picco.
Non ci possiamo sottrarre al desiderio affidare il messaggio di apertura della COP 24 alla piccola svedese Greta Thunberg che ha commosso tutto il mondo. L'incontro di Katowice è il termine ultimo per finalizzare l'Accordo di Parigi e stabilirne il Programma di lavoro (PAWP), con i dettagli necessari per renderlo operativo. I paesi avevano stabilito questa scadenza nel 2016, dopo l'entrata in vigore storicamente rapida dell'Accordo. Tutti i problemi nell'ambito del PAWP sono ancora in fase di negoziazione. Alcune delle questioni principali riguardano la natura ciclica dell'Accordo, in base alla quale i paesi firmatari presentano o aggiornano i propri contributi nazionalmente determinati (NDC) a intervalli di cinque anni, riferiscono regolarmente sui progressi nell'ambito della trasparenza e della responsabilità onde consentire la definizione di un quadro generale che va valutato ogni cinque anni per verificare i progressi collettivi verso gli obiettivi. Le discussioni alla COP 24, in particolare quelle affidate al cosiddetto Ad Hoc Working Group on the Paris Agreement (APA), si incentreranno su:
Agli altri organi tecnici della COP saranno affidati tra l'altro, gli argomenti seguenti:
Non si può fare a meno di un cenno al Kyoto 2, scaturito dal Doha Amendment e sottoscritto al gennaio 2018 da un numero insufficiente di 122 paesi sui 144 necessari per entrare in forza. Avrebbe dovuto rappresentare la continuazione dello sforzo dei paesi Annesso 1 prima del 2020, anno dell'entrata in vigore dell'Accordo di Parigi. Nonostante un invito della Segreteria UN FCCC a procedere su basi voolontarie anche in assenza di ratifica, molti dei paesi coinvolti sono ancora al di sotto del trend di mitigazione che dovrebbe portarli a conseguire l'obiettivo 2020 del Kyoto 2. Per l'Europa, tra i pochi in linea, si tratta del -20% su base 1990. La Silesia Declaration che dà origine al movimento per la just transition (in originale)
We, the Heads of State and Government, Emphasizing that climate change is one of the greatest challenges of our time and a common concern of humankind and that Parties to the Paris Agreement recognized the need for an effective and progressive response to the urgent threat of climate change on the basis of the best available scientific knowledge; Stressing that addressing climate change requires a paradigm shift towards building a low greenhouse gas emission and climate resilient economies and societies for all that offers substantial opportunities and ensures continued high growth and sustainable development, while ensuring a just transition of the workforce that creates decent work and quality jobs; Reaffirming that Parties to the Paris Agreement on climate change are taking into account the imperatives of a just transition of the workforce and the creation of decent work and quality jobs, in accordance with nationally defined development priorities, and also reaffirming that the Paris Agreement emphasizes the intrinsic relationship that climate change actions, responses and impacts have with equitable access to sustainable development and eradication of poverty; Recognizing the specific needs and special circumstances of developing countries, especially those that are particularly vulnerable to the to the adverse effects of climate change and that natural disasters and other exogenous shocks, exacerbated by climate change, bring devastating effects to vulnerable workers and people living in poverty with limited savings and no social safety net, increasing the challenges of and the obstacles to just transition, especially for countries characterized by fragile environmental conditions and least developed countries; Also recognizing that circumstances of economic sectors, cities and regions that are most likely to be affected by the transition vary from country to country depending on their level of development; Taking note of the importance of the International Labour Organization’s “Guidelines for a just transition towards environmentally sustainable economies and societies for all”, and its considerations, as appropriate, by Parties while fulfilling their commitments under the Paris Agreement on climate change; Highlighting that the United Nations 2030 Agenda for Sustainable Development, as well as its Sustainable Development Goals confirm the need to tackle environmental, social and economic problems in a coherent and integrated manner: 6. Stress that just transition of the workforce and the creation of decent work and quality jobs are crucial to ensure an effective and inclusive transition to low greenhouse gas emission and climate resilient development, and to enhance the public support for achieving the-long term goals of the Paris Agreement; 7. Emphasize that development measures to make infrastructure climate-resilient and enhance institutional capacity in this respect have the potential to be a source of decent jobs creation for both women and men while improving resilience, especially in vulnerable countries; 8. Underline employment opportunities that the transition to low-greenhouse gas emission and climate resilient economies have already created and the potential for the creation of a number of additional jobs as a result of increased global ambition; 9. Recognize the challenges faced by sectors, cities and regions in transition from fossil fuels and high emitting industries, and the importance to ensure a decent future for workers impacted by the transition, while working to ensure sustainable development and community renewal; 10. Note the importance of a participatory and representative process of social dialogue involving all social partners to promote high employment rates, adequate social protection, labour standards and wellbeing of workers and their communities, when developing nationally determined contributions, long-term low greenhouse gas emission development strategie 11. Highlight the importance of further work on the just transition of the workforce and the creation of decent work and quality jobs, including:
12. Invite all relevant United Nations agencies, including the International Labour Organization, and international and regional organizations, observer organizations including social partners as well as other stakeholders and interested Parties to implement this Declaration. 8 Ottobre 2018: Il Rapporto speciale dell'IPCC sul riscaldamento della terra a 1,5 °C Atteso, arriva puntualmente oggi il Rapporto speciale SR15 dell'IPCC, come dagli impegni presi dal pool di scienziati a Parigi, alla COP 21 del 2015. Il piano editoriale del Rapporto SR15 è impostato su cinque capitoli per un totale di 225 pagine ed è preceduto dal Sommario per i decisori politici, votato in plenaria dall'IPCC riga per riga dopo una settimana di dure trattative ad Incheon nella Corea del Sud, complicate dall'atteggiamento negazionista della delegazione statunitense post-Obama. Il Rapporto dovrà essere modificato per tener conto dei cambiamenti introdotti per far approvare il Sommario. C'è un documento che li contiene, fatto sta che il testo dello SR15 che qui presentiamo non è ancora definitivo. La lista degli autori, inclusi i revisori, è composta da 91 scienziati ed esperti di politica provenienti da 44 nazionalità. I capitoli sono i seguenti:
Va innanzitutto segnalata l'eliminazione della premessa contenuta nella prima bozza del documento come High level statement (> vedi) che sarebbe stata ottima per chiarezza per illustrare i risultati del Rapporto. È un chiaro segno delle difficoltà che ci sono state per ottenere l'unanimità dei governi su quali elementi evidenziare nella presentazione del documento. La fattibilità e le linee guida dell'azione per mantenere l'aumento della temperatura a 1,5 ° C e l'importanza di renderla coerente con l'Agenda 2030 sono state tagliate dalla prima sezione del documento. Sono considerate in dettaglio altrove, ma questa censura dimostra la mancanza di consenso sulle conclusioni generali. I contenuti del Rapporto SR15 nella sua edizione definitiva si possono così rappresentare: Per capire di cosa si tratta parlando di 1,5 °C: Il mondo si è riscaldato di 1 °C sin dai tempi pre-industriali (1850 -1900 secondo IPCC) a causa dell'attività umana. “Estimated anthropogenic global warming matches the level of observed warming to within ±20%” In base alle tendenze attuali, è probabile che supereremo il limite di 1,5 ° C tra il 2030 e il 2052. Il pianeta si sta riscaldando in modo tutt'altro che uniforme", la terraferma più velocemente degli oceani e l'Artico si sta riscaldando a 2-3 volte il tasso medio globale. Il trend del riscaldamento antropogenico è di 0,2 °C per decade (linea rossa nella fig. SPM_1). “Warming greater than the global annual average is being experienced in many land regions and seasons, including two to three times higher in the Arctic. Warming is generally higher over land than over the ocean" C'è un lasso di tempo tra le emissioni di gas serra e il loro effetto sul clima. Ciò significa che il mondo si sta riscaldando ulteriormente e che il livello del mare sta crescendo. Il Rapporto però ritiene improbabile che le emissioni passate siano sufficienti a far salire le temperature oltre la soglia del 1,5 ° C. The anthropogenic emissions ... will continue to cause further long-term changes in the climate system, such as sea level rise, with associated impacts” Per stabilizzare le temperature, le emissioni devono raggiungere lo zero e rimanerci (Fig. SPM_1). Ciò significa ridurre le emissioni il più possibile e sottrarre l'anidride carbonica dall'aria per eliminare le emissioni residue. L'entità del riscaldamento è in definitiva determinata dal tempo che impiegheremo per raggiungere le zero emissioni. Il riscaldamento globale sta già impattando le persone e gli ecosistemi. I rischi tra 1,5 °C e 2 °C sono proporzionalmente crescenti. “Temperature rise to date has already resulted in profound alterations to human and natural systems, bringing increases in some types of extreme weather, droughts, floods, sea level rise and biodiversity loss, and causing unprecedented risks to vulnerable persons and populations" Gli impatti e i rischi del cambiamento climatico. Ci saranno ondate di caldo, siccità e inondazioni più pesanti a 2 °C rispetto a 1,5 °C. La bozza le definiva "differenze sostanziali negli estremi". Questa formulazione è stata sostituita da "robuste differenze nelle caratteristiche climatiche regionali", dando ragione agli Stati Uniti che sostenevano che sostanziale era un concetto troppo soggettivo. Si prevede che i livelli del mare aumenteranno in questo secolo di 10 cm in più sotto i 2 °C di riscaldamento rispetto agli 1,5 °C. Ciò espone 10 milioni di persone in più ad impatti come le inondazioni costiere, l'acqua salata che si riversa nei loro campi e le forniture di acqua potabile. Il riscaldamento più lento fa loro guadagnare tempo per potersi adattare. Nel corso di secoli e millenni i livelli del mare continueranno a salire dopo che le temperature si saranno stabilizzate. Il disfacimento delle calotte glaciali in Groenlandia e in Antartide potrebbe portare a innalzamenti di diversi metri. Uno dei risultati quantitativi più eclatanti riguarda la perdita di biodiversità. SR15 prevede la proporzione di specie che perderanno metà della loro estensione geografica. Su 105.000 specie studiate, il tasso raddoppia tra il riscaldamento di 1,5 °C e quello del 2 °C, al 16% per le piante, all'8% per i vertebrati e al triplo, il 18% per gli insetti. Circa 1,5-2,5 milioni di chilometri quadrati di permafrost in più scongeleranno in questo secolo con un riscaldamento 2 °C rispetto a 1,5 °C. Una superficie equivalente all'area geografica dell'Iran, del Messico o dell'Algeria. In un circolo vizioso, lo scongelamento del permafrost rilascia metano, uno dei gas serra. La probabilità di un'estate artica senza ghiaccio in mare aumenta di dieci volte, da una volta al secolo a 1,5 °C a una volta ogni dieci anni a 2 °C. Gli ecosistemi marini saranno colpiti dall'acidificazione e dal riscaldamento degli oceani. I 2 °C eliminano virtualmente le barriere coralline, rispetto a un calo del 70-90% per gli 1,5 °C. Le comunità agricole e di pesca saranno colpite più duramente da questi effetti, in particolare nell'Artico, nelle zone aride, nelle isole e nei paesi più poveri. Limitare il riscaldamento globale a 1.5 °C riduce l'importo dei rischi associati alla povertà e ai cambiamenti climatici per un valore che arriva a diverse centinaia di milioni di dollari entro il 2050. Quel mezzo grado di riscaldamento in più è molto negativo per la salute. Espande la gamma di zanzare che trasportano malattie come la malaria e la dengue e il caldo rende l'intera gamma di condizioni più letali. La quantità e la qualità delle colture di base soffrono maggiormente un riscaldamento di 2 °C rispetto agli 1,5 °C, così come il bestiame, peggiorando la disponibilità di cibo in molte parti del mondo. “Overall, food security is expected to be reduced at 2 °C warming compared to 1.5 °C warming, due to projected impacts of climate change and extreme weather on crop nutrient content and yields, livestock, fisheries and aquaculture, and land use (cover type and management)” Si prevede che la crescita economica subirà gli effetti del riscaldamento globale, a parità di tutte le altre condizioni. SR15 non tenta di bilanciare questi danni valutando con i costi e i benefici del taglio delle emissioni e dell'investimento nella resilienza agli impatti dei cambiamenti climatici. Esistono molti strumenti per proteggersi dagli impatti del riscaldamento globale, come le dighe sulle coste marine o le colture resistenti alla siccità. Ma questi adattamenti hanno dei limiti e alcune popolazioni vulnerabili subiscono perdite. L'Accordo di Parigi ha dato riconoscimento al capitolo "perdite e danni", ma il sistema delle Nazioni Unite non ha ancora dato un sostegno concreto alle vittime. I percorsi verso gli 1.5 °C (Figura SPM_1). Vengono prefigurati due tipi di percorso, il secondo dei quali caratterizzato da un overshoot che si riduce a zero a fine secolo. Solo 9 dei 91 scenari referenziati in SR15 si mantengono sempre sotto gli 1,5°C. Per mantenersi sotto gli 1,5 °C, le emissioni di CO2 dovrebbero diminuire di circa il 45% tra il 2010 e il 2030 e raggiungere lo zero netto nel 2050. Questo percorso è significativamente più arduo di quello necessario per 2 °C che comporta una riduzione di circa il 20% entro il 2030 e zero netto solo entro il 2075. “The first involves global temperature stabilising at or below before 1.5 °C above pre-industrial levels. The second pathway sees warming exceed 1.5 °C around mid-century, remain above 1.5 °C for a maximum duration of a few decades, and return to below 1.5C before 2100. The latter is often referred to as an ‘overshoot’ pathway” Il grafico sottostante (Figura SPM_3a) mostra quanto siano rapide le discese delle emissioni di CO2 (a sinistra) e di non CO2 (a destra) per conseguire gli 1,5 °C. Le linee e le ombreggiature blu mostrano esempi di percorsi che soddisfano il limite di 1,5 ° C con poco (< 0,2 °C) o nessun superamento, mentre il grigio mostra quelli in cui le temperature hanno un overshoot alto temporaneo prima di tornare indietro di nuovo. L'obbligo di raggiungere lo zero netto entro il 2050 è lo stesso per i percorsi futuri con e senza overshoot. Il metano e il black carbon, i gas serra più potenti, dovranno essere ridotti di almeno il 35% entro il 2050, rispetto al 2010. Tuttavia, i tagli delle emissioni non di CO2 devono essere effettuati con attenzione. Il maggior utilizzo di bioenergia per sostituire i combustibili fossili, potrebbe spingere verso l'alto l'inquinamento da ossido di azoto dall'agricoltura che riscalda il clima.
Figura SPM_3a Nel complesso il Rapporto SR15 prefigura una transizione senza precedenti verso una green economy. “These systems transitions are unprecedented in terms of scale, but not necessarily in terms of speed, and imply deep emissions reductions in all sectors, a wide portfolio of mitigation options and a significant upscaling of investments in those options.” I dettagli di questa transizione sono illustrati nel capitolo due di 113 pagine del Rapporto e in un allegato tecnico di 99 pagine, basato sulla ricerca che utilizza modelli di valutazione integrati (IAM > vedi più avanti). Questi modelli combinano diversi filoni di conoscenza per esplorare in che modo lo sviluppo umano e le scelte sociali interagiscono e influenzano l'ecosistema globale. Ci sono molti modi diversi per rispettare il limite dell'1,5 °C sotto un'ampia gamma di ipotesi sul futuro sviluppo umano ed economico. Questi percorsi riflettono diversi futuri in termini di politiche globali e preferenze sociali, implicando compromessi e co-benefici diversi per lo sviluppo sostenibile e altre priorità. Tuttavia, tutti i percorsi 1,5 °C condividono alcune caratteristiche, tra cui le emissioni di CO2 che scendono a zero netto e il consumo di carbone residuo che è in gran parte eliminato gradualmente entro la metà del secolo. Includono anche le energie rinnovabili che soddisfano la maggior parte delle future forniture di energia elettrica, con un uso dell'energia resa più efficiente. Gli investimenti negli usi industriali del carbone non diminuiti sono fermati entro il 2030 nella maggior parte dei percorsi 1,5 °C, dice il secondo capitolo. Alcuni investimenti fossili realizzati nei prossimi anni, o quelli realizzati negli ultimi anni trascorsi, avranno probabilmente bisogno di essere ritirati prima di recuperare completamente i loro investimenti di capitale o prima della fine della loro vita operativa. Questi cambiamenti sono ancora più marcati per il settore elettrico, che va decarbonizzato intorno alla metà del secolo. Ciò significa che entro il 2050 l'utilizzo del carbone nel settore energetico si ridurrà vicino allo 0% e le fonti rinnovabili forniranno il 70-85% del mix energetico. Non includendo la bioenergia, il dispiegamento di energie rinnovabili nei percorsi 1.5C aumenta tra le sei e le 14 volte entro il 2050, rispetto al 2010. L'uso di energia nucleare aumenta nella maggior parte dei percorsi 1.5 °C, ma non in tutti. Tutti i percorsi di 1,5 ° C includono tutti profondi tagli in altri gas a effetto serra, come una riduzione del 35% delle emissioni di metano al di sotto dei livelli del 2010 entro il 2050. La transizione energetica è accelerata di diversi decenni nei percorsi di 1,5 °C rispetto ai percorsi dei 2 °C. Oltre a passare all'elettricità a zero emissioni di carbonio, le riduzioni supplementari nei percorsi da 1,5 °C a quelle da 2 °C provengono principalmente dai trasporti e dall'industria, con le emissioni dell'industria che scendono del 75-90% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2050. Inoltre, la domanda di energia deve essere ridotta in misura maggiore mediante gli sforzi per migliorare l'efficienza degli usi finali.
Vale la pena notare che gli IAM hanno una ben nota propensione verso le
soluzioni tecnologiche, come la commutazione della fonte di
approvvigionamento energetico o l'aggiunta della cattura e stoccaggio del
carbonio (CCS). Gli scienziati IPCC hanno iniziato a esplorare altri modi
per limitare il riscaldamento a 1,5 °C, ad esempio cambiando radicalmente il
modo in cui viene utilizzata l'energia. Infine, vale la pena aggiungere che
i modelli IAM sono in grado di esplorare ciò che è tecnicamente fattibile,
ma non ciò che è socialmente, ambientalmente, politicamente o
istituzionalmente fattibile. Forse la più dibattuta tra le questioni è stata in questi anni quella delle tecnologie carbon negative (NET o CDR). Il rapporto SR15 riconosce che limitare il riscaldamento a 1,5 °C richiederà l'uso delle NET che rimuovono la CO2 dall'atmosfera. Per limitare l'innalzamento della temperatura globale a 1,5 °C senza overshoot, sarà necessario un certo utilizzo delle NET: “All pathways that limit global warming to 1.5C with limited or no overshoot project the use of CDR on the order of 100-1000 GtCO2 [billion tonnes] over the 21st century” Vale la pena notare che l'SPM sembra sottovalutare il grado in cui potrebbero essere necessarie le NET per limitare il riscaldamento a 1,5 °C rispetto al rapporto SR15 completo. Il SPM afferma che la mitigazione convenzionale non è sufficiente e che c'è un ulteriore bisogno di NET ma dipinge un'immagine troppo rosea su questo. L'SPM parla di rimozione 100-1000 GtCO2 entro il 2100. Ma il rapporto completo mostra un valore medio molto più vicino all'estremità superiore dell'intervallo. Anche con sforzi di mitigazione rapidi, è probabile che le NET saranno tenuti a compensare le emissioni di settori che non possono facilmente ridurre le loro emissioni a zero. Questi settori includono la produzione di riso e carne, che producono metano e il trasporto aereo. Il grado in cui saranno necessarie le NET è importante perché ognuna di esse incontra "barriere economiche e istituzionali" e può essere causa di possibili impatti su persone e animali selvatici. Molte tecnologie NET richiederebbero di cambiare drasticamente il modo in cui utilizza la terra. Ciò include bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS) e afforestazione. La BECCS coinvolge coltivazioni, bruciandole per produrre energia, catturando la CO2 rilasciata durante il processo e conservandola in un sito sotterraneo. Non ci sono nemmeno, finore, esperienze significative di BECCS che ne possano assicurare l'efficacia e la sostenibilità. L'afforestazione comporta inoltre la trasformazione di terre sterili in foreste: “Afforestation and bioenergy may compete with other land uses and may have significant impacts on agricultural and food systems, biodiversity and other ecosystem functions and services” Alla geoingegneria viene dedicata poca attenzione. La cosiddetta modificazione della radiazione solare - il pompaggio di particelle nell'aria per riflettere la luce solare - potrebbe essere "teoricamente efficace" nel raggiungere l'obiettivo degli 1,5 °C. Ma è escluso dagli scenari SR15 del modello a causa di "grandi incertezze", "il gap di conoscenza", "rischi sostanziali" e "vincoli istituzionali e sociali". La eccessiva attenzione dedicata dai media e dal mondo industriale alla geoingegneria finirà, si teme, per creare un alibi ai decisori politici per ritardare ulteriormente l'inizio delle azioni necessarie. Una domanda comune sul limiti dell'obiettivo degli 1,5 °C è se ne vale la pena dal punto di vista economico. In altre parole, i benefici dei danni climatici evitati dovuti alle inondazioni, ad esempio, superano i costi cumulativi di riduzione delle emissioni? Sfortunatamente, SR15 non considera esplicitamente il costo totale dei percorsi per gli 1,5 °C, perché la letteratura scientifica sull'argomento è limitata. Invece, il rapporto SR15 esamina i costi di abbattimento marginali globali di questo secolo, i costi per tonnellata delle emissioni evitate. Questi costi sono talvolta calcolati come prezzo del carbonio utilizzato dai modello IAM che utilizzano spesso un prezzo del carbonio come proxy per tutte le politiche climatiche. Il prezzo del carbonio può essere imposto direttamente dal mercato come costo marginale effettivo di abbattimento o implicitamente da politiche di regolamentazione. In generale, l'SPM afferma che i costi di abbattimento marginali sono circa tre o quattro volte più alti nei percorsi degli1,5 ° C, rispetto ai 2 °C. Stabilisce inoltre le esigenze di investimento previste per i percorsi di 1,5 °C: per il periodo dal 2015 al 2050 i costi dei percorsi che limitano il riscaldamento a 1,5 °C sono stimati in circa 900 miliardi di dollari. Si deve tener conto che gli investimenti annuali in tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio e nell'efficienza energetica devono aumentare di circa 5 volte nel 2050 rispetto al 2015. Il SPM aggiunge che le "lacune di conoscenza" rendono difficile confrontare questi costi di mitigazione con i benefici del riscaldamento evitato. Ad esempio, i costi dell'adattamento a 1,5 °C potrebbero essere inferiori a quelli dei 2 °C, anche se sono "difficili da quantificare e confrontare". In particolare, tuttavia, mentre i percorsi IAM stabiliscono i costi per limitare il riscaldamento a 1,5 °C, in genere non ne considerano i vantaggi. Questi potenziali danni climatici evitati, limitando il riscaldamento a 1,5 °C, sono molto incerti: “Balancing of the costs and benefits of mitigation is challenging because estimating the value of climate change damages depends on multiple parameters whose appropriate values have been debated for decades (for example, the appropriate value of the discount rate) or that are very difficult to quantify (for example,the value of non-market impacts; the economic effects of losses in ecosystem services; and the potential for adaptation, which is dependent on the rate and timing of climate change and on the socioeconomic content)” L'altro grande capitolo della via agli 1,5 °C è quello dell'adattamento. Il rapporto rileva che, in generale, la necessità di adattamento ai cambiamenti climatici sarà inferiore a 1,5 °C rispetto a 2 °C. Tuttavia, avverte che, anche se il riscaldamento globale è limitato a 1,5 °C, non sarà possibile prepararsi a tutti gli impatti dei cambiamenti climatici. Il rapporto descrive l'adattamento umano ai cambiamenti climatici come "il processo di adeguamento al clima attuale o previsto e ai suoi effetti, al fine di moderare il danno o sfruttare opportunità vantaggiose". La prima opzione di una lista di otto, la gestione del rischio di catastrofi, è definita dagli autori come "un processo per progettare, implementare e valutare strategie, politiche e misure per migliorare la comprensione del rischio di catastrofi e promuovere il miglioramento nella preparazione, risposta e recupero di emergenza". Mentre le temperature continuano a salire, è probabile che ci sia una richiesta crescente di integrazione tra mitigazione e adattamento, "per ridurre la vulnerabilità, anche se capacità istituzionali, tecniche e finanziarie nelle agenzie in prima linea costituiscono dei vincoli". Un'altra opzione di adattamento è la migrazione climatica. Il rapporto rileva che, al momento, vi è "poco accordo sul fatto che la migrazione sia adattabile, in relazione al rapporto costo-efficacia": “Migrating can have mixed outcomes on reducing socio-economic vulnerability and its feasibility is constrained by low political and legal acceptability, and inadequate institutional capacity” Diversamente dal testo del Rapporto SR15, la migrazione non è elencata come opzione di adattamento nell'SPM. L'ultima opzione di adattamento, si riferisce alla possibile diffusione di informazioni climatiche pertinenti tramite previsioni giornaliere e avvisi meteorologici, oltre a previsioni stagionali e persino proiezioni multi-decadali. Questi tipi di servizi sono già utilizzati in settori come l'agricoltura, la salute e la gestione delle catastrofi. Per ridurre i rischi per gli ecosistemi naturali si può procedere con il ripristino degli spazi naturali degradati, il rafforzamento delle azioni per fermare la deforestazione e il perseguimento di un'agricoltura e un'acquacoltura sostenibili. Anhe i costi totali associati all'adattamento al riscaldamento globale di 1,5 °C sono difficili da quantificare e confrontare con i 2 °C per effetto delle lacune nella letteratura scientifica. Il SPM rileva che l'adattamento è stato, in genere, finanziato da fonti del settore pubblico, come i governi nazionali, i canali associati all'ONU e attraverso fondi multilaterali sul clima. L'Accordo di Parigi e lo sviluppo sostenibile. Gli obiettivi climatici si collocano nell'SDG 13 dell'Agenda 2030, il cui obiettivi e target furono lasciati generici quando l'Agenda 2030 fu votata nel 2015, prima dell'Accordo di Parigi. Ma questo non risolve tutti i problemi: tra lotta ai cambiamenti climatici e obbiettivi di sviluppo sostenibile ci possono essere contraddizioni. Il capitolo finale del rapporto (il quinto) è dedicato all'esame di come i cambiamenti climatici potrebbero avere un impatto sullo sviluppo sostenibile, la povertà e la disuguaglianza. Il SPM rileva che, in tutto il mondo, le comunità più povere, svantaggiate e vulnerabili, alcune popolazioni indigene e comunità locali dipendenti da mezzi di sussistenza agricoli o costieri, rischiano di essere influenzate in modo sproporzionato dal riscaldamento globale. Una gran parte dei poveri del mondo fa affidamento sull'agricoltura di sussistenza e quindi sarà direttamente influenzata dall'impatto dei cambiamenti climatici su temperatura, precipitazioni e siccità. Una affermazione chiave del rapporto è che questi sforzi per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C possono effettivamente andare di pari passo con molti altri intesi a risolvere i problemi di disuguaglianza e di eliminazione della povertà. In effetti, limitare la temperatura a 1,5 °C anziché a 2 °C potrebbe risparmiare la povertà, entro il 2050, a diverse centinaia di milioni di persone. La limitazione del riscaldamento globale potrebbe anche aiutare il mondo a raggiungere molti degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (gli SDG), afferma il rapporto. I 17 SDG sono una serie di obiettivi, concordati nel 2015, che mirano a "porre fine alla povertà, proteggere il pianeta e assicurare a tutti i popoli pace e prosperità" entro il 2030, secondo il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite. Già segnalate da molti autori, alcune contraddizioni potrebbero sorgere tra le azioni per limitare il riscaldamento a 1,5 °C e gli SDG. Le opzioni di mitigazione coerenti con i percorsi 1.5 °C determinano molteplici sinergie e qualche contraddizione con gli SDG. Gli effetti netti dipenderanno dalla velocità e dall'entità dei cambiamenti, dalla composizione del portafoglio di mitigazione e dalla gestione della transizione. L'adattamento agli effetti del cambiamento climatico e la riduzione delle vulnerabilità climatica può promuovere lo sviluppo sostenibile. Può garantire la sicurezza di cibo e acqua, ridurre i rischi di disastri, migliorare la salute e ridurre la povertà e la disuguaglianza. Le misure di adattamento che riducono anche le emissioni, come gli edifici a basse emissioni di carbonio efficientemente raffreddati, possono aiutare i settori a diventare più green a un costo inferiore. La mitigazione si adatta particolarmente bene agli obiettivi di sviluppo per la salute, l'energia pulita, le città e le comunità e il consumo e la produzione responsabili. Ma se non correttamente gestiti, potrebbero danneggiare gli obiettivi di povertà, fame, acqua e accesso all'energia. Indirizzare i finanziamenti verso infrastrutture che riducano le emissioni e si adattino ai cambiamenti climatici può contribuire a raggiungere l'obiettivo degli 1,5 °C in modo da sostenere lo sviluppo sostenibile e ridurre la povertà. Si intendono compresi fondi privati da investitori istituzionali, gestori patrimoniali e banche di sviluppo o di investimento, nonché fondi pubblici. I governi possono aiutare con politiche che riducono il rischio di investimento per i progetti a bassa emissione e per l'adattamento. Nel SPM viene pubblicato il grafico seguente che riassume gli effetti positivi (sinergie) e negativi (contraddizioni) delle opzioni di mitigazione per raggiungere gli 1,5 °C su ciascuno degli SDG. Sul grafico, la lunghezza totale delle barre rappresenta la dimensione dell'effetto positivo o negativo, mentre l'ombreggiatura mostra il livello di sicurezza (da chiaro a scuro: da basso a molto alto). Le tecniche di mitigazione sono suddivise in tre settori: approvvigionamento energetico, domanda di energia e terra. Le opzioni valutate nel settore dell'approvvigionamento energetico includono biomassa e fonti rinnovabili, nucleare, CCS con i combustibili fossili e BECCS. Il settore della domanda energetica comprende opzioni per migliorare l'efficienza energetica nei settori dei trasporti e dell'edilizia. Il settore fondiario comprende l'afforestazione e la riduzione della deforestazione, l'agricoltura sostenibile, le diete a basso contenuto di carne, una riduzione degli sprechi alimentari e la gestione del carbonio nel suolo.
Il grafico a barre mostra come le opzioni di mitigazione che riducono la domanda di energia, in gran parte attraverso il passaggio a tecnologie e comportamenti più efficienti dal punto di vista energetico, hanno i maggiori impatti positivi e il minimo impatto negativo sugli SDG. Gli obiettivi che vedono i maggiori impatti positivi includono quelli per città e comunità sostenibili, buona salute e benessere ed energia pulita a prezzi accessibili. Impatti negativi possibili e temibili sono quelli della crescita delle popolazioni svantaggiate che fanno ricorso ai consumi di energia fossile o, al converso, politiche di contenimento dei consumi e delle emissioni che aggravano l'arretratezza e la disponibilità di risorse proprio per coloro che già stanno pagando i prezzi maggiori del cambiamento climatico a causa della loro posizione geografica o dell'arretratezza tecnologica. Del pari grave potrebbe essere l'esclusione dal lavoro di coloro che contribuiscono alla catena del valore dei combustibili fossili, ove non si provveda per tempo alle conversioni tecnologiche ed occupazionali necessarie. Le opzioni legate sia all'approvvigionamento energetico che al settore terrestre potrebbero avere un impatto considerevole sulla disponibilità di acqua dolce e sui servizi igienico-sanitari, così come sulla vita terrestre, come mostra il grafico. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che queste opzioni si basano sulla BECCS e sull'afforestazione, che, se implementati su larga scala, potrebbero assorbire grandi quantità di suolo e altre risorse, come l'acqua e la biodiversità. Le contraddizioni tra mitigazione e adattamento, limitando il riscaldamento globale a 1,5 °C, come quando le colture bioenergetiche, il rimboschimento o l'afforestazione invadono il terreno necessario per l'adattamento agricolo, possono minare la sicurezza alimentare, i mezzi di sostentamento, le funzioni e i servizi ecosistemici e altri aspetti della sostenibilità. La gestione di queste contraddizioni richiederà una attenta governance delle energie rinnovabili e delle tecnologie come la BECCS. Afferma il rapporto: "I risultati sottolineano l'importanza di un approccio integrato nello sviluppo di acqua, energia e politica climatica". Le cose da fare. Le più grandi industrie inquinanti dovranno intraprendere cambiamenti radicali. Le energie rinnovabili dovranno fornire dal 70 all'85% di energia entro il 2050. C'è ancora spazio per la generazione da combustibili fossili se combinata con la tecnologia per catturare e immagazzinare le emissioni di CO2, ma è un piccolo spazio: circa l'8% per il gas e quasi zero per il carbone entro il 2050. Le industrie ad alta intensità energetica dovranno ridurre la loro CO2 dal 75 al 90% entro il 2050 rispetto al 2010, se si vogliono rispettare gli 1,5 °C. Un limite a 2 °C richiederebbe una riduzione dal 50 all'80%. Questi abbattimenti possono essere ottenuti con tecnologie nuove e già esistenti che sono tecnicamente provate, ma devono ancora essere implementate su larga scala e sono limitate dai costi e da altri vincoli. Anche l'edilizia e i trasporti dovranno spostarsi pesantemente verso l'elettricità. Gli edifici dovrebbero usare energia elettrica dal 55 al 75% della loro energia consumata entro la metà del secolo, mentre il settore dei trasporti dovrebbe spingere le sue fonti a basse emissioni dal 35 al 65% dei consumo energetico, da meno del 5% nel 2020. Ci saranno scelte difficili su come usare il terreno. Molti scenari dipendono in larga misura dalla bioenergia e/o dall'espansione delle foreste, la afforestazione, potenzialmente in conflitto con la domanda di pascoli e seminativi. Una maggior sostenibilità dell'agricoltura e "diete a minor consumo di risorse", cioè mangiare meno carne, può aiutare a mitigare i fattori di pressione. La riduzione delle emissioni nel settore dell'energia per l'obiettivo degli 1,5 °C richiederà circa 900 miliardi di dollari di investimenti all'anno tra il 2015 e il 2050. L'investimento totale necessario per l'approvvigionamento energetico sale così a livelli tra 1600 a 3800 GUS$ e per la domanda di energia da 700 a 1000 GUS$ in 35 anni. L'investimento necessario è superiore del 12% circa rispetto ai 2 °C. Saranno necessari strumenti per rimuovere la CO2 dall'atmosfera, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio e/o le foreste, per catturare da 100 a 1000 Gt nel corso del secolo, per stare entro gli 1,5 ° C. Se il consumo di materia viene tenuto sotto controllo (tipicamente con l'economia circolare), si riduce al minimo la necessità di rimozione del carbonio dall'atmosfera. Le misure di rimozione del carbonio potrebbero contribuire a contenere o riportare il riscaldamento a 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali se il mondo superasse la soglia ma, se utilizzate su larga scala potrebbero avere impatti significativi su terra, energia, acqua e sostanze nutritive. I governi dovranno limitare le contraddizioni (trade offs) e assicurarsi che la CO2 sia rimossa in modo effettivamente permanente. Gli attuali impegni nazionali sul clima previsti dall'accordo di Parigi sono inadeguati all'obiettivo. Porterebbero a 52-58 Gt di emissioni di CO2 all'anno nel 2030, in linea con un aumento della temperatura di 3 °C. Quasi tutti i percorsi verso gli 1,5 °C richiedono che le emissioni di gas a effetto serra scendano al di sotto delle 35 Gt / anno. Minori saranno le emissioni nel 2030, più facile sarà limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Il ritardo nella riduzione dei gas serra rischia di aumentare il costo delle riduzioni, di legare i paesi ad infrastrutture che emettono carbonio o, al contrario, di sprecare gli investimenti effettuati in attività ad alte emissioni. Potrebbe anche aggravare la distribuzione disomogenea degli impatti climatici tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Nel complesso, gli autori del Rapporto mettono nel Sommario per gli operatori politici che precede il Rapporto stesso solo argomentazioni di cui sono ragionevolmente sicuri. Alcuni resoconti hanno valutato l'entità del consenso contando le quotazioni riportate nelle parentesi che accompagnano le affermazioni. "Sicurezza molto alta" appare cinque volte, "Alta confidenza" 107 volte, "Media confidenza" 60 volte e "Scarsa confidenza" solo due volte. 2017. LA COP 23 di BONN (Resoconti disponibili su VOLUME IV) 6 -17 Novembre 2017: La COP 23 a Bonn sotto la presidenza delle isole Fiji La COP23 tenuta a Bonn è stata in realtà la prima presieduta da una piccola isola in via di sviluppo, le isole Fiji, ma ospitata dalla Germania per motivi logistici e solidaristici. Le speranze erano che questa novità avrebbe dato ulteriore slancio ai negoziati. Un ragazzino figiano di 12 anni ha ricordato kennedianamente ai delegati che "non si tratta di come o chi, ma di ciò che puoi fare come individuo". Almeno il “Piano d'azione per la parità di genere” che evidenzia il ruolo delle donne nell'azione per il clima e promuove l'uguaglianza di genere nel negoziato e la piattaforma delle Comunità locali e dei popoli indigeni, che mira a sostenere il scambio di esperienze e condivisione delle migliori pratiche in materia di mitigazione e adattamento, e l'Ocean Pathway Partnership che mira a rafforzare l'inclusione degli oceani all'interno del negoziato, sono risultati che la Presidenza Fiji può vantare. I discorsi ufficiali della sezione ministeriale della COP23 sono terminati durante le prime ore del sabato mattina, dopo qualche discussione all'ultimo minuto sulla difficile questione della finanza per il clima.
Il Brasile ha presentato un'offerta ufficiale per ospitare la COP25 nel 2019, che dovrebbe essere assegnata all’America Latina o ai Caraibi (anche l'Argentina e la Giamaica sarebbero in corsa). L'offerta del Brasile è stata inizialmente "accettata con apprezzamento” ma un intervento all'ultimo minuto dal Venezuela ha riportato la questione in assemblea. Nel frattempo, Turchia e Italia hanno entrambi segnalato il loro interesse ad ospitare la COP26 nel 2020, un altro anno chiave per il prossimo ciclo di verifica degli NDC. A due anni dall’Accordo di Parigi era previsto che la COP23 sarebbe stata un affare per addetti ai lavori per stabilire le regole di implementazione di quell’accordo. I cronisti riferiscono invece che cj ha pensato la delegazione nordamericana, post Trump natum, a movimentare la platea. Cominciamo allora dalla fine. Dopo la decisione di Trump a giugno che voleva far uscire gli Stati Uniti dal Accordo di Parigi, tutti gli occhi erano sulla delegazione ufficiale degli Stati Uniti per vedere come si sarebbe comportata nei negoziati. Intanto nella prima settimana una Ngo africana chiede di escludere la delegazione US dal negoziato, in altri termini “o dentro o fuori”. Poi, il secondo giorno della COP, la Siria ha annunciato che avrebbe firmato l'accordo di Parigi. Con la recente firma del Nicaragua, in chiave antiamericana più che per abbandono della posizione espressa a Parigi, gli Stati Uniti restano soli al mondo a negare il loro contributo al contrasto ai cambiamenti climatici di cui poi, è incredibile, sono una delle principali vittime. Tuttavia, la delegazione americana ha mantenuto un profilo relativamente basso se si esclude un side event sui “combustibili fossili puliti”, un po’ ridicolo e pesantemente contestato. La delegazione statunitense ha co-presieduto validamente un gruppo di lavoro con la Cina sugli NDC, Nationally Determined Contributions. Vale la pena notare, al proposito, che molti dei negoziatori statunitensi sono gli stessi funzionari che hanno rappresentato gli Stati Uniti ai COP per anni, Parigi compresa. Apparentemente hanno continuato i negoziati con pochi cambiamenti di atteggiamento, anche se si sono messi in posizioni più rigide su questioni come "perdita e danni" e sui finanziamenti. Un po’ di trambusto lo ha provocato un tale Banks dichiarandosi, a nome del governo americano, contrario alla "differenziazione", che è la formula con la quale si recepisce nel cuore dell’Accordo di Parigi il Principio di Rio (e della Convenzione) delle responsabilità comuni ma differenziate, un passo diplomatico essenziale per mettersi alle spalle il muro contro muro tra i paesi Annesso 1 e tutti gli altri, durato dal Mandato di Berlino della COP1 fino alla COP21 di Parigi, venti anni. Per il resto il comportamento della delegazione statunitense non ha mostrato differenze significative rispetto agli anni precedenti. Ma di delegazione americana ce n’era un’altra: la "We Are Still In" che ha allestito un grande padiglione appena fuori dalla sede principale per i colloqui. Ne hanno fatto parte figure importanti, come l'ex sindaco di New York Michael Bloomberg e il governatore della California Jerry Brown, per dimostrare che ci sono molte voci negli Stati Uniti contro le politiche negazioniste di Trump. La coalizione di città, stati e imprese rappresenta di fatto oltre la metà dell'economia americana. Alla presentazione del Rapporto, Bloomberg ha quindi sostenuto al gruppo dovrebbe essere assegnato un posto al tavolo dei negoziati sul clima: una proposta off the records ma tutt’altro che scandalosa. Il ruolo guida della Cina. Questo ruolo, indiscutibile, è un regalo di Trump. Un modo concreto in cui la Cina ha iniziato a svolgere questo ruolo è nella nuova coalizione Ministerial on Climate Action, MOCA, un gruppo misto costituito da UE, Cina e Canada, concepita durante la COP dello scorso anno dopo il risultato delle elezioni americane. Vale la pena notare, come fa Greenpeace, che questo è unico tra processi negoziali climatici di alto livello in collaborazione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. È anche un caso molto concreto che dimostra che la Cina sta supportando il negoziato climatico internazionale come partner in una leadership collettiva e condivisa. Il carbone messo al bando? Regno Unito e Canada hanno lanciato a Bonn la "Powering Past Coal Alliance" cui hanno aderito più di 20 paesi e altri attori subnazionali, tra cui Danimarca, Finlandia, Italia, Nuova Zelanda, Etiopia, Messico e gli Stati americani di Washington e Oregon. L'analisi dell’Alleanza dimostra che l'eliminazione del carbone è necessaria entro e non oltre il 2030 nell'area OECD e nell'UE28 ed entro il 2050 nel resto del mondo, pur concedendo che rispettare l'accordo di Parigi, non obbliga i firmatari a iniziare il phase out del carbone ad una specifica data. Inoltre, non impegna i firmatari a porre fine al finanziamento delle centrali elettriche a carbone quanto più semplicemente a limitarlo. Il Regno Unito è già impegnato a eliminare il carbone entro il 2025, come l’Italia, mentre il Canada ha la scadenza al 2030. Non ci sono ovviamente gli Stati Uniti, ma nemmeno Germania, Polonia, Australia, Cina e India. Può sembrare a questo punto paradossale che la cancelliera tedesca Angela Merkel abbia manovrato a Bonn nel tentativo di mantenere la sua leadership climatica sulla scena mondiale. La storia è che il 19 novembre, poco dopo la conclusione della COP23, si è chiuso in Germania il tavolo della possibile coalizione con i grunen e i liberali, anche proprio sulla questione climatica. Per di più la Merkel sa che la Germania non centrerà l’obiettivo di abbattimento delle emissioni di EU 2020. Separatamente, Michael Bloomberg ha usato un side event per impegnare 50 M$ a sostegno della sua campagna anti-carbone negli Stati Uniti e in Europa. Che si fa tra oggi e il 2020? Manca ormai poco al 2020 ma Kyoto2 non è stato ancora ratificato. I PVS possono così accusare i pochi ex Annesso 1 che hanno sottoscritto il Doha amendment (Kyoto2) di non aver fatto abbastanza per rispettare gli impegni presi per il periodo fino al 2020 e tutti gli ex Annesso 1 di non aver dato fondi sufficienti al Global Climate Fund, concordati nel 2009 a Copenhagen. Cina e India, sono stati particolarmente duri rispetto agli impegni pre-2020 anche se Kyoto2 non aveva uno spazio formale nell'agenda dei negoziati della COP23. Facevano notare che, al di là dell’agenda formale, è una questione che mina la fiducia degli uni negli altri. Probabilmente molti paesi sviluppati volevano glissare su Kyoto2 e concentrarsi sul post-2020, ma gli altri hanno insistito per effettivamente raggiungere il picco delle emissioni globali entro il 2020 nei paesi Kyoto2. Alla fine hanno avuto ragione e l'implementazione pre-2020 trova posto nel testo decisionale della COP23. concordato e pubblicato il sabato mattina. L’accordo finale include un accordo per tenere nel 2018 e 2019 ulteriori sessioni di valutazione (stocktaking) dei progressi nella riduzione delle emissioni, nonché due valutazioni dei finanziamenti per il clima che dovranno essere pubblicati nel 2018 e nel 2020. Questi contributi saranno quindi riuniti in una relazione di sintesi sull'ambizione pre-2020 in vista della COP24, che si svolge a dicembre l'anno prossimo a Katowice, in Polonia. Le comunicazioni relative saranno inviate anche ai paesi firmatari del Protocollo di Kyoto che non hanno ancora ratificato l'emendamento di Doha invitandoli a depositare i loro strumenti di accettazione il prima possibile. Diversi paesi europei hanno persino ratificato l'emendamento di Doha qui a Bonn, tra essi Germania e Regno Unito mentre la Polonia, il paese zavorra dell’UE che ha impedito finora la ratifica di Kyoto2 a livello comunitario, ha annunciato i suoi intendimenti di ratificare l'emendamento quest'anno. L'Unione Europea che è formalmente una Parte dell’UNFCCC ha anche suggerito di ratificare Kyoto2 senza la Polonia. Il “dialogo Talanoa”. A Parigi si stabilì che nel 2018 dovrebbe esserci un momento unico per "fare il punto" di come starà procedendo l'azione per il clima. Queste informazioni saranno utilizzate per informare il prossimo round degli NDC, previsto per il 2020. Questo modo di riconoscere "l'ambizione potenziata (enhanced)" - un termine ormai di gergo - è stato visto come un importante premessa del meccanismo di ratcheting a lungo termine dell'Accordo di Parigi che mira ad aumentare l'ambizione in cicli scanditi con scadenze ogni cinque anni. Originariamente chiamato "dialogo facilitativo", il nome di questo processo una tantum del 2018 è stato cambiato in "dialogo Talanoa" per riflettere un approccio tradizionale alle discussioni utilizzato nelle isole Fiji per un modo di dialogare "partecipativo, trasparente e inclusivo". L’approccio" finale del dialogo Talanoa è stato incluso in un allegato di quattro pagine al documento finale della COP23. È strutturato attorno a tre domande: "Dove siamo? Dove vogliamo andare? Come ci arriviamo? ", ma include anche nuovi dettagli, come la decisione di accettare interventi da stakeholder non governativi e la decisione di creare una piattaforma online per ricevere contributi e dare una nuova enfasi sugli sforzi compiuti nel periodo pre-2020. Inoltre, afferma esplicitamente che il dialogo "non dovrebbe portare a confronti conflittuali che escludono talune Parti. Il dialogo Talanoa, che partirà nel 2018 (ma perché non da subito?), è stato inserito nelle decisioni della COP23. Questo testo è stato soggetto a modifiche fino alla fine della COP23, quando le Parti hanno negoziatola misura in cui volevano essere impegnate nel processo Talanoa. Alla fine si dice di "accogliere con apprezzamento" il dialogo, una frase significativa, posto che una bozza precedente, che pure parlava di endorsment, non lanciava ufficialmente il dialogo Talanoa come ha fatto il testo finale. Sul tavolo c’erano anche proposte più deboli. La fase preparatoria del dialogo Talanoa inizierà nel prossimo anno in vista della fase politica condotta dai ministri del COP24 in Polonia. Un momento chiave per il dialogo Talanoa sarà anche la pubblicazione dell'IPCC del Rapporto speciale sugli 1.5 °C previsto per il settembre 2018.
Il libro delle regole di Parigi. Come già alla COP22 di Marrakech, l'anno scorso, i negoziati in questa sessione erano centrati attorno ai tentativi del GdL APA di compiere progressi significativi nello sviluppo delle regole di attuazione di Parigi. Il lavoro dell’APA copre diversi settori, tra cui la definizione del quadro degli impegni delle Parti, gli NDC, la segnalazione trqasparente degli sforzi di adattamento e delle azioni intraprese per un "stocktacking globale" degli sforzi di mitigazione nel 2023 e come monitorare il rispetto dell'accordo di Parigi. La scadenza per questo lavoro è la COP del prossimo anno in Polonia, ma l'obiettivo a Bonn era di creare una bozza di queste linee guida per l'implementazione, con opzioni e disaccordi delineati nel modo più chiaro possibile per mostrare ciò che ancora occorre risolvere. Il testo finale COP23 dà atto che nel 2018 potrebbe essere necessaria una sessione negoziale supplementare tra i colloqui intersessionali di maggio e la COP24 a dicembre per garantire che il regolamento di Parigi sia finito in tempo. Questo sarà deciso durante l'incontro di maggio, anche se le prime bozze del testo suggerivano agosto-settembre 2018 come il momento preferito per tale sessione aggiuntiva. Gli NDC. È stato rilasciato all'inizio della settimana un documento di 179 pagine che raccoglie le posizioni di tutte le Parti sulle modalità necessarie per comunicare i piani d'azione nazionali NDC sul clima. La dimensione del testo indica che rimangono differenze significative su come dovrebbero essere organizzati, consegnati e aggiornati gli NDC. Il WRI dice che le Parti si sarebbero bloccate sui temi della flessibilità e della differenziazione. Il documento va perciò sintetizzato nelle opzioni possibili. Migliore l’intesa su come affrontare il global stocktacking del 2023 e poi ogni cinque anni, per cui si prevede una versione più formale del dialogo Talanoa. Le discussioni si sono incentrate sull'equità, così come lo scopo dello stock, cioè per esempio se includerà perdite e danni. Hanno mostrato progressi reali anche i negoziati sulla trasparenza prevista dal regolamento di Parigi riguardano il monitoraggio della conformità egli impegni delle Parti, in linea con il "quadro di trasparenza rafforzata" definito dall’Accordo di Parigi. Per ora il testo sulla trasparenza è di 46 pagine.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha detto ai delegati della COP23 durante il suo discorso che l'Europa coprirà eventuali deficit di finanziamento per l'IPCC causati dal dietro-front degli Stati Uniti decisione di tirare il suo finanziamento del corpo scientifico. "Non mancherà un euro", ha detto Macron. Il Regno Unito ha anche annunciato che si impegnava a raddoppiare il suo contributo.
I big data. La Repubblica Democratica del Congo (RDC) e sei altri Paesi hanno chiesto un nuovo punto all'ordine del giorno per considerare un nuovo “Gateway” informatico, come piattaforma di scambio delle emissioni controllata dalle Nazioni Unite e progettata per "incoraggiare, misurare, riferire, verificare e rendere conto delle maggiori ambizioni da parte di entità aziendali, investitori, regioni, stati, province, città e organizzazioni della società civile". La proposta ha suscitato preoccupazioni perché potrebbe aumentare l'influenza delle multinazionali sui negoziati delle Nazioni Unite. Preoccupazioni simili sono emerse durante la prima settimana della COP23 in ordine ad una proposta dall'Ucraina per avvicinare le società energetiche al processo negoziale climatico dell'ONU posizionando le multinazionali dell'energia in un "livello intermedio" tra l'UNFCCC e i governi nazionali. Strada da esplorare nel 2018.
2016. LA COP 22 di MARRAKECH
(Resoconti disponibili su
VOLUME IV)
Novembre 2016: Chiusa la COP 22 di Marrakesh in un clima avvelenato dall'elezione di Donald Trump “Nessuno può fermare l’azione globale per il clima e “L’azione pre-2020 deve essere rafforzata e accelerata”. Con queste parole d’ordine si è conclusa il 18 di novembre 2016, ad un anno dall’Accordo di Parigi, la 22° Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sui cambiamenti climatici. Quali sono i passi in avanti concreti, se ci sono stati, al di là della grande preoccupazione per il possibile cedimento degli Stati Uniti? Per uno strano gioco del destino i delegati della COP 22 si sono trovati a Marrakech per rendere operativo l’Accordo di Parigi, la stessa città dove si tentò 15 anni fa di avviare l’attuazione del Protocollo di Kyoto, che andò come sappiamo. Coincidenza infausta. L’euforia dei primi giorni per la ratifica straordinariamente tempestiva dell’Accordo di Parigi è naufragata pochi giorni dopo nella preoccupazione per l’elezione di Donald Trump, forse il peggiore dei negazionisti, certo il più pericoloso, alla Casa Bianca. Ebbene, che lo si voglia o no, Trump è stato il protagonista della COP 22 e resocontare su questo evento rischia di diventare una cronaca delle congetture fiorite a Marrakech sul ruolo futuro degli Stati Uniti. Per molti aspetti il mondo è politicamente ed economicamente molto diverso da quello che era 15 anni fa. L'Accordo di Parigi è entrato in vigore, fornendo certezza al lavoro dei delegati che devono preparare il “Libro delle regole” dell’accordo ed eliminando la possibilità che alcuni paesi possano richiedere concessioni e indebolire il Trattato. Gli Stati Uniti non sono più il maggior emettitore del mondo. Economicamente, l’energia rinnovabile, in diversi paesi sviluppati e in via di sviluppo, compete ormai come prezzo e capacità tecnologica con i combustibili fossili. Questa da sola è più che una ragione che ha spinto un gran numero di multinazionali a scegliere la strada dello sviluppo low carbon, una scelta di strategia su cui Trump non potrà fare molto. Dal Marocco le prese di posizione di 360 imprese sono arrivate chiare, molte di loro erano state finanziatrici della campagna dei repubblicani negli Stati Uniti.. Il timore non è che queste cambino idea, ma che Trump possa invertire il trend recente degli Stati Uniti favorendo le produzioni più inquinanti e ostacolando lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica. Ma c’è il resto del mondo e il mercato è ormai definitivamente globale. Con l’inizio della operatività del sistema cap&trade nazionale cinese, nel marzo 2017, il 60% del prodotto interno lordo del mondo includerà un prezzo del carbonio. Dalla COP 22 ci si aspettavano due cose: dimostrare che la Convenzione è in grado di dare concretezza allo a slancio generato da Parigi come è avvenuto a Kigali con l’emendamento del Protocollo di Montreal che ha messo al bando gli idrofluorocarburi (HFC), potenti gas serra, o con il nuovo meccanismo di compensazione delle emissioni di carbonio dal settore dell'aviazione civile internazionale (ICAO). C’era poi da avviare un imponente lavoro tecnico per il completamento accelerato delle modalità, procedure e linee guida che renderanno l'accordo di Parigi implementabile. È difficile rendicontare di progressi significativi a fronte di un lavoro tecnico ancora troppo preliminare. COP 22 è riuscita a creare un senso di urgenza e di responsabilità per la messa a punto di un “Libro delle regole” che dovrà essere concluso per il 2018 come termine ultimo: un anno in meno di quanto molti avevano previsto a Parigi, ma un anno in più di quanto richiesto dai paesi meno sviluppati e più vulnerabili che sostengono l'adozione delle decisioni quando sono pronte, per evitare l’attesa della decisione dell’ultima regola e la pubblicazione del Libro. La storia dice che per le regole di Kyoto ci sono voluti tre anni e la convocazione di una COP supplementare ad-hoc. I delegati a Marrakech si sono fatti effettivamente carico di un lavoro tecnico accelerato, ma i segnali di natura politico-economica attesi dalla seconda settimana ministeriale sono piuttosto quelli che vengono dall’esterno della COP 22.
La Presidenza marocchina ha invitato e ospitato circa 50 capi di Stato e di governo e ha convocato molti eventi di alto livello, tra cui una iniziativa per accelerare l'azione sui finanziamenti per il clima. È stata inoltre rafforzata l’Agenda d'azione globale per il clima, lanciata nel 2014 con lo scopo di catalizzare l'azione pubblica, privata e della società civile pre-2020 mediante il lancio del Partenariato di Marrakech, che mira a concretizzare l'agenda e dare una roadmap per l'azione 2017-2020. Molti paesi hanno infatti lamentato che, nonostante l'Accordo di Parigi in vigore, l’emendamento Doha del 2012 non ha ancora una ratifica e le parti non hanno negoziato il nuovo accordo per migliorare l’azione pre-2020 ai sensi del Protocollo di Kyoto. Per i paesi in via di sviluppo, questa è stata una promessa ancora non onorata. Il documento è stato ridotto nel corso della seconda settimana da quattro ad una sola pagina che ribadisce l’Accordo di Parigi nelle sue parti meno controverse. Voluto dal paese ospitante, vuole evitare che l’eredità di Marrakech sia solo quella dei piccoli passi in avanti sull’implementazione tecnica di Parigi. Nei fatti gli incontri ad alto livello sono stati un campionario di perorazioni dei governi, delle imprese e della società civile contro un probabile “trumpismo” climatico negli anni avvenire. Sul concetto di irreversibilità dell’Accordo di Parigi si sono spesi Ban Ki-moon, alla sua ultima COP, Patricia Espinosa, alla sua prima ed anche l’inviato speciale obamiano per i Cambiamenti climatici Jonathan Pershing, per cui questa potrebbe essere l’ultima. Secondo tutti loro la rapida entrata in vigore dell'Accordo di Parigi lo renderebbe a prova di Trump in quanto una volta entrato in vigore vi è un periodo di attesa di tre anni per qualsiasi paese che intenda ritirarsi, seguito da un anno prima che il ritiro abbia effetto. Non è pero chi non abbia visto, tra i delegati, che un conto è non ritirarsi, altro è coinvolgersi attivamente nell’azione climatica. John Kerry, segretario di Stato americano, infine pessimisticamente ha detto che "nessuno ha il diritto di prendere decisioni basate esclusivamente sulla ideologia per conto di miliardi di persone". Un elemento su cui hanno fatto leva tutti è che la politica di Trump consegnerebbe la leadership mondiale della green economy nelle mani della Cina e con essa tutti i vantaggi del mercato … e del prestigio, anche perché ora, a differenza dei tempi di Kyoto, tutti gli emettitori, grandi e piccoli, aziende e società civile, sono dentro l’Accordo, quello che per anni aveva chiesto l’altro Presidente negazionista Bush figlio, l’affossatore di Kyoto. Ha finito per passare in secondo piano l’elemento di maggiore importanza nella dinamica globale del clima, cioè che a conti fatti gli impegni attuali (INDC) sono inadeguati a rimanere al di sotto di 2 °C a fine secolo e a colmare il divario delle emissioni stimato in 12-14 GtCO2eq, pari ad un quindicennio delle emissioni delle auto in Europa. Parzialmente consolatorio è risultato l’annuncio che il Fondo per l’adattamento ha ricevuto contributi per il 2016 di 81 milioni di dollari, superando il suo obiettivo di raccolta fondi. Tornando alle tecnicalità interne all’Accordo di Parigi, Marrakech ha registrato discreti progressi nella definizione del Libro delle regole da scrivere entro il 2018 e per la gestione delle cosiddette "questioni orfane”, come l'articolo 12 (istruzione, formazione e sensibilizzazione del pubblico), che non erano ancora state esplicitamente incluse nelle agende degli organi della Convenzione. Nuovi elementi di chiarezza sono stati forniti sui preparativi per il dialogo facilitante del 2018, che dovrà fare avanzare l’ambizione dell’Accordo di Parigi e orientare la preparazione degli NDC, la versione aggiornata degli INDC alla luce degli obiettivi e del Rapporto sullo scenario a 1,5 °C che l’IPCC sta preparando. Progressi sono stati compiuti durante la prima settimana della conferenza su vari elementi di merito, vale a dire la mitigazione, l'adattamento, la trasparenza, lo stocktake globale del 2023, l'implementazione e la conformità, e altre questioni relative all'attuazione. Proficuo anche il lavoro degli organi tecnici SBI e SBSTA, su una serie di questioni come la capacitazione, le perdite e i danni per i quali è stato approvato un Piano di lavoro quinquennale a partire dal 2017, la trasparenza e la contabilità dei contributi pubblici ai paesi in via di sviluppo. Si poteva fare di più, dicono molti, anche perché il negoziato non è andato avanti nella settimana ministeriale pur essendo tutti i delegati ancora a Marrakech. Nella realtà poi i delegati stessi dichiaravano per lo più di non essere ancora pronti a discutere le regole e che preferivano per ora i piccoli passi. Nella discussione in APA, il Ad Hoc Working Group on the Paris Agreement, non poteva che evidenziarsi il perdurare delle contraddizioni pur sempre ancora presenti alla conclusione di Parigi, in particolare la non chiara differenziazione delle responsabilità tra paesi con livelli di sviluppo diversi, la troppo diversa attenzione ai periodi pre e post 2020 che preoccupa i paesi che temono che l’atteggiamento dei paesi sviluppati sia meramente dilatorio, la portata non ben definita degli NDC, ora che è chiaro che gli INDC non sono adeguati agli obiettivi dell’Accordo, se registrali in maniera separata o unitaria, come dare lo spazio necessario all’adattamento, compito per ora mal supportato negli INDC anche se si è raggiunto l’accordo che tutti i Paesi dovranno rendicontare sull’adattamento entro i primi cinque mesi del 2017, i flussi dei finanziamenti e delle tecnologie ed altro ancora. A Conferenza chiusa dobbiamo ammettere che le aspettative per quanto riguarda i progressi a Marrakech sono state, forse ingiustamente, esaltate dalla rapida entrata in vigore dell'Accordo di Parigi, e sono ulteriormente cresciute per la necessità di inviare forti segnali di unità e determinazione data l'incertezza causata dai risultati delle elezioni americane. Un'altra lezione appresa è che in tempi di incertezza il mondo guarda ad una nuova leadership. Alla COP 7, nel vuoto lasciato dagli Stati Uniti usciti dal Protocollo di Kyoto, la leadership fu dell'UE che riuscì a portare dentro Canada, Giappone e Federazione Russa. Con un vuoto di leadership in arrivo, molti stanno scrutando i segni di una nuova guida. Saranno i grandi player, vale a dire la Cina e l'UE, a portare avanti l’azione per il clima? L’Europa francamente non ci sembra godere di buona salute. La Cina, pur da sempre leader indiscusso dei paesi in via di sviluppo e dotata di capacità, prestigio e forza economica, non è un paese democratico e finora avrebbe badato piuttosto alle proprie convenienze, ma resta il candidato d’elezione: una vera rivoluzione. Intanto 48 paesi membri del Forum vulnerabili si sono impegnati ad avere il 100% dell’energia da fonti rinnovabili entro il 2050. Può essere un segno di spostamento della leadership verso i paesi di piccole dimensioni e grandi in ambizione. Sembra poco probabile. L’incredibile è che a metà della seconda settimana il vice ministro degli Esteri cinese, Liu Zhenmin, ha dovuto dichiarare che il suo paese non ha inventato il cambiamento climatico per ingannare gli Stati Uniti, secondo l’accusa elettorale di Trump. Se si guarda alla storia dei negoziati sul cambiamento climatico, ha detto Liu, l’IPCC è nato con il sostegno dei repubblicani durante l'amministrazione di Reagan e del Bush senior alla fine degli anni 1980. Siamo al punto che la Cina deve garantire agli Stati Uniti che il cambiamento climatico è un fatto serio e certo quando, fino a ieri, erano gli Stati Uniti ad accusare la Cina di approfittare del suo status di esente da obblighi di mitigazione ai sensi della Convenzione pre-Parigi. Tutti i documenti della COP 22 si possono scaricare dalla pagina dedicata del sito dell’UNFCCC. Intanto apprendiamo che la COP 23 sarà presieduta dalle Isole Fiji ma ospitata dalla Germania a Bonn, perché il piccolo Stato non ha proprie strutture e capacità.
Giugno 2016: Parigi: una nuova governance per il cambiamento climatico, di Toni Federico Abstract C’è una crisi climatica in atto che mette in seria discussione l’equilibrio ecologico del pianeta e lo stesso sviluppo economico e sociale così come lo conosciamo. La base scientifica del cambiamento climatico è piuttosto evidente, al di là di ogni inutile polemica: pompando in atmosfera gas serra oltre la resilienza dell’ecosistema atmosfera-oceano, cambiano i flussi di energia riemessi dalla terra che si scalda in misura proporzionale all’aumento dello stock atmosferico di gas ad effetto serra. A Parigi, nel Dicembre 2015, al culmine di un quarto di secolo di trattative in un quadro di governance globale piuttosto incerta, si è finalmente trovato un Accordo in base al quale l’aumento della temperatura media terrestre dovrebbe stare ben al di sotto dei 2° C di anomalia rispetto al periodo preindustriale. (> leggi il testo completo)
2016. PARIGI, LA COP 21 CAMBIA LA STORIA DEL NEGOZIATO (Resoconti disponibili su VOLUME III)
L'ACCORDO DI PARIGI, VERSIONE ITALIANA a cura della Fondazione per lo sviluppo sostenibile Il testo dell'accordo come entra a Parigi Ruolo e responsabilità della COP 21 I governi di più di 190 nazioni vanno a Parigi per discutere un nuovo accordo globale sui cambiamenti climatici, per ridurre le emissioni antropogeniche globali di gas serra ed evitare la minaccia di cambiamenti irreversibili del clima. Ma a Parigi c’è il terrore e la guerra. Non ce lo saremmo mai aspettato ma la COP 21 è blindata, le manifestazioni vietate e gli ambientalisti obbligati agli arresti domiciliari. Ci saranno Barack Obama degli Stati Uniti, Xi Jinping della Cina, Narendra Modi dell’India, Angela Merkel, David Cameron e anche Matteo Renzi. A differenza dei colloqui di Copenaghen, in cui i leader mondiali sono arrivati all'ultimo minuto delle due settimane di colloqui, per trovare i loro team negoziali nel caos e senza un accordo chiaro per consentire loro di firmare, questa volta i leader arriveranno all'inizio della conferenza e potranno dare ai loro team negoziali istruzioni chiare per un accordo definitivamente strutturato alla fine delle due settimane. Lunedì mattina la Presidenza francese aprirà la conferenza con una sessione riservata ai capi di stato, un “leaders event” sollecitato dal governo francese, e guidato dal ministro degli Esteri Laurent Fabius, Presidente della COP 21, e dal ministro dell'ambiente Ségolène Royal. Certo è che negli incontri bilaterali si parlerà di terrorismo più che di clima. La speranza è che la gravità del contesto porti a risultati per l’uno e per l’altro. Sappiamo che se le emissioni di gas a effetto serra continueranno ad aumentare, passeremo la soglia oltre la quale il riscaldamento globale diventa catastrofico e irreversibile. Tale soglia è stimata probabilisticamente ad un aumento della temperatura superficiale media terrestre a fine secolo di 2 °C di sopra dei livelli pre-industriali, mentre sulle traiettorie delle emissioni attuali ci stiamo dirigendo verso un aumento di circa 5 °C, la differenza di temperatura tra il mondo di oggi e l'ultima era glaciale. Nonostante un apparente rallentamento del riscaldamento terrestre le temperature continuano a salire, smentendo i proclami degli scettici, ormai pochi ma agguerriti e ben finanziati. I record termici degli ultimi mesi confermano purtroppo che le variazioni osservate nei ritmi di crescita non sono statisticamente significative. Per invertire questa tendenza occorre il contributo di tutti, in parziale contraddizione con quelli che sono stati i primi passi della Convenzione climatica alle COP di Berlino e di Kyoto. Quel mondo diviso in due, tra poveri e ricchi, Nord e Sud, Paesi obbligati ed esentati dall’abbattere le emissioni non esiste più. Ma raggiungere un accordo tra 196 paesi sarà mai facile, come abbiamo visto nel 2009 a Copenhagen, dove la COP fu accompagnata da attese paragonabili a quelle di oggi per Parigi, dove c’era il nuovo Presidente americano e un nuovo Patto si prevedeva che sarebbe stato scritto. A distanza di sei anni ed altrettante COP, un osservatore da lontano potrebbe dire che siamo allo stesso punto. Abbiamo invece ragione di credere che il lungo e logorante lavoro di questi anni darà i suoi frutti, anche sotto la spinta dei sempre più frequenti disastri climatici che colpiscono tutti, anche i più tiepidi come la Federazione Russa. Come si legge sul Guardian il Protocollo di Kyoto è stato un trattato internazionale ben scritto, a tenuta stagna, completamente giuridicamente vincolante, un trattato sotto la Convenzione climatica di Rio de Janeiro, essa stessa vincolante. Ma non ha raggiunto i suoi obiettivi, perché non è stato ratificato dagli Stati Uniti, e perché la Russia gli ha dato il via quando forse era troppo tardi. E nessuno dei paesi che non hanno rispettato i loro impegni assunti nel quadro di Kyoto è stato sanzionato né lo sarà mai. Il disimpegno dei paesi non Annesso 1 si è inoltre rivelato una applicazione restrittiva e controproducente del Principio delle responsabilità comuni ma differenziate che non si è ancora riusciti a rimontare adeguatamente. Il peso di un accordo a Parigi, questo lo si sa, ricadrà finalmente su tutti i paesi in modo proporzionato, ma il successo della lotta al cambiamento climatico dipende dai grandi emettitori. L'UE taglierà le proprie emissioni del 40%, rispetto ai livelli del 1990, entro il 2030. Gli Stati Uniti ridurranno le emissioni del 26-28%, rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025. La Cina porterà le sue emissioni al picco entro il 2030. La diplomazia climatica ha adottato per Parigi un approccio bottom-up che è quanto di più lontano ci possa essere da un impegno globale vincolante. Anzi si è chiesto ad ogni paese di fare la sua proposta e inviarla alla Convenzione con un formato che conosciamo con l’acronimo INDC. Il cambio di tattica ha avuto successo: nazioni responsabili di oltre il 90% delle emissioni globali di oggi hanno inviato i loro INDC con i loro obiettivi. Ci sono tutti i principali paesi sviluppati e in via di sviluppo, anche se il loro contributo è alquanto differenziato: nel caso dei paesi sviluppati si sono richiesti tagli effettivi delle emissioni, ma per i paesi in via di sviluppo il discorso si è articolato in una serie di obiettivi tra cui certamente l’abbattimento delle emissioni rispetto al business as usual, ma anche impegni per aumentare l'energia a basse emissioni, per l’adattamento e per preservare le foreste. Le analisi degli INDC approvati dalle Nazioni Unite, che presentiamo in altra parte di questa stessa pagina, dicono che questi impegni volontari sarebbero sufficienti a tenere il mondo a circa 2.7-3 °C dell’anomalia termica terrestre. Non è sufficiente senza impegni vincolanti a rispettare le proposte, a non retrocedere da esse (backsliding) ed anzi a istituire un sistema di revisione in avanti degli obiettivi di emissione ogni cinque anni, tutti elementi chiave di qualsiasi accordo di Parigi. Parigi lancerà poi un appello universale al di fuori della cerchia delle sue competenze, rivolto alla società civile e alle imprese affinché le città, i governi locali e le imprese stesse diano il loro contributo alla mitigazione. Qui siamo certi, leggendo i movimenti in atto in tutto il mondo, che questa chiamata di corresponsabilità avrà successo. L'altra questione chiave è il finanziamento. I paesi più poveri vogliono che si fornisca loro aiuto per investire in tecnologie pulite, per ridurre le loro emissioni di gas serra, e per adattare il loro territorio ai più che probabili danni del cambiamento climatico. Si tratta di un problema estremamente controverso. A Copenaghen, i paesi donatori hanno deciso di erogare 30 miliardi US$ all’anno come assistenza finanziaria "fast-start” ai paesi poveri, e hanno dichiarato che entro il 2020 , avrebbero portato i flussi finanziari ad almeno 100 miliardi di US$ l'anno. Come pietra angolare di qualsiasi accordo di Parigi, i paesi poveri vogliono assicurazioni che questo impegno sarà coperto. Vogliono anche che i danni climatici (Loss and Damage) siano risarciti con fondi ulteriori e che si diano garanzie per gli anni oltre il 2020. Ci sono valutazioni moderatamente ottimistiche. Vedremo. Certo è che finora l’impegno non è stato confermato ed anzi si è chiesto che non solo i paesi ricchi, ma tutti contribuiscano con la formula “qualora siano in condizioni di farlo”. Il cambiamento climatico aumenta il rischio degli eventi estremi come tempeste, siccità e inondazioni, precipitazioni ricorrenti e cambiamenti a lungo termine delle temperature e dei livelli del mare. Sarebbe un errore limitare le valutazioni d'impatto alla natura ed alle infrastrutture, perché il cambiamento climatico interessa una gamma di questioni relative allo sviluppo sostenibile molto più ampia come la salute, la sicurezza alimentare, l'occupazione, i redditi e le condizioni di vita, l'uguaglianza di genere, l’istruzione, le abitazioni, la povertà e la mobilità. I disastri legati al clima interessano già oltre 200 milioni di persone ogni anno. Per gli oltre due miliardi e mezzo di persone che vivono con meno di 2$/die, le crisi climatiche possono innescare temibili spirali di sottosviluppo. Persone e paesi ad alto reddito possono far fronte agli shock attraverso assicurazioni private, vendendo beni o impegnando risorse economiche. I poveri possono solo ridurre i consumi, l'alimentazione, rinunciare alla cura delle malattie, all’istruzione dei bambini o vendere risorse da cui dipende la loro sopravvivenza. Emissioni pro-capite di CO2 nel mondo (fonte: IEA WEO 2015)
Gli impatti sulla salute sono causati dal degrado ambientale dell’aria, dell’acqua potabile, del cibo e delle abitazioni. In forma acuta sono causati dalle ondate di calore, da inondazioni e siccità, dalle tempeste tropicali, da inattese forme di infezioni. Aggravano inoltre la cronica scarsità d'acqua, la malnutrizione, lo stress psicosociale, gli spostamenti, le migrazioni e i conflitti. È stato stimato che entro il 2004, il modesto riscaldamento in corso dal 1970 aveva già provocato oltre 140 000 vittime in più all'anno. Il cambiamento climatico può contribuire alla diffusione del virus HIV, a causa della crescente povertà e degli spostamenti delle popolazione. I bambini di età fino a due anni, nati durante una siccità, hanno oltre il 70% di probabilità di patire la malnutrizione. Negli anni che seguono le inondazioni, sono stati riscontrati gravi effetti tra i bambini in età prescolare a causa di un accesso ridotto al cibo, di una maggiore difficoltà di fornire cure adeguate e di una maggiore esposizione ai contaminanti ambientali. Il cambiamento climatico agisce come un moltiplicatore del rischio della fame che, entro il 2050, subirà un aumento dal 10 al 20% a causa delle perdite di produttività. Per quella data si prevedono 24 milioni di bambini malnutriti in più, +21%, quasi la metà nell’Africa sub-sahariana. Al contempo i prezzi per le colture più importanti, riso, grano, mais potrebbero aumentare fino al 150% entro il 2060. Studi recenti (FAO) sostengono che i prezzi dei prodotti alimentari saranno più che raddoppiati nei prossimi 20 anni con un trend superiore a quello del decennio a venire e con il cambiamento climatico tra le cause più importanti.
Il cambiamento climatico aumenta la vulnerabilità, impattando i sistemi e le istituzioni che sostengono la salute umana e il benessere, compresi gli ecosistemi, i mezzi di sussistenza, l'occupazione, e la prestazione di servizi sociali. La sola Africa è la patria di più di 650 milioni di persone che dipendono da colture pluviali in ambienti già colpiti da carenza idrica e dal degrado del territorio. Due terzi della superficie coltivabile potrebbe essere persi entro il 2025. Disastri legati al clima possono danneggiare le infrastrutture che supportano la salute e il benessere, come i servizi sanitari, i servizi pubblici comuni, l’energia, i sistemi di comunicazione, la polizia, ed anche sovraccaricare i sistemi di protezione sociale e le reti di sicurezza. 5,3 miliardi di persone non hanno alcun accesso alla copertura di sicurezza sociale, e le politiche esistenti e i sistemi di protezione sociale sono spesso insufficienti per migliorare la resilienza del territorio. Il cambiamento climatico potrebbe causare un picco della disoccupazione e un peggioramento delle condizioni di lavoro nelle aree urbane, a cominciare dai trasporti. A causa dell’esistente marginalità sociale, delle discriminazioni o di politiche e istituzioni di protezione insufficienti, gli impatti del cambiamento climatico sono distribuiti tra i diversi gruppi sociali in maniera ineguale. Alcune caratteristiche come l'età, il sesso, l’etnia, il ceto sociale o la casta, sono fortemente associate alla vulnerabilità sociale. In particolare le norme, i ruoli e le relazioni di genere già determinano impatti diversi su uomini e donne, anche per la salute. Il mondo si sta sempre più urbanizzando: già più della metà della popolazione vive in aree urbane, ed entro il 2050 potrebbe arrivare ai due terzi. Quasi tutta la crescita urbana avverrà nei paesi in via di sviluppo, dove più del 50% della popolazione vive in baraccopoli, luoghi altamente vulnerabili, con materiali edilizi precari, accesso limitato alle infrastrutture e mancanza di sicurezza. Ciò è aggravato dal fatto che il 15% della popolazione urbana mondiale vive in zone costiere basse, altamente esposte agli impatti dell'aumento del livello del mare e agli eventi climatici estremi. (> more)
LA CHIUSURA DELLA COP 21 Sabato 12 Dicembre, ore 19:30. Si chiude la COP 21 con l'approvazione per acclamazione del Patto di Parigi (> vedi l'assemblea di chiusura in differita) Laurent Fabius si scusa del ritardo, motivato da questioni rilevanti. Il testo (> vedi) risulta modificato rispetto a quello distribuito alle 13:30, correzioni puramente materiali, dice il Presidente. Dopo alcune precisazioni formali, alcune dalla sala, il Presidente dichiara: "L'Accord de Paris est acceptèe" il martello con cui dichiaro accolto l'accordo è piccolo ma è per una grande cosa. La commozione del Presidente Fondazione per lo sviluppo sostenibile Cronaca e storia del negoziato climatico pag. 4 L'assemblea acclama l'Accordo. La retorica è misurata. Il Sud Africa dedica l'Accordo a Nelson Mandela. Dure critiche del Nicaragua. L'Europa dice ai francesi che il Patto è un loro successo, e che tutti noi europei ne siamo orgogliosi: sarebbe il primo atto di successo del negoziato multilaterale sul clima dopo il Protocollo di Kyoto, 18 anni fa. La Cina dice che il Patto forse lascia aree di miglioramento, ma è un passo in avanti storico. Un segnale forte per uno sviluppo low carbon e sostenibile. John Kerry definisce il Patto una tremendous victory per noi e per le future generazioni. 196 paesi e 196 opinioni oggi si riuniscono in una visione unica e progressiva. Diamo un forte segnale ai mercati in favore di una innovazione sostanziale del modello di sviluppo. Gli Stati uniti e Obama personalmente ringraziano la Francia, vittima del terrorismo. Il Venezuela definisce il preambolo del Patto come incredibilmente rivoluzionario perché restituisce all'accordo tutte le dimensioni sociali e i diritti umani, della donna e dell'ambiente. Ringrazia Papa Francesco la la sua enciclica Laudato sì. Ringrazia il comandante Ugo Chavez che ha voluto questo accordo. Dice Ban Ki-moon che il Patto di Parigi è monumentale. L'accordo dimostra una nuova solidarietà. Prefigura una nuova era di energia pulita e rinnovabile. La leadership francese è stata determinante in un quadro irto di difficoltà. Hollande, commosso, dice che la storia ricorderà il 2015 come l'anno dell'Accordo di Parigi. Questa è la più bella e la più pacifica delle rivoluzioni. La storia è di chi si impegna, non di chi fa calcoli. Ringrazia Al Gore, un precursore presente in sala. L'assemblea applaude. Copenhagen è dimenticata. La Francia si impegna a rivedere il suo impegno di abbattimento delle emissioni prima del 2020. Sabato 12 Dicembre, ore 11. Il Comitè de Paris consegna il testo finale del Patto di Parigi Tra grandi attese si chiude l'attività del Comitè de Paris con la presentazione da parte del Presidente Laurent Fabius del testo del Patto di Parigi che sarà oggetto dell'approvazione della COP 21 convocata in assemblea plenaria nel pomeriggio alle 15:45. > scarica il Patto di Parigi Fabius dice che è stato fatto un grande lavoro, prima dall'ADP che ha lavorato per quattro anni e ha negoziato per tutta la prima settimana a Parigi, poi dai 150 capi di Stato e di Governo che sono intervenuti a Parigi nei primi due giorni della COP 21 per dare al Patto un impulso decisivo, infine dai Ministri e dai capi delegazione negli ultimi giorni. Il testo che è stato licenziato è quanto si è potuto ottenere di meglio in un contesto difficile: contiene l'indicazione strategica degli 1,5 °C, la conferma del metodo degli INDC con la revisione periodica ogni 5 anni che si richiede che non sia mai regressiva, l'assegnazione formale e vincolante del Fondo per il Clima di 100 Miliardi di dollari entro il 2020, esso pure soggetto a verifica periodica, un fondo iniziale per il loss and damage di un miliardo di dollari, ma, soprattutto, contiene di più prezioso l'accordo pieno di 196 Paesi, con esigenze diversissime, che forse non le troveranno nel patto Fondazione per lo sviluppo sostenibile Cronaca e storia del negoziato climatico pag. 5 tutte quante soddisfatte, ma che condividono la visione strategica di questo storico accordo, così lo definisce. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon dice tra l'altro di non aver mai vissuto un negoziato internazionale così difficile e che questo dà la misura del valore dell'accordo raggiunto. Grandi ringraziamenti e riconoscimenti al Governo Francese. Conclude la seduta del Comitè il Primo Ministro francese Hollande. Dice di non aver voluto mancare alla consacrazione di questo storico Patto, ambizioso e realistico. Merito delle 186 delegazioni nazionali presenti a Parigi, di Fabius e della Figueres. Il Patto contiene solidi e vincolanti meccanismi di revisione, rilancia pienamente e su larga scale le energie rinnovabili e introduce sui mercati il Carbon Pricing. è un accordo decisivo per il pianeta. Vi scongiuro, conclude in nome della Francia e della città martire di Parigi, di adottare e fare vostro questo Patto. GLI IMPEGNI ASSUNTI A PARIGI
11 settembre 2015: Udienza di Papa Francesco in sostegno della lotta mondiale contro i cambiamenti climatici "Siamo qui per rivolgerle umilmente una preghiera: faccia un messaggio, un suo messaggio, alla Conferenza di Parigi. Noi l'aspettiamo e pensiamo che possa fare da contributo importante affinché abbia un esito positivo e veramente importante per tutti". Con queste parole il Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, Edo Ronchi, ha concluso l'11 settembre nella Sala Clementina del Vaticano la sua presentazione dei risultati della due giorni del Convegno sulla giustizia ambientale e i cambiamenti climatici (> ascolta una registrazione di sala della presentazione di Edo Ronchi". La presentazione ha dato spunto alle parole del Santo Padre, che a sua volta ha concluso accogliendo la richiesta di Ronchi "... potete contare sul sostegno mio personale e di tutta la Chiesa, a partire da quello, indispensabile, della preghiera. Fin da ora offro al Signore il nostro comune sforzo, chiedendogli di benedirlo perché l’umanità sappia finalmente dare ascolto al grido della terra - oggi la nostra madre terra è tra i tanti esclusi che gridano al Cielo per un aiuto! La nostra madre terra è un'esclusa! -, anche al grido della terra, nostra madre e sorella e dei più poveri tra coloro che la abitano, e prendersene cura. In questo modo la creazione si avvicinerà sempre di più alla casa comune che l’unico Padre ha immaginato come dono per la famiglia universale delle sue creature". (> leggi il testo dell'allocuzione di Papa Francesco oppure ascolta l'allocuzione). Il Convegno si è tenuto nella sede vaticana a Roma dell'Istituto Patristico Agostiniano dal 10 all'11 settembre. La relazione di apertura della fondazione per lo sviluppo sostenibile è stata tenuta dal Presidente Edo Ronchi (> scarica il testo del documento) che dice: "Dal 1990 al 2014 le emissioni sono cresciute di oltre il 30% e la concentrazione di gas serra ha superato le 400 ppm, la più alta negli ultimi 800 mila anni. La temperatura media è aumentata di 0,85°C dal 1880. Il tasso di crescita annua è passato dalla media dell’1,3% del 1970-2000, al 2,2% del 2000-2010". Le proposte principali sono:
2014: LA COP 20 DI LIMA E LE ATTIVITà PREPARATORIE. Volume II - COP 20
2013: DA BALI A VARSAVIA.
Volume I
COP 13 - COP 19 CONOSCERE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Le basi fisiche del cambiamento climatico (ppt, 2018) |
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