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COMITATO
SCIENTIFICO
DELLA FONDAZIONE PER LO
SVILUPPO SOSTENIBILE
Lo sviluppo sostenibile
in Italia e nel mondo
3 Marzo
2022. Risoluzione dell'Assemblea Generale dell'ONU sull'Ucraina adottata a larghissima
maggioranza
L'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite:
1. Riafferma il suo impegno per la sovranità,
l'indipendenza, l'unità e l'integrità territoriale dell'Ucraina entro i suoi
confini internazionalmente riconosciuti, comprese le sue acque territoriali;
2. Deplora con la massima fermezza l'aggressione della
Federazione russa contro l'Ucraina in violazione dell'articolo 2, paragrafo
4, della Carta;
3. Chiede alla Federazione russa di cessare
immediatamente l'uso della forza contro l'Ucraina e di astenersi da
qualsiasi ulteriore minaccia illegale o uso della forza contro qualsiasi
Stato membro;
4. Chiede inoltre che la Federazione Russa ritiri
immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze
militari dal territorio dell'Ucraina entro i suoi confini internazionalmente
riconosciuti;
5. Deplora la decisione del 21 febbraio 2022 della
Federazione russa relativa allo status di alcune aree delle regioni ucraine
di Donetsk e Luhansk come violazione dell'integrità territoriale e della
sovranità dell'Ucraina e incompatibile con i principi della Carta;
6. Chiede alla Federazione russa di revocare
immediatamente e incondizionatamente la decisione relativa allo status di
alcune aree delle regioni ucraine di Donetsk e Luhansk;
7. Invita la Federazione Russa a rispettare i principi
enunciati nella Carta e nella Dichiarazione sulle relazioni amichevoli;
8. Invita le parti a rispettare gli accordi di Minsk e
a lavorare in modo costruttivo nei pertinenti quadri internazionali, anche
nel formato Normandia e nel gruppo di contatto trilaterale, per la loro
piena attuazione;
9. Chiede a tutte le parti di consentire il passaggio
sicuro e illimitato verso destinazioni al di fuori dell'Ucraina e di
facilitare l'accesso rapido, sicuro e senza ostacoli all'assistenza
umanitaria per i bisognosi in Ucraina, di proteggere i civili, compreso il
personale umanitario e le persone in situazioni vulnerabili, compresi donne,
anziani, persone con disabilità, popolazioni indigene, migranti e bambini e
rispettare i diritti umani;
10. Deplora il coinvolgimento della Bielorussia in
questo uso illegale della forza contro l'Ucraina e la invita a rispettare i
suoi obblighi internazionali;
11. Condanna tutte le violazioni del diritto umanitario
internazionale e le violazioni e gli abusi dei diritti umani e invita tutte
le parti a rispettare rigorosamente le disposizioni pertinenti del diritto
umanitario internazionale, comprese le Convenzioni di Ginevra del 19492 e il
Protocollo aggiuntivo I del 1977,3 come applicabile , e di rispettare il
diritto internazionale sui diritti umani, e a questo proposito richiede
inoltre che tutte le parti assicurare il rispetto e la protezione di tutto
il personale medico e umanitario impegnato esclusivamente in mansioni
mediche, dei suoi mezzi di trasporto e delle attrezzature, nonché degli
ospedali e delle altre strutture mediche;
12. Chiede che tutte le parti rispettino pienamente i
loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario di risparmiare
la popolazione civile e gli oggetti civili, astenendosi dall'attaccare,
distruggere, rimuovere o rendere inutili gli oggetti indispensabili alla
sopravvivenza della popolazione civile, e rispettando e proteggendo gli
aiuti umanitari personale e spedizioni utilizzate per operazioni di soccorso
umanitario;
13. Chiede al Coordinatore degli aiuti di emergenza di
fornire, 30 giorni dopo l'adozione della presente risoluzione, una relazione
sulla situazione umanitaria in Ucraina e sulla risposta umanitaria;
14. Sollecita l'immediata risoluzione pacifica del
conflitto tra la Federazione russa e l'Ucraina attraverso il dialogo
politico, i negoziati, la mediazione e altri mezzi pacifici;
15. Accoglie favorevolmente e sollecita i continui
sforzi del Segretario generale, degli Stati membri, dell'Organizzazione per
la sicurezza e la cooperazione in Europa e di altre organizzazioni
internazionali e regionali per sostenere l'attenuazione della situazione
attuale, nonché gli sforzi delle Nazioni Unite Nazioni, compreso il
Coordinatore di crisi delle Nazioni Unite per l'Ucraina, e organizzazioni
umanitarie per rispondere alla crisi umanitaria e dei rifugiati creata
dall'aggressione della Federazione Russa;
16. Decide di aggiornare temporaneamente l'undicesima
sessione straordinaria d'urgenza dell'Assemblea Generale e di
autorizzare il Presidente dell'Assemblea Generale a riprendere le sue
riunioni su richiesta degli Stati membri.
leggi il documento
in originale
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2 Marzo
2022. Risoluzione del Parlamento italiano sull'Ucraina adottata a larghissima
maggioranza
Il
Parlamento impegna il Governo:
1) a esigere dalle Autorità russe l’immediata
cessazione delle operazioni belliche e il ritiro di tutte le forze militari
che illegittimamente occupano il suolo ucraino, ripristinando il rispetto
della piena sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina;
2) a sostenere ogni iniziativa multilaterale e
bilaterale utile ad una de-escalation militare e alla ripresa di un percorso
negoziale tra Kiev e Mosca, anche raccogliendo la disponibilità della Santa
Sede a svolgere un’opera di mediazione;
3) ad assicurare sostegno e solidarietà al popolo
ucraino e alle sue istituzioni attivando, con le modalità più rapide e
tempestive, tutte le azioni necessarie a fornire assistenza umanitaria,
finanziaria, economica e di qualsiasi altra natura, nonché – tenendo
costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri
Paesi europei e alleati – la cessione di apparati e strumenti militari che
consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di
proteggere la sua popolazione;
4) a raccogliere l’aspirazione europea dell’Ucraina,
rafforzando in ogni campo la cooperazione UE-Ucraina;
5) ad attivare un programma straordinario di
accoglienza dei profughi ucraini, coinvolgendo enti locali e
associazionismo, semplificando le procedure per il riconoscimento dello
status di rifugiato, applicando la direttiva europea sulla protezione
temporanea e sostenendo le iniziative della UE per una accoglienza solidale
e condivisa;
6) ad attivare programmi umanitari per la popolazione
ucraina e semplificare le procedure di utilizzo dei fondi erogati;
7) a sostenere in sede europea la ulteriore sospensione
del Patto di stabilità e la istituzione di un fondo europeo compensativo per
gli Stati maggiormente penalizzati dalle sanzioni;
8) a provvedere a misure di sostegno alle imprese per i
maggiori oneri derivanti dalla applicazione di sanzioni, nonché la
promozione di accesso a nuovi mercati verso cui indirizzare esportazioni e
investimenti non allocabili sul mercato russo;
9) ad attivare strategie di diversificazione degli
approvvigionamenti energetici, di investimento sulle energie rinnovabili e
di utilizzo delle sorgenti di energia del Paese, e concorrendo alle
decisioni dell’UE nella direzione dell’Unione dell’energia;
10) ad attivare le misure necessarie a preservare le
infrastrutture strategiche del Paese da eventuali attacchi informatici o di
altra natura, anche tenendo conto delle indicazioni contenute nelle
Relazioni del Copasir alle Camere;
11) a sostenere l’urgenza di un netto rafforzamento
della Politica estera e di sicurezza comune europea, anche attivando le
riforme procedurali necessarie;
12) a mantenere uno stretto e permanente coordinamento
con i Paesi del G7, dell’Alleanza Atlantica e dell’Unione europea,
condividendo iniziative a supporto dell’Ucraina e contromisure efficaci e
sostenibili, incluse sanzioni, all’aggressione russa.
leggi l'intero
documento
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1 Marzo
2022. Risoluzione del Parlamento europeo sull'Ucraina adottata a larghissima
maggioranza
Il
Parlamento europeo:
1. Condanna con la massima fermezza l'aggressione
militare illegale, non provocata e ingiustificata della Federazione russa
nei confronti dell'Ucraina e l'invasione di quest'ultima nonché il
coinvolgimento della Bielorussia in tale aggressione;
2. Chiede che la Federazione russa ponga immediatamente
fine a tutte le attività militari in Ucraina, ritiri incondizionatamente
tutte le forze militari e paramilitari e le attrezzature militari da tutto
il territorio dell'Ucraina riconosciuto a livello internazionale e rispetti
pienamente l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza
dell'Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale;
3. Sottolinea che l'aggressione militare e l'invasione
costituiscono una grave violazione del diritto internazionale, e in
particolare della Carta delle Nazioni Unite, e invita la Federazione russa a
tornare ad adempiere alle sue responsabilità in quanto membro permanente del
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ai fini del mantenimento della
pace e della sicurezza, nonché a rispettare gli impegni assunti nel quadro
dell'Atto finale di Helsinki, della Carta di Parigi per una nuova Europa e
del Memorandum di Budapest; ritiene che l'invasione dell'Ucraina da parte
della Russia costituisca un attacco non solo contro un paese sovrano, ma
anche contro i principi e il meccanismo di cooperazione e di sicurezza in
Europa e contro l'ordine internazionale fondato su regole, quale definito
dalla Carta delle Nazioni Unite;
...
7. Esorta a proseguire gli sforzi diplomatici intesi a
fermare l'aggressione russa contro l'Ucraina e a trovare una soluzione
pacifica basata sul rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale
dell'Ucraina e dei principi del diritto internazionale, come pure del
diritto dell'Ucraina di decidere sulle future alleanze senza ingerenze
esterne; esorta la Federazione russa a riprendere la via del dialogo e della
diplomazia al fine di salvare la popolazione dell'Ucraina e non solo, come
pure la sua popolazione, dal flagello della guerra;
...
9. Respinge categoricamente la retorica russa che fa
riferimento al possibile ricorso ad armi di distruzione di massa, nel
contesto di un'architettura globale di non proliferazione, disarmo e
controllo delle armi già deteriorata ed erosa; ricorda alla Federazione
russa i suoi obblighi internazionali e mette in guardia dai pericoli di
un'escalation nucleare del conflitto; esprime preoccupazione per il fatto
che la Federazione russa sta innalzando il livello di allerta del suo
arsenale nucleare;
...
17. Chiede, in particolare, che siano limitate le
importazioni delle più importanti merci di esportazione russe, tra cui
petrolio e gas, che siano vietati nuovi investimenti dell'UE nella
Federazione russa e nuovi investimenti russi nell'UE, che l'accesso di tutte
le banche russe al sistema finanziario europeo sia bloccato, che la
Federazione russa e la Bielorussia siano escluse dal sistema SWIFT e che
siano imposte sanzioni secondarie alle banche che utilizzano mezzi
alternativi a SWIFT;
...
20. Chiede un cessate il fuoco immediato e
incondizionato; chiede che i canali di comunicazione con la Russia restino
aperti e che le parti interessate siano pronte al dialogo e ai negoziati
fino a quando il cessate il fuoco sarà effettivo e la guerra conclusa;
...
27. Chiede di aumentare i
contributi a favore del rafforzamento delle capacità di difesa dell'Ucraina;
sostiene fermamente la decisione storica di stanziare notevoli finanziamenti
aggiuntivi per fornire all'Ucraina armi difensive attraverso lo strumento
europeo per la pace e la fornitura di attrezzature militari da parte degli
Stati membri;
28. Invita gli Stati membri ad accelerare la fornitura
di armi difensive all'Ucraina in risposta a esigenze chiaramente individuate
e in linea con l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che consente
l'autodifesa individuale e collettiva ...
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28 Febbraio 2022.
Fermate l'invasione dell'Ucraina, rifiutate il gas russo!
Per
cercare di prevenire una crisi energetica serve un piano d'emergenza che ci
permetta, per quanto possibile, di rispondere a un'emergenza affrontandone
anche un'altra, quella climatica
L'invasione delle forze armate russe dell'Ucraina,
decisa e attuata dal regime autoritario di Putin, non può essere né
giustificata, né tollerata, ma va contrastata perché occupando con la forza
un Paese sovrano viola la legalità internazionale - uno dei pochi e fragili
presidi della pace - e perché causa morte, distruzione e sofferenza,
minacciando gravemente la vita, la libertà, il presente e il futuro della
popolazione ucraina.
A fronte di simili aggressioni, i popoli attaccati
hanno il diritto di difendersi, di resistere anche con la forza delle armi,
di non arrendersi alla violenza degli aggressori. Quando chi genera simili
aggressioni non trova resistenza, non solo non cessa di aggredire, ma - la
storia purtroppo è piena di esempi - viene incoraggiato a ripeterle,
estendendo le guerre e aumentando le minacce per la pace. Gli appelli alla
pace, purtroppo, non hanno alcuna efficacia, non sono in grado di fermare
l'aggressione dell'armata di Putin che - a conferma della sua pericolosità
per la pace in Europa - non esita ad invocare la minaccia nucleare.
L'accoglienza dei profughi ucraini, costretti a
lasciare le loro città aggredite, deve essere piena e senza concessioni alla
retorica anti immigrati e il sostegno alla popolazione ucraina deve essere
concreto e, soprattutto, rapido.
L'iniziativa diplomatica può contribuire a tenere
aperti spazi di trattativa o, almeno, a cercare di limitare i rischi di
ulteriore estensione di questa guerra, senza subire le minacce
dell'aggressore. L'attenzione, l'informazione e la mobilitazione dei
cittadini sono importanti fattori per limitare i danni e le barbarie della
guerra, specie se si sviluppano, come sta avvenendo, anche in
Russia. Indispensabili anche adeguate sanzioni economiche che, pur se non
sono prive di controindicazioni, rappresentano uno strumento non militare
necessario per indebolire il regime aggressore e ridurre i mezzi economici e
di consenso a sostegno della sua macchina bellica.
Il gas e
il petrolio rappresentano più della metà dell'export russo e sono di gran
lunga le fonti più importanti del finanziamento del regime di Putin e della
sua macchina militare. Anche l'Italia, come il resto dell'Europa, importa
una parte rilevante di questo gas e, in parte molto minore, anche del
petrolio: circa il 40% del gas consumato in Italia - pari a circa 30
miliardi di metri cubi - è fornito al nostro Paese dalle imprese russe
controllate da Putin e dai suoi amici.
Questa dipendenza dal gas russo è anche uno dei fattori
alla base della fortissima crescita dei prezzi di questo combustibile
fossile e del traino verso l'alto anche di quelli del petrolio. È possibile
che la guerra generi, specie in Europa, una crisi energetica che ci obblighi
a misure di emergenza simili a quelle adottate durante la crisi petrolifera
degli anni settanta. Per cercare di prevenirla o almeno di limitarne i danni
e avere un ruolo attivo nelle sanzioni contro il regime di Putin e il suo
apparato militare, sarebbe bene definire e rendere operativo un piano
energetico di emergenza che, il più rapidamente possibile, consenta di
tagliare in modo consistente l'importazione in Italia di gas russo.
Propongo tre scelte di fondo per questo piano che si
basano sull'efficacia e sulla coerenza con la strategia della transizione
alla neutralità climatica permettendoci, per quanto possibile, di rispondere
a un'emergenza affrontandone anche un'altra, quella climatica.
La prima scelta è la riduzione dei consumi di gas, che
può basarsi anche su un'attiva collaborazione dei cittadini e delle imprese.
Negli edifici, residenziali e commerciali, in Italia si consumano ogni anno
circa 30 miliardi di metri cubi di metano e altri 14 miliardi di metri cubi
ne consuma il settore industriale. Si potrebbero attivare misure urgenti per
aumentare il risparmio e l'efficienza energetica rivedendo e rendendo più
efficace l'applicazione dell'ecobonus e dei certificati bianchi, anche
introducendo nuovi obblighi e misure di sostegno agli investimenti per la
riduzione dei consumi energetici in alcuni settori energivori, aumentando il
peso delle rinnovabili termiche e dell'elettrificazione tanto negli edifici
quanto nell'industria. Con queste misure in questi due settori si potrebbero
arrivare a tagliare, in pochi anni, fino al 15-20% dei consumi di gas, ossia
tra 6,5 e 9 miliardi di metri cubi.
La seconda scelta è quella di varare un programma
straordinario di emergenza per la rapida crescita delle rinnovabili per la
generazione elettrica, recependo la recente proposta di Elettricità futura,
l'associazione confindustriale delle imprese del settore, di realizzare 60
GW di impianti rinnovabili nei prossimi tre anni: ci sono le capacità
industriali, i progetti e i finanziamenti, mancano solo le autorizzazioni.
Con questo piano di rapido sviluppo delle rinnovabili, grazie alla forte
accelerazione delle procedure per le autorizzazioni, si potrebbe tagliare
l'importazione di 15 miliardi di metri cubi di gas oggi utilizzati per
produrre energia elettrica. Un impegno di questa dimensione rafforzerà anche
la filiera industriale nazionale e trainerà anche lo sviluppo degli
investimenti nella rete e negli accumuli.
La terza scelta è imprimere un forte sviluppo della produzione di biogas e
di biometano. Oggi in Italia si producono circa 2,4 miliardi di metri cubi
di biogas e biometano da 1.500 impianti di digestione anaerobica (1.300 di
scarti e deiezioni animali gli altri per i rifiuti urbani organici e verdi).
I potenziali di espansione di biogas e di biometano sono rilevanti, la
tecnologia è disponibile e ampiamente utilizzata: si potrebbero triplicare
il biometano generato dal trattamento della frazione organica dei rifiuti,
raddoppiare quello ricavato da scarti agricoli e deiezioni animali e avviare
la nuova filiera con grandi potenziali di trattamento dei fanghi organici da
depurazione. In pochi anni si potrebbero arrivare a produrre tra gli 8 e i
10 miliardi di metri cubi di biometano e biogas, che potranno sostituire una
parte consistente delle importazioni di metano.
Queste tre scelte - per l'efficienza e il risparmio
energetico, per un rapido sviluppo delle rinnovabili elettriche e per una
consistente crescita della produzione di biogas e di biometano - potrebbero
consentire, insieme ad una limitata rimodulazione dell'import di metano da
altra provenienza con le gasiere e con la TAP, di azzerare le importazioni
di gas dalla Russia riallineandoci al tempo stesso con la traiettoria
europea di riduzione delle emissioni di gas serra del 55% al 2030. (di
Edo Ronchi, La Repubblica)
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9 Febbraio 2022.
La modifica della Costituzione introduce lo sviluppo sostenibile come
riconoscimento dei diritti delle generazioni future alla pari con la nostra
generazione

è
stato Enrico Giovannini a farsi carico dell'introduzione dello
sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della Carta costituzionale.
L'opera è riuscita in parte: la sostenibilità è tutta nel nuovo Art.9 dove
la tutela ambientale ed ecosistemica è introdotta anche nell'interesse delle
generazioni future. Come si ricorderà i diritti delle generazioni future
sono il contenuto essenziale della definizione di sviluppo sostenibile nella
definizione primigenia della Brundtland nel suo rapporto alle Nazioni Unite
"Our Common Future".
Storicamente, poi, il concetto di sviluppo è finito sotto la lente di
ingrandimento per il suo significato che, in lingua italiana, è duplice e va
da crescita a progresso. Il termine sviluppo non sarebbe quindi
sufficientemente tanto chiaro da poter essere introdotto in un testo come la
Costituzione italiana.
Il testo modificato degli articoli 9 e 41 della Carta
costituzionale ha concluso all'unanimità il suo lungo iter parlamentare.
L'Articolo nove è modificato solo per aggiunta del testo in corsivo:
"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la
ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio
artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli
ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello
Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Il provvedimento modifica, inoltre, l’articolo 41 della
Carta, prevedendo che l’iniziativa economica privata e pubblica non possa
svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente e che la legge
determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica
possa essere indirizzata e coordinata a fini ambientali:
"L’iniziativa economica privata è libera.
L’ordinamento stabilisce i presupposti più favorevoli al suo esplicarsi. Chi
la assume ne è esclusivo responsabile. Deve svolgersi in condizioni di
concorrenza, trasparenza, rispetto dell’ambiente. Non deve recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina gli
interventi diretti a rimuovere le carenze del mercato lesive dell’utilità
sociale".
Non c'è stata una particolare esultanza sui media, TV,
giornali etc. Non è chiaro se si tratti di sottovalutazione o della solita
invincibile mancanza di cultura della nostra gente. Non aiuta l'ineffabile
Ministro della transizione ecologica che ha rivendicato (senza alcun merito)
l'importante novità costituzionale, in nome, ha dichiarato pubblicamente,
dei suoi cani dei suoi gatti e dei suoi pappagalli che ora sono tutelati. E
le generazioni future?
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14 gennaio 2022.
L'Italia ha già fatto la sua transizione al gas (Andrea Barbabella su
La "Repubblica")
Diversamente
da quanto si potrebbe pensare ascoltando il dibattito nostrano sull’energia,
in Italia i potenziali della transizione al gas naturale sono già stati
ampiamente sfruttati. Quella che ci aspetta nei prossimi anni è decisamente
un altro tipo di transizione energetica, basata sulla forte crescita delle
rinnovabili e sulla contestuale riduzione dei combustibili fossili. Incluso
il gas. Tradizionalmente tra le grandi economie europee l’Italia è quella
con la più alta dipendenza dalle importazioni di energia, essenzialmente
fossili: nel 2019 bel il 77% del fabbisogno nazionale è stato soddisfatto
dalle importazioni, a fronte ad esempio di una media europea del 61%. Oramai
da alcuni anni il gas naturale, certamente un combustibile fossile un po’
meno inquinante degli altri ma con un impatto rilevante sul clima, ha
superato il petrolio diventando la prima fonte energetica nazionale. Per
contrastare il cambiamento climatico in corso e rispettare gli impegni
europei, l’Italia dovrebbe quasi dimezzare le attuali emissioni di gas serra
nel decennio in corso, per arrivare a neutralizzarle entro i vent’anni
successivi. Per questo da qui al 2030, prossima milestone del
percorso verso la neutralità climatica, la sfida che ci attende sarà quella
di far diventare le rinnovabili la prima fonte di energia in Italia. Questo
vuol dire certamente far crescere le rinnovabili a ritmi senza precedenti,
ma anche tagliare sostanzialmente i consumi di tutti i combustibili fossili,
incluso il gas i cui consumi dovranno ridursi significativamente in quasi
tutti i settori (con l’eccezione del trasporto merci e marittimo, dove
dovrebbe sostituire i prodotti petroliferi trainato dalla crescita del
biometano). Secondo la roadmap tracciata da
Italy for Climate, i consumi
nazionali di gas naturale dovrebbero passare dai quasi 75 miliardi di metri
cubi del 2019 a poco più 50 miliardi nel 2030: un taglio del 30%.
Questi sono i dati sui consumi complessivi di gas
naturale, cioè quello impiegato negli usi domestici, nei processi
industriali, nella produzione di elettricità e nei trasporti. Ma il
dibattito sul gas come combustibile della transizione in Italia riguarda in
particolare il comparto della generazione elettrica: forse per questo
specifico utilizzo le cose stanno diversamente? Non tanto, direi. Anche in
questo caso l’Italia vanta una leadership, essendo diventato il Paese
con i più alti consumi di gas naturale per la generazione elettrica:sempre
nel 2019 con il gas in Italia sono stati prodotti oltre 140 miliardi di kWh
dielettricità (quasi la metà della produzione elettrica nazionale), contro
ad esempio poco più di 130 del Regno Unito e 90 della Germania. Ma come per
i consumi complessivi, anche per quelli destinati alla sola generazione
elettrica la roadmap dell’Italia verso la neutralità climatica
imporrebbe un sostanziale ridimensionamento: la produzione di elettricità da
gas naturale dovrebbe passare, infatti, dagli oltre 140 miliardi di kWh del
2019 ai poco più di100 miliardi di kWh del 2030 (-27%). Se l’Italia vuole
davvero contrastare la crisi climatica e mettersi in rotta verso un’economia
a zero emissioni, non c’è posto per una crescita del gas naturale nella
transizione del Paese. Stando così le cose, specie per un Paese come
l’Italia senza nucleare e soprattutto con poco carbone da sostituire, penso
che parlare oggi di nuovi investimenti nel gas naturale per promuovere la
transizione energetica, a cominciare dalla generazione elettrica,potrebbe
rientrare a pieno titolo nella categoria dei bla bla bla.
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7 gennaio 2022.
Nucleare out, prima che sia troppo tardi
Non riusciamo a nascondere la delusione per il
compromesso contenuto nella proposta proveniente dalla Commissione Europea
che introdurrebbe a certe condizioni il nucleare da fissione e il gas
naturale tra le forme di energia green accreditate nella tassonomia
che consentirebbe loro di accedere ai finanziamenti europei destinati alla
transizione ecologica nel quadro del Green Deal. Alla data di oggi la
questione è tutt'altro che chiusa, come la Fondazione ha chiarito in due
note su Huffington Post a firma del Presidente Edo Ronchi a cavallo del
nuovo anno. Invitiamo alla lettura delle
due note che forniscono un
quadro chiaro dell'evoluzione della questione. Si potrebbe commentare che
prima o poi la Commissione avrebbe dovuto prendere una cantonata, sotto la
pressione di interessi molto concreti di vari paesi. La questione
gas/nucleare in Europa è però diventata troppo grave per farne oggetto di
semplici prese d'atto. Non possiamo più limitarci a diffondere le posizioni
della Commissione e dobbiamo fare conto che la recente decisione della
Germania di chiudere le sue sei centrali nucleari entro l'anno e lo
schieramento contrario di una serie di paesi (non dell'Italia, al solito)
prevalga nell'europarlamento cui spetta l'ultima parola a maggioranza
semplice. le sorti del gas e del nucleare si intrecciano in una rete
complessa di interessi, di visioni e di do ut des. La confusione è
creata ad arte per arrivare agli obiettivi delle varie parti, ma, per
tagliare il nodo gordiano, il gas naturale ha un ruolo tanto indiscutibile
quanto decrescente nel percorso della transizione energetica europea al 2030
e al 2050. La fissione nucleare non ne ha nessuno.
Prendiamo
atto con soddisfazione che Enrico Letta, per conto della forza politica
italiana di maggioranza relativa, ha preso una posizione netta dicendo che:
“Non ci piace la bozza di tassonomia verde che la Commissione UE sta
facendo circolare. L’inclusione del nucleare è per noi
radicalmente sbagliata. E il gas non è il futuro, è solo da considerare in
logica di pura transizione verso le energie rinnovabili“. L'uovo di
Colombo, ma al di là dei 5*, dei verdi, di LEU e dei radicali la musica
cambia di molto e nello stesso Governo ci sono voci importanti di parere
opposto. A noi non sfugge che il rilancio del gas e più ancora del nucleare
è un tentativo mal dissimulato da parte italiana di rallentare ulteriormente
lo sviluppo delle fonti rinnovabili che, uniche, ci possono dare certezza
dell'obiettivo europeo obbligatorio di abbattimento delle emissioni del 55%
al 2030. Come fu al tempo dei due referendum per l'abbandono del nucleare,
una eventuale scelta a favore del suo rilancio resta anzitutto di natura
politica e sconta un'opposizione sociale che nel nostro paese è senza se e
senza ma, come dimostra la vicenda del deposito unico delle scorie nucleari
che non ha fatto un passo in avanti in quarant'anni, salvo rimanere come
balzello fisso sulle bollette elettriche. Non vorremmo essere noi a
rilanciare un dibattito su presunte basi scientifiche con tematiche che ci
hanno a suo tempo torturato per anni, lasciando favorevoli e contrari sulle
loro posizioni.
Guardando senza infingimenti alla situazione italiana
resta misteriosa la posizione del governo. Non viene chiarito cosa
materialmente si intende fare dopo aver sottoscritto il Green Deal
europeo, incassato i soldi del Next generation EU e aver accolto i
regolamenti del Fit for '55. La strada al 2030 è tracciata, è breve e
non lascia spazio a visioni avveniristiche o, meglio, retrotopiche. Il 2030
si fa con le rinnovabili, con lo stoccaggio elettrico e con il gas naturale
per quello che resta, biogas compreso. Già un anno se ne è andato e non si
vede l'impegno necessario né una comunicazione politica per sgomberare la
strada dalla caterva di obiezioni, opposizioni e mal di pancia che si
frapporranno allo sviluppo delle rinnovabili. Nessuna notizia ci rende
sicuri dell'aggiornamento del PNIEC e, per quanto riguarda una legge
italiana sul clima, indispensabile come la Fondazione ha più volte
affermato, nemmeno se ne parla. Manca qualsiasi rilancio allo spirito
referendario sul nucleare che pure è stato la culla di ogni iniziativa
ecologista in Italia. Basterebbe ricordare il principio di precauzione e
perfino la regola del do not harm, più che sufficienti dal momento
che non esistono metodi di trattamento completo dei rifiuti di lunga durata
ed alta radioattività. Che dire poi dei rifiuti militari di cui nulla
è dato sapere salvo che, anche in Europa, gli armamenti vengono
frequentemente rinnovati con il rilascio dei vecchi materiali. E che dire
dei sottomarini sovietici affondati o dell'uranio impoverito finito sul
fondo dell'Adriatico. Il ciclo nucleare forse così green da rientrare
nei parametri dell'economia circolare, si domanda Ronchi?. Sul rischio
nucleare, poi, il dibattito è stucchevole. Secondo gli interessati è
ingegneristicamente trascurabile. Suggeriamo di fare un banale
calcolo: quattro incidenti da gravi a gravissimi, Three Mile Island,
Creys Malville (tecnologia di quarta generazione fallita, centrale
chiusa), Chernobyl e Fukushima, su un totale di 441
reattori in operazione (molti concentrati in un solo sito) fanno una
probabilità di incidente grave del 9 permille, 0,9%; ordini di grandezza al
di sopra delle cifre di rischio dichiarate. Sui danni alla salute si mente e
si continua a mentire. Non esistono conti ufficiali sugli effetti a lungo
termine e a grande distanza della stessa Chernobyl e nemmeno sul
numero delle vittime a scala locale. L'Italia ha abbandonato ogni parte del
sistema industriale nucleare e pensionato tutti i tecnici e gli ingegneri,
quorum ego. Oggi potremmo solo comprare impianti e combustibili da
qualcuno, USA, UK, Francia, Kazakistan, e importare tecnici ed
ingegneri, per rifare i quali ci vorrebbero più dei trent'anni da qui al
2050. Tra le cose che ci dispiacciono della Commissione europea non possiamo
fare a meno di citare il recente
Rapporto
dello JRC di Ispra,
peraltro fortemente criticato da
studi svolti nella
stessa Europa. Il fatto che sia un organo tecnico
della Commissione e che, se questa fa compromessi, quelli sono obbligati,
non ci conforta affatto. La terzietà dovrebbe essere obbligatoria per chi fa
scienza.
Il nucleare non ha più sostegno sociale in gran parte
del mondo occidentale ed è di gran lunga la fonte energetica più costosa.
L'attacco più comune alle rinnovabili si basa sull'occupazione di suolo
ma,soprattutto, sull'intermittenza. Ebbene, le centrali nucleari richiedono
settimane per andare a regime e non possono stabilizzare la rete. Devono
andare invece in background continuo, ragione per la quale la Francia
vende l'energia elettronucleare a due soldi la notte perché non può fermare
le centrali. La rete si stabilizza ora con il gas naturale e
progressivamente con lo stoccaggio, la interconnessione continentale e le
smart grid.
Per quanto riguarda il gas attenzione a due equivoci.
Il biogas è una cosa e il gas naturale è un'altra. Però la Commissione
vorrebbe i limiti di emissione a 270 g/kWh, cioè è di gas fossile che parla.
Il nucleare da fusione è invece benvenuto, potrebbe
essere definito green con qualche attenzione e comunque a molto
maggior titolo, ma quello di cui si parla è nucleare da fissione la
cui IV generazione è puro frutto di fantasia. La fusione nucleare potrebbe
avere diritto di stare nella tassonomia europea, dove invece non c'è. I
nostri referendum, a differenza di quanto sembrerebbe aver detto il ministro
competente per l'energia, non hanno bloccato la fusione che infatti è
l'oggetto unico della ricerca ENEA di Frascati e di un gran numero di
partnership internazionali di cui siamo parte.
Molto malvolentieri dobbiamo ammettere che la questione
è tutt'altro che chiusa. Staremo a vedere
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10
Dicembre 2021. Due rari ed imperdibili interventi in nome dello sviluppo
sostenibile e del Green Deal

Gli interventi di "visione" sullo sviluppo sostenibile
e sulla transizione ecologica sono rari e pertanto imperdibili.
Raccomandiamo ai nostri venticinque manzoniani lettori l'articolo di
Mariana Mazzucato
su Nature e
l'intervista al
Corriere della Sera di Francesco Starace,
amministratore delegato dell'ENEL.
Dice Starace a proposito del ruolo delle fonti di
energia rinnovabile nella transizione ecologica: "Dobbiamo progressivamente
sostituire capacità termica con quella rinnovabile e pensiamo che in Italia
sia possibile. Ma i nostri clienti e i nostri fornitori che impronta di
carbonio hanno? Ecco che serve l’elettrificazione. Dato che abbiamo 4
milioni di clienti che bruciano gas, diciamo loro che non conviene e che
l’energia elettrica costa meno. Possiamo smettere di dar loro gas, fornendo
energia elettrica. Al 2040 ce la faremo. Non è un problema e conviene ai
clienti. Lo stesso vale per i nostri fornitori. Prima elettrificano e
abbandonano il gas, prima attraggono investimenti green". E prosegue
a proposito dei rincari delle bollette: "Quand’è che il prezzo del gas è
stato stabile? Qualcuno lo sa? Queste commodity vivono di
instabilità. Che viene spiegata sempre ex post, mai ex ante. L’instabilità
dei prezzi è intrinseca alla natura di questo business, non ha niente
a che vedere con gli investimenti green. Altrimenti non si spiegano
tutte le volatilità del passato. Per caso il prezzo del gas era stabile
quando non c’erano gli investimenti verdi? Accanirsi sul perché i prezzi
sono come sono è risibile. Il prezzo è salito e sceso sempre: basta dire
cose non vere. Siamo abituati a vivere attaccati a una variabile da cui
dipende gran parte della nostra energia, che ha un andamento totalmente
imperscrutabile. Ma è giusto? È sano? È utile al nostro benessere? E
soprattutto, perché dev’essere così? Nel momento in cui non c’è alternativa,
capisco. Ma adesso che c’è, perché dobbiamo dipendere da questa strana
follia?".
La Mazzucato da tempo si batte per un ruolo dei governi
nella transizione ecologica a fronte della crisi del sistema economico così
com'è oggi. Dice a conclusione del suo articolo: "Serve un nuovo contratto
sociale. Nello specifico, le condizioni ecologiche devono essere integrate
in partenariati pubblico-privato, appalti pubblici e accordi di salvataggio.
Un buon esempio dello stato che prende l'iniziativa e guida l'agenda
dell'economia verde è la banca di sviluppo statale tedesca, KfW, che offre
prestiti all'industria siderurgica che includono condizioni per ridurre il
contenuto di carbonio e le emissioni. I salvataggi COVID-19 dei governi
francese e olandese per le loro compagnie aeree nazionali, Air France e KLM,
sono stati subordinati alla riduzione delle emissioni per passeggero degli
aerei e al taglio dei voli nazionali a favore dei viaggi ferroviari, del 40%
in Francia. Ma tali accordi una tantum devono essere implementati su più
mercati: dovrebbero essere normalizzati sia nei periodi positivi che in
quelli negativi. Nuove metriche che misurino gli impegni alla
decarbonizzazione devono essere internalizzate nei mercati in modo che gli
investitori e le autorità di regolamentazione possano dare mandato alle
aziende di segnalare il prezzo del carbonio che assumono nella loro
pianificazione strategica. Il valore per gli azionisti non lo taglia più. Il
Green New Deal ha bisogno di trasformare radicalmente il capitalismo,
se deve essere salvato da se stesso e noi da esso. L'unico modo per farlo è
riorientare l'economia intorno al pensiero missionario della sostenibilità.
Ciò significa riprogettare i sistemi finanziari, i partenariati
pubblico-privato e le politiche pubbliche per allinearli agli obiettivi di
sviluppo sostenibile. Solo così costruiremo un'economia più innovativa,
sostenibile e resiliente, in grado di affrontare la sfida climatica,
piuttosto che reagire a una crisi dopo l'altra".
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20 Novembre 2021.
Nasce l'Alleanza per la transizione ecologica. A Roma la prima assemblea
Le
conclusioni di Edo Ronchi
Giorgio Parisi, Nobel di quest'anno per la fisica dei
sistemi complessi, ha detto "è
fondamentale che il tema climatico entri nella politica. Quando si vota alle
elezioni dovrà essere il tema decisivo". Speriamo che non ci voglia il Nobel
della fisica per tutti per arrivare a conclusioni di questo genere, che la
cosa sia un po’ più agevole. Tuttavia bisogna avere la consapevolezza che
l'attuale presenza politica green, stimata intorno al 2%, addirittura
al di sotto della soglia di sbarramento che è al 3%, è inadeguata. Se è
inadeguata bisogna fare una cosa nuova. Questo secondo me è il punto.
Vogliamo farla solo noi della Alleanza? No assolutamente: non vogliamo
essere noi soli a fare un'altra forza che si sovrappone. Vogliamo essere
parte, vogliamo sollecitare, siamo convinti che con la forza delle nostre
idee e delle persone possiamo anche avere un ruolo importante in questo
processo, per avviare questo processo di costituzione di una nuova presenza
politica verde che affronti queste tematiche della transizione ecologica,
perché quella esistente non è sufficiente, non è adeguata. Questo è uno dei
punti di questa riflessione che facciamo molto, credo, tranquillamente,
umilmente, senza voler dare lezioni a nessuno. Questo è anche un tema di
carenza, non solo dei gap del paese ma dei gap della politica. Ormai si
sprecano gli studi sull’abbassamento della partecipazione politica in Italia
e sull'altro aspetto, che tanti elettori votano il meno peggio, perché c'è
una crisi delle narrazioni politiche tradizionali a fronte della maturazione
della società civile italiana. Il fatto che non sia in campo in modo
adeguato una visione, una narrazione politica all’altezza delle sfide della
nostra epoca, è una carenza politica generale del sistema politico italiano
e noi dobbiamo contribuire anche a questo recupero di visione e di
aggiornamento della visione politica...
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Novembre 2021. Ronchi:
Global Climate Pact*
alla COP 26: riconoscerne i limiti e le carenze e cogliere gli spiragli
aperti.
Appuntamento alla Conferenza Nazionale sul Clima del 2 dicembre
Ciò che ha richiamato maggiore attenzione dei media nei
bilanci della COP 26 di Glasgow è stata la sostituzione del termine
“eliminare” con il termine “ridurre l’uso” del carbone per produrre energia
elettrica - sempre senza indicare una data, basta che siano “accelerati gli
sforzi” - e lasciando l’indicazione, sempre senza data, di non incentivare
i “fossili inefficienti”, lasciando incentivabile il loro utilizzo
”efficiente”. Sostituzione sostenuta dall’India, spalleggiata dalla Cina.
Chi ha posto l’accento sui risultati positivi di questa COP - a partire dal
Premier del Paese ospitante, Boris Johnson, nella conferenza stampa di
bilancio - ha sottolineato l’obiettivo di 1,5 °C. Nel testo finale del Patto
di Glasgow rimane il riferimento dell’Accordo di Parigi al target “ben al di
sotto dei 2°C e, come dovrebbe essere noto, già l’Accordo di Parigi indicava
la necessità di fare ogni sforzo per non superare 1,5 °C. Si rischiava di
abbandonare il target di 1,5°C? Aver comunque ribadito quell’obiettivo,
anche con maggiore convinzione, sarebbe già un risultato significativo?
La COP 26 aveva diversi obiettivi: il primo, quello
fondamentale, era quello di allineare gli NDC, gli impegni nazionali, quindi
la loro somma, con la traiettoria dell’Accordo di Parigi, in particolare con
l’impegno di “mantenere alla portata” - per usare le parole del G20-
l’obiettivo del non superamento della temperatura media globale, rispetto
all’era preindustriale, di 1,5 °C. Per la prima volta nel testo del Patto si
afferma che, per mantenere tale traiettoria, occorre tagliare le emissioni
mondiali del 45% rispetto al 2010, entro il 2030. Con gli impegni nazionali
portati a Glasgow dai vari Paesi, tuttavia, nel 2030 le emissioni globali,
rispetto al 2010, aumenteranno del 13,7%. La dimensione del mancato
obiettivo della COP 26 sta nell’enorme distanza fra questi due numeri.
Questo resta il nodo centrale: senza una più consistente riduzione delle
emissioni di gas entro il 2030, l’aumento di 1,5 °C sarà superato, con
conseguenze che l’ultimo Rapporto dell’IPCC descrive come molto gravi. La
necessità di accelerare - ribadita formalmente anche nel Patto di Glasgow -
l’impegno di riduzione delle emissioni di gas serra nel prossimo decennio
non è un’opinione, ma un obbligo morale (per chi è consapevole della portata
di questa crisi climatica) e una necessità per tutti. Anche per quelli che
oggi frenano - Cina in testa - perché questa grande crisi climatica non
risparmia nessuno: se non si accelera la riduzione dei gas serra, la
precipitazione della crisi climatica porterà guai molto seri per tutti.
L’Accordo di Parigi si basa - non va dimenticato -
sugli impegni dichiarati dei diversi Paesi. Le COP sono conferenze
internazionali dove Paesi sovrani si confrontano e, quando è possibile,
concordano su decisioni comuni. Non c’è né un governo mondiale in grado di
prendere decisioni per tutti, né sono in vigore meccanismi di governance
in grado di rendere cogenti le decisioni di queste conferenze. In queste
conferenze trattano governi differenti, che perseguono priorità politiche
spesso divergenti, che rappresentano Paesi con condizioni economiche e
impatti climatici molto diversi e che sono più o meno legati agli enormi
interessi che ruotano intorno all’economia dei combustibili fossili. Per
tutte queste ragioni queste conferenze, per non fallire, richiedono ampio
consenso e faticose mediazioni che possono individuare i problemi, suggerire
qualche parziale misura, ma non sono il veicolo più idoneo per portare a
cambiamenti rapidi e radicali. Questo non giustifica l’atteggiamento di
chi, autodefinendosi “realista”, dipinge sempre ogni accordo internazionale
sul clima - compreso il Patto di Glasgow - come positivo, come grande passo
avanti. COP 26 significa che ne abbiamo fatte 26 di queste conferenze:
sempre con “grandi risultati positivi”, secondo i “realisti”. Peccato che
nel frattempo, le emissioni di gas serra, anziché ascoltare gli autorevoli
commenti dei realisti, sono aumentate enormemente e la crisi climatica è
sempre più grave. Sarebbe più utile alla buona causa del clima riconoscere
i limiti e le carenze di questi accordi internazionali per continuare ad
affrontarli e cogliere gli spiragli che aprono, anche se stretti.
Opportunamente il documento conclusivo della COP 26,
riconoscendo i grossi limiti di questa conferenza, rimanda alla prossima, a
breve, nel 2022 alla COP 27, l’adeguamento degli impegni nazionali per
renderli conformi alla traiettoria di 1,5 °C. C’è quindi un altro anno:
vedremo se l’impegno ribadito dalla Cina nella dichiarazione congiunta con
gli USA, si tradurrà in un cambiamento concreto, rinunciando ad aumentare le
sue enormi emissioni di gas serra prima del 2030. Per fermare le centrali a
carbone non è necessario aspettare l’India, che ha emissioni pro-capite e
globali molto basse e un quarto di quelle cinesi: si possono accelerare le
dismissioni di queste centrali in molti Paesi. Lo stesso si può fare per
eliminare gli incentivi all’uso di combustibili fossili: non dobbiamo
aspettare l’accordo dei Paesi produttori di carbone, di gas e di petrolio.
Porre fine alla deforestazione entro il 2030? Ovviamente si può, e si
dovrebbe, farlo da subito ovunque sia possibile. È risultato più chiaro che
per coinvolgere i Paesi in via di sviluppo, noi dei Paesi sviluppati
dobbiamo aumentare il nostro impegno sia per i 100 miliardi di dollari -in
realtà ne servirebbero di più- all’anno promessi per sostenere i cambiamenti
verso la neutralità climatica, sia contribuendo a risarcire le perdite
subite per la crisi climatica da Paesi poveri che non hanno generato
emissioni di gas serra, ma che hanno subito le conseguenze di quelle
generate da noi.
Durante questa COP abbiam potuto registrare anche un
grande fermento di iniziative di molti Paesi, di città e di imprese. C’è
ormai un consistente movimento internazionale in atto che partecipa a Race
to zero, la corsa dei soggetti non governativi, lanciata dall’ONU, verso la
neutralità climatica. Anche in Italia c’è stata una grande attenzione
dell’opinione pubblica e dei media che potrebbe aver alimentato una spinta
per fare di più e meglio la nostra parte, anche in Italia. Chissà che non
serva anche a fare qualche nuovo passo avanti concreto per il clima.
Approvando anche in Italia, per esempio, una legge per la protezione del
clima che aggiorni e renda legalmente vincolanti, i nuovi target al 2030 e
verso la neutralità climatica, che introduca nuove misure efficaci per
raggiungerli nei diversi settori e coinvolga più attivamente anche le
Regioni e i Comuni.
* Questo testo il 17 novembre è
ancora "unedited"
sul sito UN FCCC, nella versione emendata all'ultimo momento dall'India, che
aveva creato
forte disappunto alla COP 26. Il punto modificato è il 36. Il nuovo testo in
lingua originale è: Parties would commit to “escalating efforts to phase
down unabated coal power and phase out inefficient fossil fuel subsidies
while providing targeted support to the poorest and the most vulnerable in
line with national circumstances and recognising the need for support
towards a just transition.”. Il Washington Post ha pubblicato la
versione finale
emendata e commentata.
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1 Novembre
2021. Ronchi: I limiti delle conferenze delle parti e la sovraesposizione
della COP 26 di Glasgow
L’Accordo di Parigi per il clima si basa sugli impegni nazionali di
riduzione delle emissioni di gas serra, NDC (Nationally Determined
Contributions): indica l’obiettivo di stare ben al di sotto dei 2 °C e
di fare il possibile per non superare 1,5 °C e affida ai singoli Paesi le
misure che, sommate, dovrebbero raggiungere globalmente questo target. Le
COP, compresa la COP 26 di Glasgow, dopo tale accordo servono
sostanzialmente a verificare in che misura i vari Paesi, con i loro impegni
nazionali di riduzione, siano o meno in traiettoria col target e a
sollecitare, nel caso in cui tali impegni siano insufficienti, un loro
rafforzamento che, in ogni caso, non si fa in sede multilaterale, ma sempre
a livello nazionale. Gli impegni dichiarati alla vigilia della COP 26 per
essere in traiettoria con l’Accordo di Parigi dovrebbero comportare una
riduzione delle emissioni di gas serra intorno al 45% entro il 2030, invece
le lascerebbero aumentare di circa il 16%, facendo così superare l’aumento
di 1,5 °C e, a più lungo termine, porterebbero a un aumento globale delle
temperature ben oltre i 2°C, almeno a circa 2,7°C. Per tenere ancora a
portata di mano l’obiettivo di 1,5 °C, come ha ribadito il G20 a Presidenza
Draghi, servirebbe un aumento dell’impegno di riduzione dei gas serra,
piuttosto consistente, al 2030.

I summit multilaterali possono essere utili: contribuiscono a mantenere viva
l’attenzione dei media e dei cittadini, tengono aperti canali di confronto
sempre necessari e, qualche volta, raggiungono anche qualche altro
risultato. Pensare, o far credere, che un summit internazionale possa
realizzare una transizione globale economica, di modelli energetici, di
sviluppo e di benessere, come quella necessaria per raggiungere la
neutralità climatica, non è solo illusorio, ma pericoloso perché semina
delusione e disimpegno. Transizioni di questa portata non possono essere
realizzate contemporaneamente ovunque : partono da qualche Paese, da gruppi
di Paesi, da aree e settori e poi, se hanno successo, si possono estendere.
L’affermazione “O avviene ovunque o non serve perché la crisi climatica è
globale” dovrebbe fare i conti anche con la sua conseguenza logica: siccome
ovunque, contemporaneamente, non può avvenire, la transizione alla
neutralità climatica non sarebbe realizzabile. Quindi stiamo fermi e non
cerchiamo nemmeno di provare a impedire che la catastrofe climatica arrivi
rapidamente e sia la peggiore possibile? Senza ignorare il fatto che il
rinvio alla responsabilità globale è spesso invocata da chi ha interesse –
e non mancano interessi consistenti che ruotano interno all’economia basata
sui combustibili fossili - a frenare la decarbonizzazione, visto che ormai
non può più sostenere le tesi negazioniste della crisi climatica.
Chi ha alle spalle un minimo di impegno per l’ambiente sa che la
responsabilità è un prerequisito imprescindibile: non aspetto che tutti
smettano di buttare la plastica a mare perché se lo faccio solo io non
risolvo il problema; io non la butto e mi batto perché il mio Paese faccia
la sua parte per contrastare questo inquinamento. Ogni emissione di gas
serra contribuisce al riscaldamento globale, ogni riduzione contribuisce a
ridurne l’impatto. Facendo un bilancio dei costi e dei benefici - quelli
collettivi, di una società, di un’economia, di un Paese, non di alcuni
singoli interessi, anche rilevanti e legittimi, ma particolari – è ormai
agevole dimostrare che, data la gravità delle conseguenze già verificabili
della grande crisi climatica e date le capacità - economiche, tecnologiche e
operative - ormai disponibili, è più conveniente agire ora, anche
unilateralmente, per avviare una effettiva decarbonizzazione della nostra
economia e puntare, realisticamente, a portarla a termine in pochi decenni.
Si tratta di una transizione certamente molto impegnativa, di una sfida di
vasta portata. I pericoli e i rischi del non fare sono comunque ben
maggiori. Certo che occorre fare anche il possibile per smuovere i
ritardatari, guidati dalla superpotenza cinese, per frenare il loro
dumping ambientale anche con misure di aggiustamento fiscale alle
frontiere. Senza dimenticare alcuni fattori che giocano a loro svantaggio:
anche loro devono rispondere ai loro cittadini colpiti dalle conseguenze
sempre più gravi della crisi climatica e, prima o poi, dovranno agire per
contribuire a contrastarla in modo efficace e più ritardano più dovranno
faticare per decarbonizzare in tempi stretti; la decarbonizzazione è una
strada obbligata che attiva un percorso di innovazione tecnologica e dei
modelli economici: chi parte prima si aggiudica vantaggi competitivi, chi
ritarda accumula svantaggi competitivi per le economie del futuro.
Che dobbiamo fare quindi per contribuire al successo della COP 26 ? Non
dimenticare che nel 2021 le nostre emissioni stanno aumentando in modo
consistente, del 6% , che il nostro consumo di combustibili fossili è in
crescita e che la crescita annua delle nostre rinnovabili è del tutto
insufficiente e che deve aumentare di 8/9 volte per rispettare l’Accordo di
Parigi e i target europei. Dobbiamo migliorare il nostro impegno per il
clima sia nazionale, sia europeo. Quello nazionale approvando anche in
Italia una legge per la protezione del clima che aggiorni i nostri target
nazionali ai nuovi target europei e li renda legalmente vincolanti, li
sostenga con misure idonee per raggiungerli nei vari settori, integrando le
misure previste dal PNRR, coinvolga in modo attivo le Regioni e i Comuni
nel percorso di decarbonizzazione, riveda e ricollochi, on gradualità e
compensazioni sociali, i consistenti incentivi che continuiamo a pagare per
l’uso di combustibili fossili e integri nella riforma fiscale misure di
carbon tax, nei settori non regolati a livello europeo, senza aumentare
il carico fiscale, ma alleggerendo quello sul lavoro e incentivando gli
investimenti verso la neutralità climatica. A livello europeo sostenendo e
rafforzando, e non ostacolando, il pacchetto di misure Fit for 55,
necessario per allineare con l’Accordo di Parigi l’Unione europea, con una
riduzione più incisiva delle sue emissioni al 2030.
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26 - 27 ottobre 2021. Gli
Stati generali della green economy alla decima edizione. Presentato
il decimo Rapporto
Questa volta la peculiarità degli
Stati
Generali 2021, promossi dalla
Fondazione
per lo sviluppo sostenibile, è la
presentazione di una
roadmap al
2030 per fare dell’Italia una locomotiva
europea della green economy che contiene un percorso con
obiettivi precisi al 2030 e, soprattutto, una legge sul clima.
L’Italia ha le carte in regola per diventare una delle locomotive
europee della green economy
che può fare nel prossimo decennio un grande passo in avanti
grazie alla decarbonizzazione, all’economia circolare, al piano
europeo di Green Deal, alle risorse del PNRR,
alle nuove opportunità di innovazione e investimento, rafforzando e
rilanciando, così, importanti settori produttivi di beni e servizi
nazionali.
La
roadmap prevede: approvare una legge per la protezione del
clima per aumentare il passo nelle misure per la neutralità
climatica, raddoppiare le rinnovabili dal 20 al 40% e tagliare il
consumo di combustibili fossili del 40% al 2030, introdurre misure
di adattamento, coinvolgere attivamente le città nel raggiungimento
dei target climatici; valorizzare e sviluppare i potenziali
dell’Italia per l’economia circolare e il riciclo vincolando almeno
il 50% delle risorse del PNRR per sostenere progettazione e
innovazione di processi produttivi e di prodotti in direzione
circolare, semplificare le procedure end of waste e
promuovere l’impiego di materiali riciclati; accelerare la
decarbonizzazione dei trasporti aumentando gli investimenti per il
trasporto pubblico locale, disincentivando l’uso dell’auto privata
in città e approvando una legge quadro per la mobilità condivisa;
sostenere la transizione ecologica dell’agricoltura; approvare la
legge per la tutela del suolo; migliorare la tutela e la
valorizzazione del capitale naturale e recuperare i ritardi
dell’Italia nella digitalizzazione per sostenere la transizione ecologica.
L’Italia, ha dichiarato Edo Ronchi, che ha svolto la
relazione
introduttiva agli Stati generali, non deve
perdere questa occasione: deve puntare, con più decisione, a far
parte delle locomotive europee della green economy. Vincendo
la sfida della neutralità climatica con un’economia decarbonizzata e
competitiva, capace di generare maggior occupazione e un miglior
benessere, si costringerà così anche la Cina e gli altri paesi
ritardatari, ad inseguire. Ritengo giusto sollecitare la Cina, che è
una superpotenza economica, alla Cop 26 affinché prenda maggiori
impegni reali per l’attuazione dell’Accordo di Parigi, respingendo
il suo tentativo di nascondersi dietro ai Paesi in via di sviluppo,
per mascherare il suo disimpegno. Non si può però consegnare alla
Cina l’esito della Cop 26, anche perché con la conferma di un
massiccio uso del carbone, rifiutando impegni di riduzione delle
proprie gigantesche emissioni di gas serra fino al 2029 e rinviando
il suo percorso di decarbonizzazione, la Cina ha già deciso. Il
successo della Cop 26 dipende dal consolidamento dell’alleanza dei
Paesi che si stanno impegnando per la neutralità climatica, guidati
dall’Europa e dagli Stati Uniti: l’alleanza di coloro che, non senza
difficoltà, stanno facendo della neutralità climatica una leva di
Green Deal, per superare la recessione causata dal Covid.
Il Focus della
Relazione
sullo stato della green economy 2021
riguarda il rapporto fra la transizione green e la
trasformazione digitale: i due pilastri del Green Deal
europeo. In modo più accentuato nel dibattito italiano, rispetto a
quello europeo, questi due pilastri son stati presentati e, in
genere, gestiti nell’impostazione del nostro Piano nazionale per la
ripresa e la resilienza (PNRR) come separati, con poca attenzione
alle connessioni che li legano. Con questo focus La Fondazione si
propone di contribuire a superare questa rilevante carenza. La
digitalizzazione è molto importante per lo sviluppo della green
economy, in tutti i suoi aspetti strategici: un maggiore e
migliore utilizzo della digitalizzazione è indispensabile per
realizzare i cambiamenti decisivi della transizione ecologica.
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20 settembre 2021. Mario
Draghi: parole chiare sui cambiamenti climatici alle Nazioni Unite.
Dissipato il polverone sollevato in Italia nei giorni scorsi, anche per
incaute dichiarazioni di membri del suo governo
"Il
Panel intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici
ci ha detto tre cose: che la nostra azione dovrebbe essere immediata,
rapida, su larga scala. E se non intraprendiamo questa azione per ridurre le
emissioni di gas serra, non saremo in grado di limitare il riscaldamento
globale al di sotto di 1,5 gradi. D’altra parte, vediamo che questo è già in
atto, perché assistiamo a eventi meteorologici estremi che negli ultimi mesi
sono stati un doloroso promemoria degli impatti del cambiamento climatico.
Quindi, questo richiede anche un’azione immediata sull’adattamento. È anche
vero che stiamo ancora lottando con la pandemia, ma questa è un’emergenza
altrettanto – e forse anche maggiore – e non dovremmo assolutamente
diminuire la nostra determinazione ad affrontare il cambiamento climatico.
Molti Paesi – come l’Italia – hanno deciso
di mettere al centro dei piani di ripresa e resilienza un modello di
crescita più verde e inclusivo. Tuttavia, sappiamo già che occorre fare di
più. Sono certamente un convinto sostenitore del ruolo guida dell’Unione
europea nella lotta ai cambiamenti climatici. Siamo determinati a mettere
l’UE sulla buona strada per una riduzione del 55% delle emissioni di
carbonio entro il 2030 e l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050.
Ma l’Unione Europea rappresenta oggi solo l’8% delle emissioni globali.
Recenti studi mostrano la profonda interconnessione tra produzione di
energia, emissioni di gas serra e cambiamento climatico. Quindi, dovremmo
convincere le persone e i paesi di tutto il mondo che accelerare la
transizione energetica ha dei costi, ma produce anche grandi benefici.
Soprattutto nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo, il
ritmo dei flussi di investimento verso l’energia pulita è fondamentale per
raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Le misure attuali sono
insufficienti per impedire che le emissioni globali di energia tornino ai
livelli del 2019 entro il 2022 e continuino a salire dopo il 2023. Tutto
questo è chiaro: siamo lontani dalla traiettoria necessaria per raggiungere
lo zero netto entro il 2050.
La sfida è evidente: il raggiungimento di
una transizione verso l’energia pulita dipende dalla fornitura di un accesso
pulito all’elettricità a circa 785 milioni di persone entro il 2030 e da una
cucina pulita ai 2,6 miliardi di persone che ancora non vi hanno accesso.
Siamo tutti tenuti a fissare non solo obiettivi coerenti a lungo termine, ma
anche ad allineare azioni concrete a breve termine. Ad esempio, dovremo
rafforzare i nostri sforzi comuni per accelerare l’eliminazione graduale del
carbone senza sosta sia a livello nazionale che internazionale. E dobbiamo
davvero prendere il destino nelle nostre mani su questo punto. Inoltre, gli
investimenti pubblici finalizzati alla ricerca e sviluppo devono
diventare prioritari per aree critiche come l’elettrificazione, l’idrogeno,
la bioenergia e la cattura, l’uso e lo stoccaggio del carbonio, che oggi
ricevono solo un terzo circa dei finanziamenti pubblici.
Allo stesso tempo, il Carbon pricing
potrebbe essere uno degli strumenti per accelerare la transizione verde. Il
prossimo vertice del G20 a Roma e la COP26 a Glasgow sono un’occasione
imperdibile per rispondere a queste sfide e dimostrare la nostra
determinazione collettiva. In qualità di Presidenza del G20 e partner del
Regno Unito nella COP26, l’Italia sta facendo del suo meglio per promuovere
la necessaria fiducia a livello multilaterale su questi temi. Ci impegniamo
a fissare obiettivi ambiziosi e lungimiranti attraverso i tre pilastri
principali dell’Accordo di Parigi: mitigazione, adattamento e finanza. C’è
una grande aspettativa da parte delle giovani generazioni sulla nostra
leadership. Il nostro successo si misurerà sulla nostra capacità di
rispondere alla chiamata da parte loro con azioni ambiziose. Tra pochi
giorni diverse centinaia di giovani si riuniranno a Milano e contribuiranno
alla discussione sulle priorità dell’azione per il clima. Questo evento (si
chiama Youth4Climate) sarà tenuto con il Pre-COP che aprirà la strada a
Glasgow.
Finanziare la transizione è fondamentale e
dobbiamo rispettare l’impegno di 100 miliardi di dollari. Ma allo stesso
tempo, dobbiamo essere consapevoli che le risorse pubbliche da sole non
possono sostenere l’intero costo della transizione. Altrettanto fondamentale
è la mobilitazione del settore privato. Le autorità pubbliche, attraverso
investimenti mirati e politiche abilitanti, possono creare le condizioni per
sbloccare gli investimenti privati. Ora, il G20 ha istituito il Gruppo di
lavoro sulla finanza sostenibile, con l’obiettivo di formare una visione
comune di alto livello e lungimirante sull’aumento della finanza sostenibile
che supporti gli obiettivi dell’Agenda 2030. Il G20 sta anche facendo
importanti progressi nel coordinamento delle strategie di transizione verde,
che dovrebbero includere l’aumento degli investimenti in infrastrutture
sostenibili e tecnologie innovative per la decarbonizzazione.
Quindi, l’Italia giocherà la sua giusta parte. Siamo pronti ad annunciare un
nuovo impegno finanziario sul clima nelle prossime settimane".
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06
settembre 2021. Rapido dietro-front del Ministro della transizione ecologica
sul nucleare da fissione

Va a momenti, ma il Ministro Cingolani non
riesce a dare conferme convincenti sul suo impegno personale nella
transizione che, secondo il Green Deal Europeo, ci deve portare alla
decarbonizzazione entro il 2050. Prima di andare a Cernobbio, davanti a una
platea di un partito politico di centro-destra, ha accusato gli
ambientalisti di essere radical chic e sciagura peggiore del
cambiamento climatico. Un affondo alla Chicco Testa, che nessun ministro
prima di lui aveva azzardato. Non osiamo pensare al disvelamento del suo
pensiero su Greta e i Fridays for future e tutti gli altri che si
danno da fare nel mondo. Già, lo scienziato è lui. Ma di quale scienza, dato
che ce ne sono tante e quelle che a lui servirebbero sembra averle piuttosto
orecchiate. Scivoloni ne ha fatti tanti, dalla affermazione che la
transizione sarebbe non il progresso prossimo venturo, ma lacrime e
sangue, alla professione di fede nel nucleare da fusione, fuori tempo
rispetto agli obiettivi climatici di Parigi, dal rimpallo del nucleare da
fissione, respinto in Italia da ben due referendum plebiscitari, che si
rilancerebbe con una IV generazione inesistente, parente prossima dei
reattorini dei sommergibili atomici, al gas naturale che lui, assieme
all'ENI, vorrebbe come chiave della transizione, laddove in Italia il
fossile energetico e civile è già adesso tutto gas. per non parlar delle sue
bizzarre opinioni sullo sviluppo delle batterie per la mobilità elettrica e
le smart grid. Se preso per il suo verso, con interviste e uscite
varie sui media, il Ministro appare per lo più garbato, ma ripete una
lezioncina imparaticcia senza enfasi nè convinzione nè impegno personale.
Mai un riferimento, chessò, ai lavori del IPCC. alle prese di posizione dei
grandi della terra. Forse Papa Francesco non è abbastanza scienziato. E Sir
Nicholas Stern? E Johan Rockström? E Jeffrey Sachs? E Angela Merkel? E Edo
Ronchi? E ... e ...
Poi, come se niente fosse, si rimangia tutto
(Sky
TG 24).
Tutto sommato le reazioni di quelli che lui
ha definito radical-chic sono contenute nei toni e nella sostanza.
Giusto perché polemiche inappropriate nuocerebbero all'impegno di tutti. Che
non cambierà a differenza del Ministro. Leggete il
Manifesto,
Huffington Post,
Rinnovabili.it,
Massimo Scalia1
e
2
su Italia Libera,
Greenpeace Italia,
il WWF,
Legambiente,
Qualenergia,
la Sinistra
Quotidiana,
Ancora fischia il
vento,
la CEI
(in figura il cardinal Bassetti, presidente, a Perugia), la
stessa ENEL con il suo AD
Starace.
Parce sepulto!
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23 giugno
2021. Risposta "piatta" della Commissione europea ai PNRR dei paesi membri

In aperto e perfino imbarazzante contrasto
con quanto elaborato dal
Green Recovery
Tracker
dell'Istituto tedesco Wuppertal e dal gruppo
ambientalista E3G, che noi documentiamo in
questa stessa
pagina, la Commissione della Von der Leyen ha
piattamente approvato a voti quasi pieni tutti i PNRR finora presentati,
compreso, ciò che più conta, il nostro.
A suggellare la promozione ad ottimi voti
della roadmap che sosterrà l'economia italiana post lockdown,
tutte A e una B alla voce costi, è stato l'incontro ufficiale di oggi a
Cinecittà. La dotazione massima già concordata per il Next
Generation EU copre un totale di 312,5 miliardi destinati e sovvenzioni
ai paesi dell'UE è un totale di 360 miliardi di euro in prestiti. Il
prefinanziamento prevede un importo fino al 13% disponibile nel 2021.
Per la duplice transizione L'Italia ha
proposto di stanziare 12,1 miliardi di euro per l'efficientamento energetico
degli edifici residenziali, 32,1 miliardi per la mobilità sostenibile e 13,4
per la digitalizzazione delle imprese. Gli aiuti saranno accompagnati da
riforme da attuarsi entro la metà del 2026. I pagamenti rateali sono
corrisposti al raggiungimento di traguardi e obiettivi su cui l'Italia
riferirà due volte l'anno nel quadro del semestre europeo così come tutti
gli stati membri. Il piano italiano risulta essere un contributo adeguato ai
6 pilastri indicati da Bruxelles e illustrati anche nelle raccomandazioni
specifiche erga omnes. Gli obiettivi climatici sono il 37% delle
risorse consone a supportare la transizione. Idem per la trasformazione
digitale a cui vai a 20%. Il piano offre un giusto equilibrio tra riforme e
investimenti e sarà soggetto ad un audit sulla distribuzione dei
fondi ai progetti per il rilancio e ad un sistema di controllo che
garantisca la tutela degli interessi finanziari dell'Unione. Dalla
valutazione della commissione emerge che il 25% della dotazione complessiva
del PNRR Italia è destinata a misure che favoriscono transizione digitale,
tra cui gli investimenti nella digitalizzazione delle imprese,
nell'ampliamento della rete ultraveloce a banda larga e della connettività
5G. Altre risorse vanno poi a tradizionali settori della pubblica
amministrazione, della sanità, della giustizia, dell'istruzione. Il piano
comprende misure volte aumentare la sostenibilità delle finanze pubbliche, a
rendere più efficaci le politiche attive del Mercato del Lavoro e a
migliorare i risultati scolastici. Ci si attende inoltre che il piano
stimolerà gli investimenti al fine di ridurre le disparità regionali,
migliorare il tessuto imprenditoriale ed eliminare gli ostacoli alla
concorrenza. Il PNRR include anche gli investimenti per finanziare un
programma di ristrutturazioni su larga scala per l'efficienza energetica in
edilizia (110%), nonché interventi sull'uso delle rinnovabili compreso
idrogeno blu (?) e verde. Dedica inoltre un'attenzione particolare
alla riduzione delle emissioni di gas serra nei trasporti, come nei
progetti delle infrastrutture ferroviarie.
Questi i commenti ufficiali all'atto
dell'approvazione del Piano.
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13 giugno
2021. Il
comunicato finale
del G7 in Cornovaglia sulla questione climatica
INTRO
... Proteggere il nostro pianeta promuovendo una rivoluzione green
che crea posti di lavoro, riduce le emissioni e cerca di limitare l'aumento
delle temperature globali a 1,5 °C. Ci impegniamo ad emissioni zero nette
entro il 2050, dimezzando le nostre emissioni collettive nel corso dei due
decenni (?) fino al 2030, ad aumentare e migliorare i finanziamenti per il
clima fino al 2025, e conservare o proteggere almeno il 30% della nostra
terra e degli oceani entro il 2030. Riconosciamo il nostro dovere di
salvaguardare il pianeta per le generazioni future.
CLIMA
E AMBIENTE
37. Le crisi interdipendenti e senza precedenti del cambiamento climatico e
della perdita di biodiversità rappresentano una minaccia esistenziale per le
persone, la prosperità, la sicurezza e la natura. Attraverso un'azione
globale e una leadership concertata, il 2021 dovrebbe essere un punto
di svolta per il nostro pianeta mentre ci impegniamo per una transizione
green che riduca le emissioni, aumenti l'azione di adattamento in tutto
il mondo, fermi e inverta la perdita di biodiversità e, attraverso la
politica e la trasformazione tecnologica, crei nuovi prodotti di alta
qualità, posti di lavoro e aumenti la prosperità e il benessere. In vista
della 15° Conferenza delle parti della Convenzione sulla diversità biologica
(CBD COP15), della 26° Conferenza delle parti sui cambiamenti climatici
delle Nazioni Unite (UNFCCC COP26) e della 15° sessione della Conferenza
delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla
desertificazione (CCD COP15), ci impegniamo ad accelerare gli sforzi per
ridurre le emissioni di gas serra e mantenerci alla portata della soglia del
riscaldamento globale di 1,5°C, a rafforzare l'adattamento e la resilienza
per proteggere le persone dagli impatti dei cambiamenti climatici, ad
arrestare e invertire la perdita di biodiversità, mobilitare finanziamenti e
fare leva sull'innovazione per raggiungere questi obiettivi. Accogliamo con
favore e incoraggiamo le imprese, la società civile e gli impegni regionali
per il clima globale e la biodiversità attraverso obiettivi basati sulla
scienza, tra cui le campagne Race to Resilience e Race to Zero.
Insieme accogliamo con favore il ruolo attivo e la partecipazione delle
comunità vulnerabili, dei gruppi sottorappresentati e lavoreremo per
raggiungere l'uguaglianza, compresa l'uguaglianza di genere, nel settore
climatico e ambientale. Continueremo i nostri sforzi per portare avanti la
campagna Equal by 30 per l'uguaglianza di genere nel settore
energetico.
38. Come membri del G7, riaffermiamo tutti il nostro impegno nei confronti
dell'Accordo di Parigi e nel rafforzamento e nell'accelerazione della sua
attuazione attraverso solide politiche e misure nazionali e una maggiore
cooperazione internazionale. A tal fine, ci impegniamo collettivamente in
sforzi ambiziosi e accelerati per raggiungere le emissioni zero nette di gas
a effetto serra il prima possibile e al più tardi entro il 2050,
riconoscendo l'importanza di azioni significative in questo decennio. In
linea con questo obiettivo, ciascuno di noi si è impegnato ad aumentare gli
obiettivi per il 2030 e, ove non già fatto, a presentare contributi
allineati a livello nazionale (NDC) il prima possibile, prima della COP26,
che ridurrà le nostre emissioni collettive di circa la metà rispetto a 2010
o più della metà rispetto al 2005. Ci impegniamo inoltre a presentare
strategie a lungo termine (LTS) 2050 alla COP26 e ad aggiornarle
regolarmente secondo necessità in linea con l'accordo di Parigi per
riflettere gli ultimi progressi scientifici, tecnologici e gli sviluppi del
mercato. Riconoscendo l'importanza dell'adattamento nella nostra
pianificazione nazionale, ci impegniamo anche a presentare comunicazioni di
adattamento il prima possibile e, se possibile, entro la COP26.
Nell'adempiere a questi impegni, continueremo ad aumentare i nostri sforzi
per mantenere a portata di mano un limite di aumento della temperatura di
1,5°C e tracciare un percorso del G7 verso economie Net Zero.
Invitiamo tutti i paesi, in particolare le principali economie emittenti, a
unirsi a noi in questi obiettivi come parte di uno sforzo globale,
intensificando i loro impegni per riflettere la massima ambizione e
trasparenza possibile sull'attuazione nell'ambito dell'accordo di Parigi.
Rileviamo inoltre il valore di sostenere iniziative internazionali come il
Programma internazionale di azione sul meccanismo per il clima (IPAC)
dell'OCSE.
39. Per essere credibili, le ambizioni devono essere sostenute da azioni
tangibili in tutti i settori delle nostre economie e società. Guideremo una
transizione tecnologica verso Net Zero, supportata da politiche
pertinenti, prendendo atto della chiara tabella di marcia fornita
dall'Agenzia internazionale per l'energia e dando priorità ai settori e alle
attività più urgenti e inquinanti.
Nei nostri settori
energetici, aumenteremo l'efficienza energetica, accelereremo la
diffusione delle energie rinnovabili e di altre tecnologie ad emissioni
zero, ridurremo gli sprechi, sfrutteremo l'innovazione, il tutto mantenendo
la sicurezza energetica. A livello nazionale, ci impegniamo a realizzare un
sistema energetico definitivamente decarbonizzato negli anni 2030 e ad
azioni per accelerarlo. A livello internazionale, ci impegniamo ad allineare
i finanziamenti internazionali ufficiali con il raggiungimento globale di
emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050 e per una profonda
riduzione delle emissioni negli anni '20. Elimineremo gradualmente ogni
nuovo sostegno diretto internazionale dei governi all'energia da
combustibili fossili ad alta intensità di carbonio il prima possibile, con
eccezioni limitate, coerenti con un ambizioso percorso di neutralità
climatica, con l'accordo di Parigi, l'obiettivo di 1,5 °C e la migliore
scienza disponibile. Per essere credibili, le ambizioni devono essere
sostenute da azioni tangibili in tutti i settori delle nostre economie e
società. Guideremo una transizione tecnologica verso Net Zero,
prendendo atto della chiara tabella di marcia fornita dall'Agenzia
internazionale dell'energia e dando priorità ai settori e alle attività più
urgenti e inquinanti.
Riconoscendo che la produzione di energia
dal carbone è la principale causa di emissioni di gas serra, e coerentemente
con questo approccio generale e i nostri NDC rafforzati, a livello nazionale
ci siamo impegnati a sviluppare rapidamente tecnologie e politiche che
accelerino ulteriormente la transizione dall'uso del carbone senza sosta,
coerentemente con i nostri NDC 2030 e con gli impegni net zero.
Questa transizione deve andare di pari passo con le politiche e il sostegno
per una transizione giusta per i lavoratori e i settori interessati, in modo
che nessuna persona, gruppo o regione geografica venga lasciata indietro.
Per accelerare la transizione internazionale dal carbone, riconoscendo che
continuare senza sosta ad investire nel mondo nella produzione di energia
dal carbone è incompatibile con il mantenimento dell'obiettivo degli
1,5°C, sottolineiamo che gli investimenti internazionali nel carbone devono
fermarsi ora e ci impegniamo da ora a porre fine ai nuovi sostegni diretti
dei governi alla produzione internazionale di energia termica da carbone
entro la fine del 2021, anche attraverso l'assistenza ufficiale allo
sviluppo, il finanziamento delle esportazioni, gli investimenti e il
sostegno finanziario e la promozione commerciale. Questa transizione deve
essere integrata anche da un sostegno per realizzarla, compreso il
coordinamento attraverso il Consiglio per la transizione energetica.
Accogliamo con favore il lavoro dei fondi di investimento per il clima (CIF)
e i donatori prevedono di impegnare fino a $ 2 miliardi nel prossimo anno
per i loro programmi Accelerating the Coal Transition e
Integrating Renewable Energy. Queste risorse agevolate dovrebbero
mobilitare fino a 10 miliardi di dollari in cofinanziamenti, anche dal
settore privato, per sostenere la diffusione delle energie rinnovabili nelle
economie in via di sviluppo ed emergenti. Chiediamo ad altre grandi economie
di adottare tali impegni e di unirsi a noi nell'eliminazione graduale delle
fonti energetiche più inquinanti e nell'aumento degli investimenti nella
tecnologia e nelle infrastrutture per facilitare la transizione pulita e
green. Più in generale, riaffermiamo il nostro impegno per
eliminare i sussidi inefficienti ai combustibili
fossili entro il 2025 e invitiamo tutti i paesi ad unirsi a noi,
riconoscendo la sostanziale risorsa finanziaria che questo potrebbe
sbloccare a livello globale per sostenere la transizione e la necessità di
impegnarsi per una tempistica chiara.
Nei settori dei
trasporti, ci impegniamo per una mobilità sostenibile e
decarbonizzata e per potenziare le tecnologie dei veicoli a emissioni zero,
inclusi autobus, treni, navi e aerei. Riconosciamo che ciò richiederà un
drastico aumento del ritmo della decarbonizzazione globale del settore del
trasporto su strada per tutti gli anni 2020 e oltre. Ciò include il sostegno
per accelerare l'implementazione delle infrastrutture necessarie, come le
infrastrutture di ricarica e rifornimento e il miglioramento dell'offerta di
modalità di trasporto più sostenibili, compresi il trasporto pubblico, la
mobilità condivisa, la bicicletta e il camminare. Ci impegniamo ad
accelerare l'abbandono delle vendite di auto nuove diesel e benzina per
promuovere l'adozione di veicoli a emissioni zero.
Nei settori
industriali e di innovazione agiremo per decarbonizzare aree come
ferro e acciaio, cemento, prodotti chimici e petrolchimici, al fine di
raggiungere emissioni nette pari a zero in tutta l'economia. A tal fine,
sfrutteremo i nostri punti di forza collettivi nella scienza,
nell'innovazione tecnologica, nella progettazione delle politiche, nel
finanziamento e nella regolamentazione, anche attraverso il lancio dell'Agenda
di decarbonizzazione industriale del G7 per integrare, supportare
e amplificare l'ambizione delle iniziative esistenti. Ciò include ulteriori
azioni in materia di appalti pubblici, standard e sforzi industriali per
definire e stimolare la domanda di prodotti green
e migliorare l'efficienza energetica e delle risorse nell'industria. Ci
concentreremo sull'accelerazione dei progressi in materia di
elettrificazione e batterie, idrogeno, cattura, utilizzo e stoccaggio del
carbonio, trasporto aereo e marittimo a emissioni zero e, per quei paesi che
scelgono di utilizzarla, l'energia nucleare. Sosteniamo quindi pienamente
l'avvio della seconda fase di Mission Innovation e della terza fase
ministeriale sull'energia pulita.
Nelle case e negli
edifici, e anche nell'industria, riconosciamo la necessità di un
urgente cambiamento di passo nella diffusione del riscaldamento e del
raffreddamento rinnovabili e nella riduzione della domanda di energia. Ciò
integra i cambiamenti richiesti nella progettazione degli edifici, nei
materiali sostenibili e nelle ristrutturazioni. Pertanto, accogliamo con
favore l'obiettivo dell'iniziativa Super-Efficient Equipment and
Appliance Deployment (SEAD) di raddoppiare l'efficienza dei sistemi di
illuminazione, raffreddamento, refrigerazione e motore venduti a livello
globale entro il 2030.
Nei settori
agricolo, forestale e in altri settori dell'uso del suolo, ci
impegniamo a garantire che le nostre politiche incoraggino la produzione
sostenibile, la protezione, la conservazione e la rigenerazione degli
ecosistemi e il sequestro del carbonio. Accogliamo con favore l'opportunità
di discutere questi temi al COP26 Transition to Sustainable Agriculture
Policy Dialogue e al Summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari a
settembre.
40. Raggiungere le nostre ambizioni
collettive di una ripresa globale verde e resiliente offre la più grande
opportunità economica del nostro tempo per aumentare il reddito,
l'innovazione, l'occupazione, la produttività e la crescita, accelerando
anche l'azione per affrontare la minaccia esistenziale del cambiamento
climatico e del degrado ambientale. Per colmare il divario tra i fondi
necessari e i flussi finanziari effettivi è necessario mobilitare e
allineare finanziamenti e investimenti su larga scala verso le tecnologie,
le infrastrutture, gli ecosistemi, le imprese, i posti di lavoro e le
economie che sosterranno un futuro resiliente a zero emissioni che non lasci
indietro nessuno. Ciò include la distribuzione e l'allineamento di tutte le
fonti di finanziamento: pubbliche e private, nazionali e multilaterali.
Riconosciamo le particolari sfide che il finanziamento della transizione
verso un'economia netta zero pone per i paesi in via di sviluppo e
sosteniamo i nostri impegni bilaterali e multilaterali a sostegno di questi
partner, nel contesto di sforzi di decarbonizzazione significativi e
trasparenti. Riaffermiamo l'obiettivo collettivo dei paesi sviluppati di
mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari
all'anno da fonti pubbliche e private, fino al 2025, nel contesto
di azioni di mitigazione significative e trasparenza sull'attuazione. A tal
fine, ci impegniamo ad aumentare e migliorare i nostri contributi finanziari
pubblici internazionali globali per il clima per questo periodo e chiediamo
ad altri paesi sviluppati di unirsi e migliorare i loro contributi a questo
sforzo. Accogliamo con favore gli impegni già assunti da alcuni membri del
G7 per aumentare i finanziamenti per il clima e attendiamo con impazienza
nuovi impegni da parte di altri ben prima della COP26 di Glasgow. Questo
aumento della quantità e della prevedibilità è integrato da una migliore
efficacia e accessibilità e include maggiori finanziamenti che
contribuiscono all'adattamento e alla resilienza, al rischio di catastrofi e
alle assicurazioni, nonché il sostegno alla natura e alle soluzioni basate
sulla natura. Ci impegniamo a rafforzare ulteriormente le sinergie tra i
finanziamenti per il clima e la biodiversità e a promuovere finanziamenti
che abbiano benefici congiunti per il clima e la natura e stiamo lavorando
intensamente per aumentare la quantità di finanziamenti per la natura e
soluzioni basate sulla natura. Accogliamo con favore gli sforzi degli MDB
per aumentare i loro finanziamenti per il clima e la natura, li esortiamo a
mobilitare maggiori finanziamenti anche dal settore privato e invitiamo le
istituzioni finanziarie per lo sviluppo (DFI), i fondi multilaterali, le
banche pubbliche e le agenzie competenti a pubblicare prima della COP26 un
piano e una data di alto livello entro cui tutte le loro operazioni saranno
pienamente allineate e sosterranno gli obiettivi dell'Accordo di Parigi e
degli accordi ambientali multilaterali che sosteniamo.
41. Sosteniamo inoltre la trasformazione in
corso per mobilitare ulteriore capitale privato verso questi obiettivi, in
particolare per supportare i paesi in via di sviluppo e i mercati emergenti
nello sfruttare al meglio le opportunità nella transizione; mitigando e
adattandosi ai cambiamenti climatici. Chiediamo agli MDB e ai nostri DFI di
dare priorità a strategie, iniziative e incentivi di mobilitazione del
capitale all'interno delle loro operazioni. Il G7 si impegna a sfruttare
diversi tipi di veicoli finanziari misti, anche attraverso un maggiore
approccio strategico al finanziamento dello sviluppo, una maggiore
collaborazione tra i nostri DFI e gli impegni pianificati verso CIF e
Green Climate Fund, che mobiliteranno miliardi in più in
finanziamenti privati. Incoraggiamo inoltre l'ulteriore sviluppo dei mercati
finanziari del rischio di catastrofi. A tal fine, i membri del G7 hanno
impegnato centinaia di milioni di nuovi finanziamenti per azioni tempestive,
rischi di catastrofi e assicurazioni in linea con la InsuResilience
Global Partnership e la Risk-Informed Early Action Partnership (REAP).
Ci impegniamo a creare l'infrastruttura di mercato necessaria per la finanza
privata per sostenere e incentivare la transizione net zero. Lo
sviluppo del mercato globale della finanza green aiuterà a mobilitare
i finanziamenti del settore privato e rafforzerà la politica dei governi per
soddisfare i nostri impegni net zero. Sosteniamo la Glasgow
Finance Alliance for Net Zero, lanciata di recente, e chiediamo una
rapida e solida realizzazione dei loro impegni per ridurre le emissioni
dell'economia reale. Sottolineiamo la necessità di rendere green il
sistema finanziario globale in modo che le decisioni finanziarie tengano
conto delle considerazioni sul clima. Sosteniamo il passaggio a informative
finanziarie obbligatorie relative al clima che forniscano informazioni
coerenti e utili per le decisioni per i partecipanti al mercato e che si
basino sul quadro della Task Force on Climate-related Financial
Disclosures (TCFD), in linea con i quadri normativi nazionali.
Attendiamo anche con impazienza l'istituzione della Task force sulle
informative finanziarie relative alla natura e le sue raccomandazioni.
Queste iniziative aiuteranno a mobilitare i trilioni di dollari di
finanziamenti del settore privato necessari e rafforzeranno la politica del
governo per soddisfare i nostri impegni a zero. Riconosciamo il potenziale
dei mercati ad alta integrità di carbonio e dei prezzi del carbonio
per promuovere riduzioni efficienti in termini di costi dei livelli di
emissione, guidare l'innovazione e consentire una trasformazione a net
zero, attraverso l'uso ottimale di una serie di leve politiche per
misurare il carbonio. Sottolineiamo la loro importanza ai fini della
definizione di una traiettoria equa ed efficiente dei prezzi del carbonio
per accelerare la decarbonizzazione delle nostre economie, per raggiungere
un percorso globale di emissioni nette pari a zero. In tutto questo,
svilupperemo approcci di genere al finanziamento, agli investimenti e alle
politiche per il clima e la natura, in modo che le donne e le ragazze
possano partecipare pienamente alla futura green economy.
42.
La perdita di biodiversità è una minaccia esistenziale intrinsecamente
collegata, che si rafforza a vicenda ed è altrettanto importante per il
nostro pianeta e la nostra gente che il cambiamento climatico. In questo
contesto, riconosciamo come G7 il nostro impegno verso il declino della
biodiversità e ci impegniamo a fare la nostra parte nel suo ripristino e
conservazione. Sosteniamo un ambizioso quadro globale sulla biodiversità
post-2020 che dovrà essere adottato dalle parti alla CBD COP15 che fissa
obiettivi ambiziosi, rafforza l'attuazione e migliora la segnalazione e la
revisione regolari. Riconosciamo la nostra responsabilità di sostenere il
mondo nell'invertire la traiettoria della perdita di biodiversità e degli
ambienti naturali che la supportano, oltre a garantire che l'impatto sulla
natura sia pienamente preso in considerazione nel nostro processo
decisionale politico.
43. A sostegno dei risultati positivi per la
natura alla Convenzione sulla diversità biologica COP-15 a Kunming e alla
COP26 di quest'anno, e prendendo atto del Leaders' Pledge for Nature
lanciato alla 75a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del
2020, adottiamo il G7 2030 Nature Compact a sostegno della missione
globale di arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030.
Il Nature Compact ci impegna ad agire attraverso quattro pilastri
chiave:
In primo luogo, ci impegniamo a sostenere
obiettivi globali di biodiversità ambiziosi ed efficaci, tra cui la
conservazione o la protezione di almeno il 30% della terra globale e almeno
il 30% dell'oceano globale entro il 2030. Contribuiremo conservando o
proteggendo almeno il 30% della nostra terra, comprese le acque terrestri e
interne, e le aree costiere e marine entro il 2030 con attenzione alle
circostanze e agli approcci nazionali. Queste azioni aiuteranno ad arginare
la crisi di estinzione, salvaguardare le risorse idriche e alimentari,
assorbire l'inquinamento da carbonio e ridurre i rischi di future pandemie.
Sosteniamo inoltre pienamente l'impegno della Commissione per la
conservazione delle risorse biologiche dell'Antartico (CCAMLR) a sviluppare
un sistema rappresentativo di aree marine protette (AMP) nell'area della
Convenzione nell'Oceano Antartico sulla base delle migliori prove
scientifiche disponibili.
In secondo luogo, sosterremo la transizione
verso la gestione e l'uso sostenibili delle risorse naturali e utilizzeremo
leve appropriate per affrontare le attività non sostenibili e illegali che
hanno un impatto negativo sulla natura e quindi sui mezzi di sussistenza.
Ciò include l'intensificazione dell'azione per affrontare i crescenti
livelli di inquinamento da plastica nell'oceano, compreso il lavoro
attraverso l'Assemblea delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEA) su opzioni
tra cui il rafforzamento degli strumenti esistenti e un potenziale nuovo
accordo o altro strumento per affrontare i rifiuti di plastica marini, anche
presso l'UNEA- 5.2.
In terzo luogo, lavoreremo intensamente per
aumentare gli investimenti nella protezione, conservazione e ripristino
della natura, compreso l'impegno ad aumentare i finanziamenti per le
soluzioni basate sulla natura fino al 2025, massimizzando le sinergie dei
finanziamenti per il clima e la biodiversità e garantendo il rilievo della
natura sia nella politica che nell'economia il processo decisionale.
Infine, daremo priorità al rafforzamento
della responsabilità e ai meccanismi di attuazione degli accordi ambientali
multilaterali di cui siamo parti. Attueremo il patto e rivedremo
regolarmente i nostri progressi rispetto ad esso attraverso i meccanismi G7
esistenti, anche al vertice dei leader del G7 tra cinque anni, quando
esamineremo le opzioni per aumentare la nostra azione e ambizione, se
necessario, per garantire la realizzazione della nostra visione 2030. I
membri del G7 che fanno parte della CBD sosterranno anche l'attuazione di
successo del quadro globale sulla biodiversità post-2020 da concordare alla
COP15.
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3 giugno
2021. Il
Wuppertal e il
E3G pubblicano le analisi degli effetti ambientali
dei PNRR dei vari paesi. L'Italia, il paese più dotato di contributi, è il
fanalino di coda
Il Primo Ministro Draghi ha presentato il Piano italiano di Recupero e
Resilienza (PNRR) definitivo il 27 aprile 2021. Il piano attinge a un totale
di 235 Mld€, di cui 191,5 provenienti dal NGEU (sovvenzioni 68,9 miliardi di
euro, i prestiti rimanenti), 13 dal Fondo UE REACT e 30,6 da un fondo
complementare che utilizza fonti di finanziamento nazionali. Nel complesso,
per l'Italia, le misure di risanamento sono inferiori al potenziale di
transizione green dei fondi di risanamento disponibili. L'analisi del
Green Recovery
Tracker identifica le seguenti quote di spesa:

Dal rosso al verde la qualità ecologica
min-max degli investimenti |
Mentre il piano prevede investimenti in misura rilevante per la transizione
green, vi è un significativo squilibrio nell'allocazione dei fondi
tra settori e attività. Molti degli investimenti green del piano
possono solo determinare uno spostamento minimo verso un'economia
climaticamente neutra e sembrano piuttosto insignificanti rispetto alle
esigenze di una transizione verso un'economia decarbonizzata. In
particolare, si evidenzia una mancanza di adeguato supporto per i pilastri
essenziali per la transizione: l'espansione della generazione di energia
elettrica rinnovabile, l'uso diretto dell'elettricità e la mobilità
sostenibile a livello urbano.
l piano e le relative riforme favoriscono le procedure autorizzative per le
infrastrutture del gas senza spingere l'elettrificazione nell'uso finale
dell'energia. C'è anche il dato che una quota relativamente elevata dei
fondi per il recupero sarà assegnata a progetti su, ad esempio, biometano e
idrogeno, riconducibili al settore del gas. In alcuni casi, le attività del
gas fossile possono accedere direttamente alle risorse di recupero, ad
esempio attraverso il supporto per le caldaie a gas negli investimenti per
l'efficienza energetica o il sostegno agli autobus alimentati a gas, che
creeranno un lock-in infrastrutturale che rallenterà la transizione
climatica.
Il piano di rilancio dell'Italia raggiunge una quota di spesa green
del 16%, al di sotto del parametro di
riferimento del 37% dell'UE. Allo stesso tempo, troviamo che il 26% (49,5
Mld€) potrebbe avere un impatto positivo o negativo sulla transizione
verde a seconda dell'attuazione delle misure attuate. Secondo il governo, il
PNRR raggiungerebbe una quota di spesa per il clima del 40%. Nel valutare
l'intero pacchetto di risanamento (compresi NGEU, REACT EU e Fondo
complementare), l'Italia raggiunge una quota di spesa green del
13%. Inoltre, troviamo che,
complessivamente, il 28% (66,7 Mld€) può avere un impatto positivo o
negativo sulla transizione green a seconda dell'attuazione delle
misure pertinenti.
Non vediamo una strategia globale per la transizione verde e nessun uso
strategico dei fondi PNRR. Le risorse per le misure rilevanti per la
transizione ecologica sono disperse in varie piccole componenti ed elementi,
p. es. nelle misure di sostegno alle isole green o all'agrivoltaico, con
pochi finanziamenti per la decarbonizzazione industriale o altre importanti
aree della transizione, in particolare per quanto riguarda il greening
della fornitura di energia elettrica e l'elettrificazione. Esistono,
inoltre, significative misure di sostegno che possono finire per favorire il
gas fossile, come gli investimenti in biometano e idrogeno, mentre manca una
strategia per l'elettrificazione e un aumento della fornitura di energia
elettrica rinnovabile. Nel complesso, nonostante le sue dimensioni, il
prezzo consigliato non lo fa non forniscono un chiaro impulso alla
transizione verso un'economia climaticamente neutra.
Lo scarso
supporto per l'utilizzo diretto dell'elettricità, soprattutto nel settore
dei trasporti, danneggia la lotta ai cambiamenti climatici. Gli
investimenti complessivi in mobilità elettrica sono di appena 1,2 Mld€. Ci
sono altre risorse destinate al trasporto pubblico nei comuni, ma non è
chiaro che sosterranno la mobilità elettrica e c'è il rischio che questi
fondi possano supportare veicoli a gas fossile. Notevolmente bassa la quota
di investimenti in mobilità elettrica, con i finanziamenti dell'UE per la
ripresa, rispetto agli altri paesi dell'UE.
Occorre prestare attenzione ai nessi tra il piano di rilancio e la politica
climatica generale: il PNRR fissa arbitrariamente obiettivo nazionale di
riduzione delle emissioni al 51% entro il 2030, rispetto al 1990. Non è
affatto l'obiettivo nazionale ufficiale di decarbonizzazione. Tuttavia, il
piano non collega specificamente le misure di recupero individuali con
questo obiettivo generale. Gli impatti complessivi quantificati dal piano
ammontano ad una riduzione di 5,6 Mt CO2e, solo il 3% delle
necessarie riduzioni delle emissioni fino al 2030. Tuttavia, deve essere
osservato che non sono fornite stime per molte misure pertinenti, anche
nell'edilizia, la mobilità e i trasporti.
è grave la mancanza
di ambizione sulle rinnovabili: nel complesso, il PNRR prevede finanziamenti
per 4,2 GW di capacità di generazione rinnovabile aggiuntiva,solo il 70% dei
6 GW che sono necessari in ogni singolo anno per essere sulla buona strada
per il 2030. Questo obiettivo è anche significativamente al di sotto della
quota nazionale italiana assegnata dalla Commissione che chiede che gli
Stati membri utilizzino i fondi di recupero per sviluppare il 40% del 500 GW
di capacità di generazione richiesta in tutta l'UE entro il 2030. Le singole
misure a sostegno delle rinnovabili sono frammentarie e non legate a una
strategia più ampia: non c'è strategia per l'eolico offshore, ma solo
un budget generico di 0,6 Mld€ per le tecnologie, molto probabilmente
per la generazione dalle maree. Il supporto chiave per il solare
fotovoltaico (2,2 Mld€) è riservato ai comuni con meno di 5000 abitanti e
non è accompagnato da alcuna riforma. Sono stati stanziati ingenti fondi per
sostenere lo sviluppo del solare fotovoltaico su terreni agricoli (agrivoltaico),
con investimenti di 1,5 Mld€ per soli 430 MW. Infine, non ci sono risorse
finanziarie o riforme strategiche per sviluppare lo stoccaggio di energia,
nonostante l'obiettivo del PNIEC di sviluppare 10 GW di capacità di
stoccaggio. |
 |
Per
l'efficienza energetica vengono complessivamente stanziati 22 Mld€. La
maggior parte, 18,5 Mld€, viene utilizzata per un meccanismo di rimborso
fiscale (ecobonus) che consiste in un rimborso del 110% dei costi di
ristrutturazioni edilizie, con costi relativamente elevati. Purtroppo il
meccanismo non è supportato da forti condizionalità di efficienza, poiché
richiede un miglioramento di sole due classi energetiche e consente
investimenti nel gas fossile per gli impianti di riscaldamento. Non esiste
inoltre una strategia di efficienza energetica per il settore pubblico.
Infatti, per il miglioramento dell'efficienza degli edifici scolastici, si
parla di 195 edifici scolastici su un totale di 32.000, destinando nel
contempo ulteriori risorse alla ristrutturazione degli edifici senza vincolo
di efficientamento.
Non c'è
spinta per la mobilità elettrica e l'allocazione dei fondi per la mobilità è
squilibrata: nonostante l'ampio budget complessivo dedicato alle
misure di mobilità, in particolare all'alta velocità, il PNRR non destina
molte risorse alla promozione della mobilità elettrica e al greening
del trasporto pubblico locale. Meno dell'1% dei fondi complessivi è
destinato all'elettrificazione della mobilità, con un rischio significativo
che l'Italia resti sempre più indietro nel passaggio alla mobilità
elettrica. Lo squilibrio nell'allocazione dei fondi nel settore della
mobilità sta nella cospicua quota di fondi destinati alle linee ferroviarie
a lunga e media distanza rispetto alla mancanza di fondi per intervenire
sulla maggior parte dei problemi urgenti nel settore. Nello specifico, le
misure fanno poco per ridurre le emissioni a partire dal trasporto stradale
e per ottimizzare la qualità dell'aria nelle città, nonostante quest'ultima
sia una raccomandazione prioritaria della Commissione Europea nel processo
del semestre europeo per il settore trasporti. Secondo la stessa valutazione
del governo, gli investimenti significativi nell'infrastruttura
ferroviaria ad alta velocità porteranno a riduzioni delle emissioni di soli
2,3 MtCO2e, una piccolissima parte delle riduzioni di 174 MtCO2e
richieste complessivamente entro il 2030 sulla base dell'obiettivo di
decarbonizzazione incluso nel PNRR.
Alcune
delle riforme incluse nel PNRR consistono nell'accelerare l'iter
autorizzativo per le infrastrutture della nuova energia, in linea con gli
obiettivi fissati nel PNIEC. C'è il rischio che la riforma proposta
favorisca principalmente le centrali elettriche a gas, tanto più che il
meccanismo italiano del Capacity Market ha già attivato richieste di
autorizzazione di ca. 15 GW di capacità aggiuntiva di gas. Allo stesso
tempo, secondo il gestore del sistema di trasmissione Terna, la domanda di
punta di 58,8 GW è già significativamente inferiore alla capacità
complessiva della rete esistente (119,3 GW). È particolarmente problematico
che le centrali termiche, come le centrali a gas, siano autorizzate a
livello centrale, mentre la maggior parte degli impianti di energia
rinnovabile deve essere approvata a livello regionale, rendendo più
complesso il processo di autorizzazione dei progetti di energia rinnovabile.
Inoltre, le riforme includono potenziali allentamenti dei regolamenti dei
processi autorizzativi per le infrastrutture ferroviarie ad alta velocità,
idrogeno e biometano. Mentre una semplificazione delle procedure
amministrative è necessaria in linea di principio, data l'attuale complessa
infrastruttura della pubblica amministrazione, si teme che ciò possa anche
indebolire importanti disposizioni per la protezione dell'ambiente. Sono già
molte le
associazioni che denunciano
i provvedimenti semplificativi delle autorizzazioni temendo che il paesaggio
possa essere compromesso dall'invasione dei generatori rinnovabili.
Le principali misure
del PNRR in ogni settore con effetti sulla transizione ecologica
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18 maggio 2021. L'IEA rende
pubblico un nuovo scenario e una roadmap settoriale dettagliata per
l'obiettivo di Parigi a 1,5 °C
Secondo il nuovo Rapporto dell’IEA, presentato in vista di Glasgow, c’è
bisogno di una svolta radicale verso le rinnovabili per raggiungere le zero
emissioni nette entro il 2050 e raggiungere l'obiettivo di 1,5 °C di Parigi.
L'energia
rinnovabile dovrebbe superare il carbone entro il 2026 e petrolio e gas
prima del 2030. Entro il 2050 dovrebbe soddisfare i due terzi
dell'approvvigionamento energetico globale e quasi il 90% della generazione
elettrica.
Nel Rapporto
di 227 pagine, intitolato "Net-zero
by 2050: A roadmap for the global energy sector", l'IEA
chiede una trasformazione totale del sistema energetico e propone un nuovo
scenario (NZE) per la decarbonizzazione entro il 2050. La roadmap
comporta la fine immediata di nuovi investimenti nell'estrazione di
combustibili fossili e la decarbonizzazione della generazione elettrica
entro il 2040. Lo scenario aumenterebbe il PIL globale, creerebbe milioni di
posti di lavoro, fornirebbe l'accesso universale all'energia entro il 2030
ed eviterebbe milioni di morti premature dovute all'inquinamento
atmosferico.
La roadmap net-zero NZE
NZE è il
primo percorso dettagliato dell'IEA per raggiungere le emissioni nette di CO2
zero da energia e industria entro il 2050 in modo compatibile con
l’obiettivo degli 1.5 °C con una probabilità del 50% senza overshoot,
se abbinato a tagli rigorosi ai gas serra diversi dalla CO2 e
alle emissioni derivanti dalla silvicoltura e dall'uso del suolo.
Le emissioni
globali cumulative di CO2 tra il 2020 e il 2050, derivanti
dall'uso di energia e dall'industria raggiungerebbero 450 GtCO2
con 45 GtCO2 derivanti dall'uso del suolo e dalla silvicoltura.
Rientrerebbero nel carbon budget di 500 GtCO2 calcolato
nel Rapporto speciale SR15 dell’IPCC sugli 1,5 °C.
Lo scenario
NZE si basa su tre principi:
·
Neutralità tecnologica guidata dai costi, dall’innovazione, dalle condizioni
del paese e del mercato ma con obiettivi sociali più ampi;
·
Cooperazione internazionale universale, in cui tutti i Paesi contribuiscono
al net-zero, in un'ottica di giusta transizione e dove guidano le economie
avanzate;
·
Una transizione ordinata che cerca di ridurre al minimo gli stranded
asset, garantendo la sicurezza energetica e riducendo al minimo la
volatilità nei mercati energetici.
NZE è un
percorso relativamente aggressivo rispetto a quelli valutati dall'IPCC nel
2018, raggiungendo lo zero netto entro il 2050 senza compensazioni dall'uso
del suolo o dalla silvicoltura. NZE consente di prendere in considerazione
gli impatti sulla salute dell'inquinamento atmosferico, nonché gli impatti
sull'uso del suolo e sulle emissioni della domanda di bioenergia. Ha una
maggiore efficienza energetica e più cambiamenti dei comportamenti,
un'elettrificazione più ampia, più energia eolica e solare, meno bioenergia,
meno cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), meno emissioni negative e un
minore utilizzo di combustibili fossili, rispetto alla maggior parte dei
percorsi presentati dall'IPCC.
Rispetto a
quest’ultimi il nuovo scenario NZE ha un consumo di combustibili fossili
notevolmente inferiore, 120 EJ nel 2050 contro 184, un consumo energetico
inferiore, 344 contro 404 EJ, una maggiore quota eolica / solare, 70% contro
il 53%, meno CCS, 7,6 contro 8,4 Gt, meno BECCS, 1.9 contro 4.5 Gt e meno
bioenergia, 102 contro 152EJ.
Tuttavia, lo
NZE include ancora un uso significativo di bioenergia, CCS ed emissioni
negative da bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS) e
cattura diretta dell'aria (DAC), che consentono di usare ancora combustibili
fossili nel 2050. Secondo la tradizione IEA è prevista anche una forte
crescita della produzione dall'energia nucleare.
Si deve
considerare che le politiche consolidate fino ad oggi darebbero luogo solo
ad un plateau delle emissioni vicino al livello attuale con il
riscaldamento che raggiungerebbe i 2,7 °C a fine secolo (STEPS).

Purtroppo
anche se i governi che si sono impegnati raggiungessero in tempo e per
intero i loro obiettivi di neutralità, le temperature aumenterebbero
comunque di circa 2,1 °C (AIC). Se le emissioni raggiungono lo zero netto
entro il 2070, come nel vecchio scenario di sviluppo sostenibile dell'IEA (SDS),
le temperature rimarrebbero al di sotto dei 2 °C di anomalia. Infine, se le
emissioni scendessero allo zero netto entro il 2050, il riscaldamento
rimarrebbe al di sotto di 1,5 ° C (NZE).
La roadmap
dell'IEA definisce un progetto per un'economia a emissioni nette zero che
sarebbe radicalmente diversa dal mondo che esiste oggi. La quantità di
energia utilizzata dall'economia globale diminuirebbe dell'8% entro il 2050,
nonostante un raddoppio del PIL, un aumento della popolazione di oltre due
miliardi di persone e la fornitura di un accesso universale all'energia
entro il 2030. Invece di ottenere circa i quattro quinti dell'energia che
guida l'economia globale dai combustibili fossili, l'uso di carbone,
petrolio e gas diminuirebbe rapidamente. Entro il 2050 poco più di un quinto
delle forniture energetiche proverrebbe dai combustibili fossili, rispetto a
più di due terzi dalle energie rinnovabili e circa un decimo dal nucleare.

L'uso del carbone diminuirebbe del 98%, il gas dell'88% e il petrolio del
75%. Il predominio delle rinnovabili sarebbe aiutato dalla diffusa
elettrificazione dell'economia, dai trasporti e dal riscaldamento civile e
industriale a bassa temperatura. La quota di elettricità della domanda
finale di energia aumenterebbe dal 20% attuale a quasi il 50% entro il 2050.
Nel frattempo, i combustibili liquidi si dimezzerebbero dal 38% della
domanda odierna al 19%. I combustibili gassosi manterrebbero la loro quota
del mix, ma l’uso dell'idrogeno corrisponderebbe ad un ruolo ridotto per il
gas naturale entro il 2050. Per quanto riguarda i combustibili solidi, la
quota del carbone vedrebbe un calo di quattro volte, con una parte di questo
sostituita dalla bioenergia.
In termini
economici una analisi congiunta dell'IEA e del FMI mostra che lo NZE si
traduce in un PIL globale superiore del 4% nel 2030 rispetto a quanto
sarebbe basato sulle tendenze attuali. Tuttavia, l'agenzia osserva che i
benefici della transizione probabilmente non sarebbero distribuiti in modo
uniforme tra o all'interno delle nazioni. Nello NZE, l'occupazione
nell'energia pulita aumenta di 14 milioni al 2030, mentre l'occupazione nel
settore dei combustibili fossili diminuisce di 5 milioni. Ci sarebbero altri
16 milioni di posti di lavoro creati da cambiamenti nella spesa per
elettrodomestici più efficienti, veicoli elettrici e a celle a combustibile
e retrofit di edifici e costruzioni ad alta efficienza energetica
portando l'aumento netto totale a 25 milioni di posti di lavoro.
Il Rapporto indica anche sette pilastri chiave della decarbonizzazione per i
quali le tecnologie sono solo in parte disponibili: efficienza energetica;
cambiamenti comportamentali; elettrificazione; energie rinnovabili; idrogeno
e combustibili a base di idrogeno; bioenergia e cattura e stoccaggio del
carbonio (CCS). Ma entro il 2050, quasi la metà dei tagli alle emissioni
dovrebbe provenire da tecnologie che sono ancora in gran parte in fase di
dimostrazione o prototipo, come le batterie avanzate, la CCS e la DAC.
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30 aprile 2021. Presentato alla Commissione europea il PNRR, Piano nazionale
di ripresa e resilienza
(da Huffington Post del 25 aprile. Si vedano in questo sito
interventi a commento del PNRR in materia di
Clima,
Energia e
Trasporti)
Il
Governo ha trasmesso oggi al Parlamento il
testo del Piano nazionale di ripresa e
resilienza. Il Piano si inserisce all’interno del
programma Next Generation EU, il pacchetto da 750 miliardi di euro
concordato dall’Unione europea in risposta alla crisi pandemica. Il Piano
italiano prevede investimenti pari a 191,5 miliardi di euro, finanziati
attraverso il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, lo strumento
chiave del Ngeu. Ulteriori 30,6 miliardi sono parte di un Fondo
complementare, finanziato attraverso lo scostamento pluriennale di bilancio
approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile. Il totale degli
investimenti previsti è pertanto di 222,1 miliardi di euro.
Il
Piano include inoltre un corposo pacchetto di riforme, che toccano, tra gli
altri, gli ambiti della pubblica amministrazione, della giustizia, della
semplificazione normativa e della concorrenza. Si tratta di un intervento
epocale, che intende riparare i danni economici e sociali della crisi
pandemica, contribuire a risolvere le debolezze strutturali dell’economia
italiana, e accompagnare il Paese su un percorso di transizione ecologica e
ambientale.
Il
Piano ha come principali beneficiari le donne, i giovani e il Mezzogiorno e
contribuisce in modo sostanziale a favorire l’inclusione sociale e a ridurre
i divari territoriali. Nel complesso, il 27% è dedicato alla
digitalizzazione, il 40% agli investimenti per il contrasto al cambiamento
climatico, e più del 10 per cento alla coesione sociale.
Il
Piano si organizza lungo sei missioni. La prima missione, “Digitalizzazione,
Innovazione, Competitività, Cultura”, stanzia complessivamente 49,2
miliardi -di cui 40,7 miliardi dal Dispositivo per la ripresa e la
resilienza e 8,5 miliardi dal Fondo. I suoi obiettivi sono promuovere la
trasformazione digitale del Paese, sostenere l’innovazione del sistema
produttivo, e investire in due settori chiave per l’Italia, turismo e
cultura. Gli investimenti previsti nel piano assicurano la fornitura di
banda ultra-larga e connessioni veloci in tutto il Paese. In particolare,
portano la connettività a 1 Gb/s in rete fissa a circa 8,5 milioni di
famiglie e a 9.000 edifici scolastici che ancora ne sono privi, e assicurano
connettività adeguata ai 12.000 punti di erogazione del Servizio sanitario
nazionale. Viene avviato anche un Piano Italia 5G per il potenziamento della
connettività mobile in aree a fallimento di mercato. Il Piano prevede
incentivi per l’adozione di tecnologie innovative e competenze digitali nel
settore privato, e rafforza le infrastrutture digitali della Pubblica
amministrazione, ad esempio facilitando la migrazione al cloud. Per
turismo e cultura, sono previsti interventi di valorizzazione dei siti
storici e di miglioramento delle strutture turistico-ricettive.
La seconda missione, “Rivoluzione verde e Transizione ecologica”,
stanzia complessivamente 68,6 miliardi - di cui 59,3 miliardi dal
Dispositivo per la ripresa e la resilienza e 9,3 miliardi dal Fondo. I suoi
obiettivi sono migliorare la sostenibilità e la resilienza del sistema
economico e assicurare una transizione ambientale equa e inclusiva. Il Piano
prevede investimenti e riforme per l’economia circolare e la gestione dei
rifiuti, per raggiungere target ambiziosi come il 65% di riciclo dei
rifiuti plastici e il 100 per cento di recupero nel settore tessile. Il
Piano stanzia risorse per il rinnovo del trasporto pubblico locale, con
l’acquisto di bus a bassa emissione, e per il rinnovo di parte della flotta
di treni per il trasporto regionale con mezzi a propulsione alternativa.
Sono previsti corposi incentivi fiscali per incrementare l’efficienza
energetica di edifici privati e pubblici. Le misure consentono la
ristrutturazione di circa 50.000 edifici l’anno. Il Governo prevede
importanti investimenti nelle fonti di energia rinnovabile e semplifica le
procedure di autorizzazione nel settore. Si sostiene la filiera
dell’idrogeno, e in particolare la ricerca di frontiera, la sua produzione e
l’uso locale nell’industria e nel trasporto. Il Piano investe nelle
infrastrutture idriche, con l’obiettivo di ridurre le perdite nelle reti per
l’acqua potabile del 15%, e nella riduzione del dissesto idrogeologico.
La terza missione, “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”,
stanzia complessivamente 31,4 miliardi - di cui 25,1 miliardi dal
Dispositivo per la ripresa e la resilienza e 6,3 miliardi dal Fondo. Il suo
obiettivo primario è lo sviluppo razionale di un’infrastruttura di trasporto
moderna, sostenibile e estesa a tutte le aree del Paese. Il Piano prevede un
importante investimento nei trasporti ferroviari ad alta velocità. A regime,
vengono consentiti significativi miglioramenti nei tempi di percorrenza,
soprattutto nel centro-sud. Ad esempio, si risparmierà 1 ora e 30 minuti
sulla tratta Napoli-Bari, 1 ora e 20 minuti sulla tratta Roma-Pescara, e 1
ora sulla tratta Palermo-Catania. Il Governo investe inoltre nella
modernizzazione e il potenziamento delle linee ferroviarie regionali, sul
sistema portuale e nella digitalizzazione della catena logistica.
La quarta missione, “Istruzione e Ricerca”, stanzia
complessivamente 31,9 miliardi di euro - di cui 30,9 miliardi dal
Dispositivo per la ripresa e la resilienza e 1 miliardo dal Fondo. Il suo
obiettivo è rafforzare il sistema educativo, le competenze digitali e
tecnico-scientifiche, la ricerca e il trasferimento tecnologico. Il Piano
investe negli asili nido, nelle scuole materne, nei servizi di educazione e
cura per l’infanzia. Crea 152.000 posti per i bambini fino a 3 anni e 76.000
per i bambini tra i 3 e i 6 anni. Il Governo investe nel risanamento
strutturale degli edifici scolastici, con l’obiettivo di ristrutturare una
superficie complessiva di 2.400.000 m2. Inoltre, si prevede una
riforma dell’orientamento, dei programmi di dottorato e dei corsi di laurea,
ad esempio con l’aggiornamento della disciplina dei dottorati e un loro
aumento di circa 3.000 unità. Si sviluppa l’istruzione professionalizzante e
si rafforza la filiera della ricerca e del trasferimento tecnologico.
La quinta missione, “Inclusione e Coesione”, stanzia
complessivamente 22,4 miliardi - di cui 19,8 miliardi dal Dispositivo per la
ripresa e la resilienza e 2,6 miliardi dal Fondo. Il suo obiettivo è
facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la
formazione, rafforzare le politiche attive del lavoro e favorire
l’inclusione sociale. Il Governo investe nello sviluppo dei centri per
l’impiego e nell’imprenditorialità femminile, con la creazione di un nuovo
Fondo Impresa Donna. Si rafforzano i servizi sociali e gli interventi per le
vulnerabilità, ad esempio con interventi dei Comuni per favorire una vita
autonoma alle persone con disabilità. Sono previsti investimenti
infrastrutturali per le Zone economiche speciali e interventi di
rigenerazione urbana per le periferie delle città metropolitane.
La sesta missione, “Salute”, stanzia complessivamente 18,5
miliardi, di cui 15,6 miliardi dal Dispositivo per la ripresa e la
resilienza e 2,9 miliardi dal Fondo. Il suo obiettivo è rafforzare la
prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e
digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure.
Il Piano investe nell’assistenza di prossimità diffusa sul territorio e
attiva 1.288 Case di comunità e 381 Ospedali di comunità. Si potenzia
l’assistenza domiciliare per raggiungere il 10% della popolazione con più di
65 anni, la telemedicina e l’assistenza remota, con l’attivazione di 602
Centrali operative territoriali. Il Governo investe nell’aggiornamento del
parco tecnologico e delle attrezzature per diagnosi e cura, con l’acquisto
di 3.133 nuove grandi attrezzature, e nelle infrastrutture ospedaliere, ad
esempio con interventi di adeguamento antisismico. Il Piano rafforza
l’infrastruttura tecnologica per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei
dati, inclusa la diffusione del Fascicolo sanitario elettronico.
Il Piano prevede un ambizioso programma di riforme, per facilitare la sua
attuazione e contribuire alla modernizzazione del Paese e all’attrazione
degli investimenti. La riforma della pubblica amministrazione
affronta i problemi dell’assenza di ricambio generazionale, di scarso
investimento sul capitale umano e di bassa digitalizzazione. Il Piano
prevede investimenti in una piattaforma unica di reclutamento, in corsi di
formazione per il personale e nel rafforzamento e monitoraggio della
capacità amministrativa.
La riforma della giustizia interviene sull’eccessiva durata
dei processi e intende ridurre il forte peso degli arretrati giudiziari. Il
Piano prevede assunzioni mirate e temporanee per eliminare il carico di casi
pendenti e rafforza l’Ufficio del Processo. Sono previsti interventi di
revisione del quadro normativo e procedurale, ad esempio un aumento del
ricorso a procedure di mediazione e interventi di semplificazione sui
diversi gradi del processo.
Il Piano prevede inoltre interventi di semplificazione per la
concessione di permessi e autorizzazioni, e sul codice degli appalti
per garantire attuazione e massimo impatto agli investimenti. Il Piano
include anche riforme a tutela della concorrenza come strumento di coesione
sociale e crescita economica. I tempi di queste riforme, che vanno dai
servizi pubblici locali a energia elettrica e gas, sono stati pensati
tenendo conto delle attuali condizioni dovute alla pandemia.
Il Pnrr avrà un impatto significativo sulla crescita economica e della
produttività. Il Governo prevede che nel 2026 il Pil sarà di 3,6 punti
percentuali più alto rispetto allo scenario di base. Nell’ultimo triennio
dell’orizzonte temporale (2024-2026), l’occupazione sarà più alta di 3,2
punti percentuali. Il Piano destina 82 miliardi al Mezzogiorno su 206
miliardi ripartibili secondo il criterio del territorio, per una quota
dunque del 40%. In particolare, gli investimenti nelle infrastrutture e
nella mobilità sostenibile al sud sono pari 14,5 miliardi, il 53 per cento
del totale, e intervengono sull’alta velocità, sul sistema portuale e sulla
viabilità nell’Italia interna. Sono stanziati 8,8 miliardi per interventi di
inclusione e coesione al sud, pari al 39 per cento del totale, e 14,6
miliardi per misure nell’istruzione e la ricerca, pari al 46 per cento.
Questi includono la creazione di nuovi asili, un incremento delle
infrastrutture sociali, e politiche per il lavoro. Il Pnrr contribuisce a
ridurre il divario tra il Mezzogiorno e il resto del Paese. L’impatto
complessivo del Pnrr sul Pil nazionale fino al 2026 è stimato in circa 16
punti percentuali. Per il sud, l’impatto previsto è di circa 24 punti
percentuali.
Il Piano prevede inoltre un investimento significativo sui giovani e le
donne. Una nuova strategia di politiche per l’infanzia è cruciale per
invertire il declino di fecondità e natalità. I giovani beneficiano dei
progetti nei campi dell’istruzione e della ricerca; del ricambio
generazionale nella pubblica amministrazione; e del rafforzamento del
Servizio civile universale. Per i ragazzi e le ragazze, sono stanziati fondi
per l’estensione del tempo pieno scolastico e per il potenziamento delle
infrastrutture sportive a scuola. In particolare, è promossa l’attività
motoria nella scuola primaria, anche in funzione di contrasto alla
dispersione scolastica. Per quanto riguarda le donne, il Piano prevede
misure di sostegno all’imprenditoria femminile e investimenti nelle
competenze tecnico-scientifiche delle studentesse. Inoltre, l’ampliamento
dell’offerta di asili, il potenziamento della scuola per l’infanzia e il
miglioramento dell’assistenza ad anziani e disabili aiuteranno
indirettamente le donne, che spesso devono sostenere la maggior parte del
carico assistenziale delle famiglie. Per perseguire le finalità relative
alle pari opportunità -generazionali e di genere- il Governo intende
inserire per le imprese che parteciperanno ai progetti finanziati dal Ngeu
previsioni dirette a condizionare l’esecuzione dei progetti all’assunzione
di giovani e donne. I criteri sono definiti tenendo conto dell’oggetto del
contratto; della tipologia e della natura del singolo progetto.
La governance del Piano prevede una responsabilità diretta dei
ministeri e delle amministrazioni locali per la realizzazione degli
investimenti e delle riforme entro i tempi concordati, e per la gestione
regolare, corretta ed efficace delle risorse. È previsto un ruolo
significativo degli enti territoriali, a cui competono investimenti pari a
oltre 87 miliardi di euro. Il ministero dell’Economia e delle finanze
monitora e controlla il progresso nell’attuazione di riforme e investimenti
e funge da unico punto di contatto con la Commissione Europea.
TORNA SU
10
febbraio 2021. Il Parlamento europeo approva il
Regolamento per i
Piani di ripresa e resilienza
Il regolamento istituisce il
dispositivo per la ripresa e la resilienza. Esso stabilisce gli obiettivi
del dispositivo, il suo finanziamento, le forme di finanziamento
dell'Unione erogabili nel suo ambito e le regole di erogazione di tale
finanziamento. L'ambito di applicazione del dispositivo fa riferimento alle
aree di intervento di pertinenza europea strutturate in sei pilastri:
a) transizione verde;
b) trasformazione
digitale;
c) crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva, che comprenda coesione economica, occupazione,
produttività, competitività, ricerca, sviluppo e innovazione, e un
mercato interno ben funzionante con PMI forti;
d) coesione sociale e
territoriale;
e) salute e resilienza
economica, sociale e istituzionale, al fine, fra l'altro, di rafforzare
la capacità di risposta alle crisi e la preparazione alle crisi;
f) politiche per la
prossima generazione, l’infanzia e i giovani, come l'istruzione e le
competenze.
L'obiettivo
generale del dispositivo è promuovere la coesione economica, sociale e
territoriale dell'Unione migliorando la resilienza, la preparazione alle
crisi, attenuandone l'impatto sociale ed economico, contribuendo
all'attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, sostenendo la
transizione verde, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi climatici
dell'Unione per il 2030 stabiliti nonché al raggiungimento dell'obiettivo
della neutralità climatica entro il 2050 e della transizione digitale,
contribuendo in tal modo all'integrazione delle economie dell'Unione e a
incentivare la creazione di posti di lavoro di alta qualità.
Il dispositivo finanzia
unicamente le misure che rispettano il principio di "non arrecare un danno
significativo".
Gli importi del fondo sono
specificati all'Art. 6, paragrafo 1, lettera a). Possono coprire anche
le spese connesse ad attività di preparazione, monitoraggio, controllo,
audit e valutazione necessarie per la gestione del dispositivo e per il
conseguimento dei suoi obiettivi, in particolare studi, riunioni di esperti,
consultazione dei portatori di interessi, azioni di informazione e
comunicazione, comprese azioni di sensibilizzazione inclusive, e la
comunicazione istituzionale in merito alle priorità politiche dell'Unione,
nella misura in cui si riferiscono agli obiettivi del presente regolamento,
spese legate a reti informatiche destinate all'elaborazione e allo scambio
delle informazioni, strumenti informatici istituzionali, e tutte le altre
spese di assistenza tecnica e amministrativa sostenute dalla Commissione ai
fini della gestione del dispositivo.
La Commissione può presentare
al Consiglio una proposta di sospensione totale o parziale degli impegni o
dei pagamenti se:
a) il Consiglio adotta
due raccomandazioni successive nella stessa procedura per squilibri
eccessivi, motivate dal fatto che uno Stato membro ha presentato un piano
d'azione correttivo insufficiente;
b) se il Consiglio adotta due
decisioni successive nella stessa procedura per squilibri eccessivi con cui
accerta l'inadempienza dello Stato membro per non aver adottato l'azione
correttiva raccomandata;
... d) se il Consiglio decide
che uno Stato membro non adempie al programma di aggiustamento
macroeconomico o alle misure richieste da una decisione del Consiglio.
L'ambito e il livello della
sospensione degli impegni o del pagamento da imporre sono proporzionati,
rispettano la parità di trattamento tra Stati membri e tengono conto della
situazione socioeconomica dello Stato membro interessato, in particolare del
livello di disoccupazione, povertà o esclusione sociale comparato alla media
dell'Unione e dell'impatto della sospensione sull'economia dello Stato
membro.
Gli Articoli 11, 12 e 13
fissano gli importi, le modalità e i tempi del finanziamento e del
prefinanziamento di ciascuno stato membro.
A norma dell'Art.17 e sgg.
gli Stati membri sono tenuti ad elaborare i loro PNRR che definiscono il
programma di riforme e investimenti. I PNRR ammissibili al finanziamento
comprendono misure per l'attuazione di riforme e investimenti pubblici,
strutturati in un pacchetto completo e coerente, che può anche includere
regimi pubblici finalizzati a incentivare gli investimenti privati. I PNRR
sono coerenti con le pertinenti sfide e priorità specifiche per paese. Sono
inoltre coerenti con le informazioni incluse dagli Stati membri nei
programmi nazionali di riforma nell'ambito del semestre europeo, nei piani
nazionali per l'energia e il clima (PNIEC), nei piani territoriali per una
transizione giusta finanziata con il "Fondo per una transizione giusta") e
nei piani di attuazione della garanzia per i giovani.
Il PNRR dev'essere
debitamente motivato e giustificato, in particolare con i seguenti elementi:
a) una spiegazione del
modo in cui, considerate le misure in esso contenute, il PNRR
rappresenta una risposta completa e adeguatamente equilibrata alla
situazione socioeconomica dello Stato membro e contribuisce pertanto in
modo appropriato a tutti i pilastri sopraindicati, tenendo conto delle
sfide specifiche dello Stato membro;
b) una spiegazione del
modo in cui il piano contribuisce ad affrontare in modo efficace tutte o
un sottoinsieme significativo delle sfide, inclusi i relativi aspetti di
bilancio;
c) una spiegazione
dettagliata del modo in cui il piano rafforza il potenziale di crescita,
la creazione di posti di lavoro e la resilienza economica, sociale e
istituzionale dello Stato membro, anche attraverso la promozione di
politiche per l'infanzia e la gioventù, e attenua l'impatto sociale ed
economico della crisi COVID-19, contribuendo all'attuazione del pilastro
europeo dei diritti sociali e migliorando così la coesione economica,
sociale e territoriale e la convergenza all'interno dell'Unione;
d) una spiegazione del
modo in cui il PNRR garantisce che nessuna misura per l'attuazione delle
riforme e degli investimenti in esso inclusi arrechi un danno
significativo agli obiettivi ambientali
e)
una spiegazione qualitativa del modo in
cui le misure previste dal piano
sono in grado di
contribuire alla transizione verde, compresa la biodiversità e ad
affrontare le sfide che ne conseguono, e che indichi se tali misure
rappresentano almeno il 37 % della dotazione totale del PNRR sulla base
della metodologia di controllo del clima di cui all'allegato VI; i
coefficienti di sostegno per gli obiettivi climatici possono essere
aumentati fino a un totale del 3 % delle assegnazioni del piano per i
singoli investimenti al fine di tenere conto delle misure di riforma
correlate che ne aumentano credibilmente l'impatto sugli obiettivi
climatici;
f) una spiegazione
paritetica del modo in cui le misure del piano dovrebbero contribuire
alla transizione digitale e che indichi se tali misure rappresentano un
importo pari ad almeno il 20 % della dotazione totale;
... i) i traguardi e gli
obiettivi previsti e un calendario indicativo dell'attuazione delle
riforme, nonché degli investimenti da completare entro il 31 agosto
2026;
j) i progetti di
investimento previsti e il relativo periodo di investimento;
k) la stima dei costi
totali delle riforme e degli investimenti oggetto del piano per la
ripresa e la resilienza presentato, fondata su una motivazione adeguata
e su una spiegazione di come tale costo sia in linea con il principio
dell'efficienza sotto il profilo dei costi e commisurato all'impatto
economico e sociale nazionale atteso;
... o) una spiegazione
del modo in cui le misure del piano dovrebbero contribuire alla
parità di genere e alle pari opportunità per tutti, come pure
all'integrazione di tali obiettivi, in linea con i principi del pilastro
europeo dei diritti sociali, nonché con lo UN SDG 5 e la strategia
nazionale per la parità di genere;
p) le modalità per il
monitoraggio e l'attuazione efficaci del PNRR compresi i traguardi e gli
obiettivi proposti e i relativi indicatori;
q) per la preparazione e,
ove disponibile, l'attuazione del piano, una sintesi del processo
di consultazione delle autorità locali e regionali, delle parti sociali,
delle organizzazioni della società civile, delle organizzazioni
giovanili e di altri portatori di interessi;
r) una spiegazione
riguardo al sistema predisposto dallo Stato membro per prevenire,
individuare e correggere la corruzione, la frode e i conflitti di
interessi nell'utilizzo dei fondi forniti nell'ambito del dispositivo e
le modalità volte a evitare la duplicazione dei finanziamenti da parte
del dispositivo e di altri programmi dell'Unione ...
La Commissione valuta il
piano per la ripresa e la resilienza o, se del caso, il suo aggiornamento
presentato dallo Stato membro entro due mesi dalla presentazione ufficiale,
e formula una proposta di decisione di esecuzione del Consiglio. In sede di
tale valutazione la Commissione agisce in stretta collaborazione con lo
Stato membro interessato. La Commissione può formulare osservazioni o
richiedere informazioni supplementari. Lo Stato membro interessato fornisce
le informazioni supplementari richieste e, se necessario, può rivedere il
piano anche dopo la sua presentazione ufficiale, per un periodo di tempo
ragionevole, se necessario.
Nel valutare il PNRR e nel
determinare l'importo da assegnare allo Stato membro interessato, la
Commissione tiene conto delle informazioni analitiche sullo Stato membro
interessato disponibili nell'ambito del semestre europeo, nonché della
motivazione e di ogni altra informazione pertinente tra cui, in particolare,
quelle contenute nel programma nazionale di riforma e nel piano nazionale
per l'energia e il clima di tale Stato membro, nei piani territoriali per
una transizione giusta, nei piani di attuazione della garanzia per i giovani
e, se del caso, le informazioni ricevute nell'ambito dell'assistenza tecnica
fornita dallo strumento di assistenza tecnica.
La Commissione valuta la
pertinenza, l'efficacia, l'efficienza e la coerenza del piano per la ripresa
e la resilienza e tiene conto dei seguenti criteri:
Pertinenza: se il
piano per la ripresa e la resilienza rappresenta una risposta globale e
adeguatamente equilibrata alla situazione economica e sociale,
contribuendo in modo adeguato a tutti e sei i pilastri, tenendo conto
delle sfide specifiche e della dotazione finanziaria dello Stato membro
interessato; se il è in grado di contribuire efficacemente a rafforzare
il potenziale di crescita, la creazione di posti di lavoro e la
resilienza economica, sociale e istituzionale dello Stato membro; se è
in grado di assicurare che nessuna misura per l'attuazione delle riforme
e dei progetti di investimento in esso inclusa arrechi un danno
significativo agli obiettivi ambientali; se prevede misure che
contribuiscono efficacemente alla transizione verde, compresa la
biodiversità, e alla transizione digitale, impegnando le quote del
finanziamento stabilite.
Efficacia: se il
PNRR è in grado di avere un impatto duraturo sullo Stato membro
interessato; se le modalità proposte dagli Stati membri interessati,
compresi il calendario e i target e gli obiettivi previsti, e i relativi
indicatori, sono tali da garantire un monitoraggio e un'attuazione
efficaci del piano.
Efficienza: se la
giustificazione fornita dallo Stato membro in merito all'importo dei
costi totali stimati del piano per la ripresa e la resilienza è
ragionevole e plausibile ed è in linea con il principio dell'efficienza
sotto il profilo dei costi, nonché commisurata all'impatto atteso
sull'economia e l'occupazione; se le modalità proposte dallo Stato
membro interessato sono tali da prevenire, individuare e correggere la
corruzione, la frode e i conflitti di interessi
e
a evitare la duplicazione dei finanziamenti da parte del dispositivo.
Coerenza: se il
PNRR prevede misure per l'attuazione di riforme e di progetti di
investimento pubblico che rappresentano azioni coerenti.
Se
il piano per la ripresa e la resilienza non risponde in misura soddisfacente
a questi criteri, allo Stato membro interessato non è assegnato alcun
contributo finanziario.
Se il piano, compresi i
pertinenti traguardi e obiettivi, non può più essere realizzato, in tutto o
in parte, dallo Stato membro interessato a causa di circostanze oggettive,
lo Stato membro interessato può presentare alla Commissione una richiesta
motivata e proporre un piano modificato o un nuovo piano. Gli Stati membri
possono chiedere assistenza tecnica per l'elaborazione di tale proposta.
Se,
entro il termine di 18 mesi dalla data di adozione della decisione di
esecuzione del Consiglio, non sono stati compiuti progressi concreti da
parte dello Stato membro interessato per quanto riguarda il conseguimento
dei pertinenti target intermedi o finali, la Commissione risolve gli accordi
e disimpegna l'importo del contributo finanziario. Qualsiasi eventuale
prefinanziamento è recuperato integralmente.
Alla Commissione è conferito
il potere, entro la fine di dicembre 2021, di stabilire gli indicatori
comuni da utilizzare per riferire sui progressi e ai fini del monitoraggio e
della valutazione del dispositivo per quanto riguarda il raggiungimento
degli obiettivi generali e specifici e definire una metodologia per la
rendicontazione della spesa sociale, anche a favore dell’infanzia e della
gioventù. Gli Stati membri riferiscono alla Commissione in merito agli
indicatori comuni.
Il
documento si conclude con 7+1 allegati indispensabili per i conteggi e le
valutazioni di merito In particolare, l'Allegato VI, denominato
"Metodologia di controllo del
clima" fornisce le dimensioni e codici delle tipologie di intervento per il
dispositivo per la ripresa e la resilienza con i coefficienti per il calcolo
del sostegno agli obiettivi in materia di cambiamenti climatici.
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28 Gennaio 2021. Scompare Paul Crutzen, Padre dell'Antropocene

Paul
J. Crutzen se ne è andato il 28 gennaio all'età di 87 anni. Crutzen ha
scoperto come gli inquinanti atmosferici possono distruggere l'ozono
stratosferico, che protegge la Terra dalle dannose radiazioni ultraviolette.
Ha condiviso il Premio Nobel 1995 per la chimica per questo lavoro con F.
Sherwood Rowland e Mario J. Molina, che avevano dimostrato che tali
inquinanti includevano i clorofluorocarburi.
Combinando
una ricerca rigorosa con un dono per la comunicazione, Crutzen ha introdotto
il termine "Antropocene" per descrivere quella che considerava una nuova
epoca, caratterizzata dal predominio umano dei processi biologici, chimici e
geologici sulla Terra. Il termine ha subito preso piede e stimolato la
discussione in molte discipline. Si ritiene che l '"età degli esseri umani"
sia iniziata a metà del XX secolo, con l'accelerazione dello sfruttamento
delle risorse del pianeta.
Crutzen è
nato ad Amsterdam, nel 1933, e si è formato come ingegnere civile. Negli
anni '60, ha studiato meteorologia all'Università di Stoccolma, mentre
lavorava come programmatore di computer per sostenere la moglie finlandese,
e la famiglia. Come studente laureato, ha combinato le sue capacità di
programmazione e scientifiche costruendo un modello informatico della
stratosfera. Mentre cercava di spiegare la distribuzione dell'ozono a
diverse altezze, ha scoperto che gli ossidi di azoto potrebbero catalizzare
le reazioni che distruggono l'ozono. All'inizio degli anni '70, quando gli
scienziati iniziarono a discutere i livelli di ossidi di azoto che
probabilmente sarebbero stati emessi dalle flotte di aerei supersonici, si
rese conto che le emissioni antropiche potevano danneggiare lo strato di
ozono stratosferico. Il suo lavoro coincise con quello di Molina e Rowland,
che scoprirono che anche i composti contenenti cloro potevano essere
utilizzati come propellenti, solventi e refrigeranti. Nel 1985, gli
scienziati hanno scoperto un "buco" nello strato di ozono sopra l'Antartico.
Crutzen ha contribuito a gettare le basi del Protocollo di Montreal del
1987, i cui stati firmatari si sono impegnati a eliminare gradualmente le
sostanze che riducono lo strato di ozono. Lo strato di ozono ora mostra
segni di ripresa.
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12 gennaio 2021. Il governo pubblica un PNRR inadeguato
Nella bozza del PNRR, presentata dal
Consiglio dei ministri il 12 gennaio, v’è una grande questione politica:
l’inadeguatezza di una proposta molto lontana da quanto ci si sarebbe
aspettati oltreché dagli standard europei. Il programma europeo NGEU,
Next Generation EU, mette a disposizione risorse senza precedenti
per il nostro Paese, ma per ricostruire meglio e in modo diverso, con
innovazione, sostenibilità, attenzione al disagio sociale e alle
disuguaglianze cresciute in questi anni. Nel testo del 12 gennaio, non c’è
l’Allegato con le schede progetto necessarie per comprendere la concreta
articolazione delle proposte.
Questa situazione chiama in causa Governo ed
opposizione, cui si chiede di parlare al Paese del merito delle proposte,
della visione che si vuole portare avanti in modo da andare oltre le scelte
ordinarie. È inaccettabile che si dica che non ci sono i tempi per aprire un
confronto su queste proposte, pena problemi con Bruxelles e ritardi nel far
partire i cantieri.
Gli obiettivi del piano italiano sono
numerosi e raggruppati in ben 6 missioni. NGEU è invece centrato su pochi
obiettivi, con una priorità molto chiara: un Green Deal basato sulla
transizione digitale e green, con il 37% delle risorse destinato alle misure
per il clima. Il Piano francese, a sua volta, è centrato su tre missioni:
la transizione ecologica, la competitività con la digitalizzazione e la
coesione basata su un programma per i giovani. L’allargamento degli
obiettivi priva il Piano italiano di effettive priorità e rischia di
renderne più complessa e più difficile l’attuazione.
Per la transizione ecologica, il Piano
stanzia 69 Mld, dei quali però solo 36 sono per nuovi progetti. Circa 31 Mld
sono, infatti, destinati a sostituire finanziamenti già stanziati per
progetti già in essere e per arrivare al totale sono conteggiati anche altri
finanziamenti europei già stanziati. Sarebbero disponibili quindi solo 6 Mld
l’anno, in media, fino al 2026. Gli obiettivi sono numerosi: rendere la
filiera agroalimentare sostenibile, implementare pienamente il paradigma
dell’economia circolare, ridurre le emissioni di gas serra in linea con gli
obiettivi EU 2030, incrementare la produzione di energia da fonti
rinnovabili e sviluppare la rete di trasmissione, promuovere e sviluppare la
filiera dell’idrogeno, sostenere la transizione verso mezzi di trasporto non
inquinanti e le filiere produttive, migliorare le performance energetiche e
antisismiche degli edifici, assicurare la gestione sostenibile della risorsa
idrica, contrastare il dissesto idrogeologico e un programma di
riforestazione e miglioramento della qualità delle acque interne e marine.
La carenza maggiore si riscontra nella
ripartizione delle risorse per finanziare nuovi interventi. Gli investimenti
per le nuove misure climatiche non solo non sono ingenti, come dichiarato,
ma non sono neppure il 37%. Si sente la mancanza di un aggiornamento del
PNIEC, il Piano nazionale integrato energia e clima, e quindi della
individuazione delle misure necessarie per arrivare al 2030, ma ci sono solo
1,3 Mld l’anno in più per tutte le rinnovabili, per la filiera e le reti e
poco altro per tutto il resto delle misure. Meglio le misure per l’efficientamento
energetico degli edifici sia pubblici sia privati. Largamente inadeguati gli
stanziamenti per l’economia circolare. Per la mobilità urbana sostenibile
ci sono solo 760 Ml l’anno che dovrebbero servire per un numero elevato di
misure (le ciclovie, la filiera dei veicoli elettrici e ibridi, il rinnovo
della flotta autobus, di quella dei treni regionali e dei trasporti navali
regionali e per il trasporto rapido di massa) con quasi nulla sul tema
strategico della sharing mobility.
Chi si aspettava proposte innovative si trova
di fronte a un documento desolante in particolare rispetto al sistema dei
trasporti dove si rinuncia ad aggredire gli storici ritardi italiani. I
cittadini del Mezzogiorno non vedranno cambiare quanto si attendevano una
situazione di linee ancora a binario unico, non elettrificate, con
pochissimi treni in circolazione. Si punta ancora sui grandi cantieri
infrastrutturali con un elenco di ferrovie ad alta velocità, oltretutto in
larga parte già finanziate, come la Brescia-Padova, la Milano-Genova, la
Napoli-Bari.
Come sempre per le città il ruolo è
marginale, con i titoli giusti – decarbonizzazione, rinnovo del parco
circolante, riduzione del gap infrastrutturale – ma con risorse del tutto
inadeguate. Il vero deficit è, inutile dirlo, sui mancati investimenti per
le città ed il trasporto locale
Che fare quindi per rendere effettivamente
prioritarie le nuove misure per il Green Deal, che non è solo
richiesto dall’Europa, ma è importante per cogliere e valorizzare i
potenziali molto elevati di sviluppo della green economy italiana? Ci
sarebbero almeno tre possibilità: distribuire fra tutte le 6 missioni in
modo più equo i 66 miliardi di finanziamento dei progetti in essere,
lasciando così più risorse disponibili per nuovi progetti; ridurre la gamma
degli interventi per concentrare maggiori risorse sulle priorità del
Green Deal; usare una parte del prestito del MES per coprire almeno una
parte dei 18 miliardi previsti per la salute e liberare così parte delle
risorse per altre destinazioni.
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15 novembre 2020. Un nuovo capitalismo del bene comune
Apparsa
agli onori della cronaca più larga per aver rifiutato la propria firma al
cosiddetto Piano Colao per il rilancio dell'economia italiana, Mariana
Mazzucato elabora una visione nuova, non rivoluzionaria, di un capitalismo
mosso dall'interesse pubblico. Il fallimento totale del capitalismo
globalizzato e finanziarizzato, prima nella crisi subprime del 2008
e oggi nella gravissima crisi globale del Covid -19, impone cambiamenti
immediati e sostanziali degli assetti dell'economia mondiale e
l'indirizzamento degli investimenti verso lo sviluppo sostenibile e la green
economy, con al centro il recupero della salute, della qualità della
crescita e la riparazione degli immensi danni apportati dal capitalismo alla
società e al benessere. Con il Covid le imprese, che hanno accumulato denaro
a non finire, bussano alla porta dei governi implorando miserabilmente
risorse per la sopravvivenza e si preparano a nuovi cicli di accumulazione,
tagli e licenziamenti. Tutto ciò è improponibile e solo un rinnovato ruolo
degli Stati, in nome della salute e del benessere dei cittadini potrà
riportare sulla scena una
dimensione di un futuro possibile.
Il nostro invito è alla
lettura della Mazzucato, in particolare del pamphlet "Non
sprechiamo questa crisi"
pubblicato da Laterza e diffuso
da Repubblica, che, ricordiamo è ora un giornale di un gruppo
imprenditoriale torinese, non noto per la sua inclinazione all'innovazione.
L'autrice insegna economia a Londra dove ha fondato lo IIPP, Institute
for Innovation and Public Purpose.
Oggi ci si presenta
l'occasione di approfittare di questa crisi per capire come fare capitalismo
in modo diverso. Occorre ripensare il ruolo dello Stato: i governi
dovrebbero assumere un ruolo attivo per una crescita sostenibile ed
inclusiva, per orientare la ricerca e lo sviluppo ad obiettivi di interesse
pubblico e per patrocinare partnership pubblico
- private guidate dall'interesse pubblico. Quando le aziende si fanno avanti
con richieste di salvataggio o assistenza si devono dettare condizioni
affinché gli investimenti le portino verso la green economy, la
decarbonizzazione in una chiave di inclusione sociale.
Il capitalismo che
conosciamo è preda al contempo di una crisi sanitaria, economica e
climatica. Ora che lo Stato è tornato a recitare un ruolo da protagonista,
sarà esso stesso a fornire le soluzioni pensate in modo da servire
l'interesse pubblico. Le aziende che ricevono risorse pubbliche dovranno
essere obbligate a mantenere i posti di lavoro e garantire la formazione dei
dipendenti ora nella crisi, poi nella transizione e il miglioramento delle
condizioni occupazionali. gli interventi pubblici dovranno comportare degli
obblighi, come quello di vincolare le imprese ad abbattere le emissioni
serra, rinunciare alla d elocalizzazione
e minimizzare l'outsourcing.
Gli imprenditori sono
inclini a socializzare i rischi ma non i guadagni. Nella crisi chiedono
aiuti, ma quando l'economia prospera
i vantaggi restano rigorosamente privati. Nella loro visione solo le imprese
creano valore e lo Stato si deve limitare a facilitare questo processo. In
realtà è il concetto stesso di valore che va ridefinito perché abbiamo
confuso il valore con il prezzo di mercato e questo ha alimentato la
diseguaglianza e distorto il ruolo del settore pubblico il quale invece,
attraverso la produzione di beni pubblici (istruzione, sanità ...) e la
sorveglianza dei beni comuni (cultura, paesaggio, ambiente
...), produce eccome valori che non hanno prezzo, ben lontani dal
mercato.
La ripresa post - Covid
dovrà essere green e smart. I mercati da soli non riusciranno
a individuare percorsi di crescita
sostenibili ed equi. Innovazione e regolamentazione dovranno muoversi in una
direzione stabile e coerente. Il fatto di subordinare la concessione degli
aiuti pubblici al rispetto di determinate condizioni contribuisce a
canalizzare le risorse economiche in modo strategico, garantendo che vengano
reinvestite in maniera produttiva
piuttosto che essere catturate dalla speculazione. Se ben applicate le
condizionalità possono allineare i comportamenti delle aziende ai bisogni
della società, garantendo uno sviluppo sostenibile. Inoltre, per evitare
conseguenze permanenti, l'approccio della Just transition, elaborato
nell'ambito del cambiamento climatico, deve essere implementato in tutti i
settori brown dell'economia per dare vita a posti di lavoro green e
durevoli. Occorre ripristinare
il paradigma keynesiano della piena occupazione, sotto tutti gli aspetti un
bene comune, sotto forma di un sistema di garanzie tale da far sì che il
capitale umano non
vada sprecato né si deteriori.
La sfida a lungo termine più
importante che dobbiamo affrontare è il cambiamento climatico. Lo si può
fare solo con un Green Deal di pari forza della trasformazione
socioeconomica keynesiana del dopoguerra Di essa i principali attori, da
Parigi in poi, sono gli Stati, non le imprese. Per questo abbiamo bisogno di
piani e programmi per implementare una transizione green. Si rende
necessaria una nuova era di investimenti pubblici per riorganizzare il
nostro panorama tecnologico, produttivo e sociale.
Le cose da fare
-
Indirizzare la produzione e la distribuzione di attrezzature richieste
con urgenza;
-
Governare il rischio e premiare la ricerca sul Covid -19;
-
Salvataggi per le missioni pubbliche, occupazione, migliori condizioni
di lavoro, condizioni smart e green, stato sociale e
sistema sanitario.
Le cose da non fare
-
Chiusure aziendali;
-
Pratiche finanziarizzate
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19 settembre 2020.
La nuova strategia
comunitaria per il 2030
La Commissione Europea ha pubblicato un documento di grande importanza che
sposta in avanti gli obiettivi climatici ed energetici al 2030. Al termine
del processo di co-decisione i nuovi obiettivi diverranno obbligatori per i
Paesi membri. Le conclusioni del documento:
Rafforzare l'ambizione climatica dell'Europa per il 2030. Investire in un
futuro climaticamente neutro a beneficio delle nostre persone,
sono le seguenti.
Aumentare l'ambizione dell'UE fino a ridurre le emissioni di gas a effetto
serra del 55% rispetto al 1990 entro il 2030 è fattibile e vantaggioso per
la salute, la prosperità e il benessere dei nostri cittadini. Senza
sottovalutare la sfida di mobilitare significativi investimenti aggiuntivi
nel prossimo decennio e di promuovere una transizione giusta e, nel contesto
della ripresa COVID-19, si offre così un'opportunità di investimenti
duraturi che possono rilanciare l'economia dell'UE. Una maggiore ambizione
per il 2030 contribuirà a un percorso di riduzione delle emissioni più
graduale e ad una transizione economica e sociale più equilibrata verso la
neutralità climatica nei prossimi 30 anni. Pertanto, sarà più credibile, più
prudente e più equa rispetto alle generazioni future.

Agire in modo ambizioso fornirà all'UE e alle sue imprese e industrie il
vantaggio di prime mover nell'arena economica internazionale,
aumentando la sua competitività nei mercati globali in crescita per le
tecnologie sostenibili e verdi. Altrettanto importante è che il
miglioramento dell'ambizione porterà vantaggi, insieme alla lotta al
cambiamento climatico, come la riduzione del costo di importazione di
combustibili fossili, una maggiore sicurezza energetica, inquinamento
atmosferico ridotto, salute migliore, biodiversità migliorata, minore
dipendenza da materie prime importate e meno rischi derivanti dai rifiuti.
Accoppiato con l'aumento delle energie rinnovabili e le politiche di
efficienza energetica, taglierà i costi energetici per famiglie e aziende e,
a condizione che gli impatti sociali siano affrontati, contribuirà ad
alleviare la povertà energetica e alla crescita e all'occupazione. I
cittadini, le imprese e le parti sociali dell'UE richiedono maggiore
certezza e prevedibilità sulla via verso la neutralità climatica. Pertanto,
la Commissione sta modificando la sua proposta per la prima legge europea
sul clima oggi, aggiungendo un obiettivo per il 2030 di
almeno il 55% di riduzioni nette delle
emissioni di gas serra rispetto al 1990. Questo sarà l'inizio per un
percorso possibile affinché l'UE diventi climaticamente neutra entro il
2050.
La Commissione invita il Parlamento europeo e il Consiglio a raggiungere
rapidamente un accordo e adottare il regolamento della legge europea sul
clima. Nel corso dei prossimi nove mesi, la Commissione riesaminerà la sua
legislazione energetica. La presente comunicazione individua già le opzioni
chiave per modificarla. La Commissione è convinta che tutti gli strumenti
politici rilevanti per la decarbonizzazione della nostra economia devono
lavorare in modo coerente per raggiungere gli obiettivi. Un rinforzato
schema ETS, un maggiore utilizzo dello scambio di quote di emissioni a
livello dell'UE, una efficienza energetica più severa e molta più energia
rinnovabile avranno tutti un ruolo importante nel raggiungimento degli
obiettivi green europei. Lo stesso vale per le politiche energetiche,
gli strumenti a sostegno della mobilità e dei trasporti sostenibili,
l'economia circolare e le politiche ambientali, agricole, finanziarie, la
ricerca e l'innovazione industriale.
Sarà predisposto un ampio dibattito pubblico e ad un processo di
consultazione con il Parlamento, il Consiglio, il Comitato economico e
sociale e il Comitato delle Regioni, i parlamenti nazionali e tutti i
cittadini e le parti interessate attraverso il Patto europeo per il clima,
ma anche la prossima Conferenza sul futuro dell'Europa: la Commissione
preparerà le principali proposte legislative necessarie entro giugno 2021.
Questo processo dovrebbe aprire la strada alla loro successiva rapida
adozione e dare tempo sufficiente a tutti i protagonisti per raggiungere
inel 2030 i nuovi obiettivi per il clima e l'energia.
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02 Agosto 2020. Toni Federico: Clima ed energia: le chiavi per uscire dalla
crisi pandemica
Il
Recovery Plan.
Un Recovery
Plan da 750 Mld€,
finanziato con modalità di tipo federalistico, porterà all’Italia tra
sovvenzioni e prestiti 209 Mld€, un terzo dei quali obbligatoriamente da
investire nella lotta ai cambiamenti climatici. Per accedere a questi fondi
ci viene chiesto di presentare entro il prossimo ottobre un Piano nazionale
di riforme e di investimenti pubblici che definisca quella che sarà la
transizione energetica ed industriale dell’Italia nei prossimi tre decenni.
La proposta della Commissione prevede che l’utilizzo delle risorse del
Recovery Fund sia finalizzato a investimenti in grado non solo di
affrontare l’emergenza, ma di assicurare un futuro alle prossime
generazioni. Può dare grande impulso all’occupazione, con attenzione ai
processi di conversione industriale e di formazione dei lavoratori e dei
giovani. Il Green Deal deve costituire l’elemento di condizionamento
e di guida della ripresa, in nome del quale l’azione dei Governi europei e
della finanza pubblica riprendono il ruolo di indirizzo dell’attività delle
imprese abbandonato in nome del dettato neo-liberista, quello stesso che ha
aggravato le diseguaglianze a livello mondiale, che ha scaricato sui
lavoratori il peso delle sue utilità e che si dimostrato fallimentare
proprio a fronte della pandemia. Il Green Deal non è una fuga in avanti
ambientalista, ma un solido programma popolare condiviso dalla maggior parte
dei Paesi membri.
Le prime misure da mettere in campo sono quelle per il raggiungimento di
target più ambiziosi al 2030, -55% ed oltre di riduzione delle emissioni
GHG, che richiedono notevoli investimenti nella transizione energetica,
nell’efficienza e nel risparmio energetico, nello sviluppo delle
rinnovabili, nella elettrificazione della mobilità di passeggeri e merci e
nelle tecnologie per l’idrogeno green e per la cattura e il sequestro del
carbonio. Il cambiamento verso un modello circolare di economia, promosso
anche dalle nuove direttive europee nella necessaria funzione di
accompagnamento della lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento,
richiede investimenti nei processi e nei prodotti industriali, per
prolungarne la durata, migliorarne la riparabilità e le possibilità di
riuso, per renderli più facilmente riciclabili e per aumentare l’impiego di
materie prime seconde.
Accanto alle fonti di energia rinnovabile, l’altra grande dimensione della
transizione energetica è l’efficienza, che non è solo risparmio, ma
soprattutto innovazione tecnologica e gestione del territorio. L’efficienza
dovrà essere interpretata a livello locale, nelle città, investendo in
progetti di nuova rigenerazione urbana che comprenda non solo i tradizionali
interventi di recupero di edifici e di aree dismesse, ma misure di
mitigazione e adattamento climatico e un potenziamento delle infrastrutture
verdi.
Non ultima
per importanza va ridefinita la strategia agroalimentare europea secondo il
modello
Farm to Fork, per garantire la
sostenibilità della produzione e la sicurezza dell’approvvigionamento
alimentare, per promuovere un consumo alimentare sostenibile e ridurre le
perdite e gli sprechi ma anche per assecondare il processo generale di
transizione e l’uso del territorio nella chiave climatica.
L’impegno di risorse necessarie per il Green Deal è stato calcolato,
nel documento di lavoro che accompagna la Comunicazione della Commissione
europea del 27 maggio, in 470 Mld€, così suddivisi: 30 per le rinnovabili,
190 per l’efficienza energetica, 120 per la mobilità sostenibile, 77 per
altre misure per il clima e l’ambiente e 53 per l’economia circolare e la
gestione delle risorse. È fuori strada pertanto chi pensa all’apertura di
una sorta di bancomat dove ciascun Paese possa prelevare soldi, solo con
limiti quantitativi, per spenderli come vuole, senza tener conto degli
indirizzi e delle priorità indicate a livello europeo.
Il 30%
destinato al Green Deal.
L’azione per il clima - si dice nel testo delle conclusioni del Consiglio
del 21 luglio - sarà integrato nelle politiche e nei programmi finanziati
nell’ambito del QFP e di Next Generation EU per il 30% dell’importo
totale della spesa, pari per l’Italia a 62,7 Mld€. La condizione è che gli
obiettivi devono conformarsi entro il 2050 alla neutralità climatica e ai
nuovi milestone climatici dell’Unione per il 2030, che verranno aggiornati
entro fine 2020. Un monitoraggio della spesa per il clima e della sua
efficienza, incluse la rendicontazione e misure pertinenti in caso di
progressi insufficienti, dovrebbe garantire che il prossimo QFP nel suo
complesso contribuisca all’attuazione dell’accordo di Parigi. La Commissione
riferirà annualmente in merito alle spese per il clima.
Per rispettare queste condizionalità è opportuna l’applicazione al Recovery
Plan della Tassonomia europea per gli investimenti sostenibili e green,
stabilendo più chiaramente che si può finanziare una serie di progetti che
hanno effetti positivi per una serie di obiettivi climatici e ambientali e
che comunque non li devono in ogni caso danneggiare. La misura è formulata
in modo generico e potrebbe essere facilmente aggirabile dai Piani
nazionali.
L’altro pilastro del Green Deal, è l’economia circolare che invece è
molto indebolita nelle indicazioni europee del Recovery Plan. Senza economia
circolare non vi può essere né economia climaticamente neutra, né Green
Deal: da qualche parte questa indicazione per i Piani nazionali dovrebbe
essere ben più chiara. Nel conclusioni del Consiglio si trovano diversi
riferimenti all’agricoltura e alla PAC, ma non al Green Deal e alla
transizione alla neutralità ben declinati dalla recente strategia europea
Farm to Fork tanto che anche l’indicazione del 40% dei fondi per
l’agricoltura a misure climatiche risulta indebolita.
Si consulti il bel
Rapporto di Luigi
di Marco sulle iniziative europee pre e post
pandemia, Green Deal e New Generation EU.
Il
2019 e la pandemia.
Secondo le indicazioni di Italy4climate la pandemia ci riserva una
prospettiva di sostanziale incertezza. Non possiamo anzitutto nascondere la
situazione come si presentava a fine 2019: si chiude il decennio più caldo
mai registrato in Italia, con 13,4 °C di temperatura superficiale media; tra
il 2008 al 2019 cresce di 10 volte il numero di eventi estremi in Italia,
fino a 1600; le emissioni! di gas serra non diminuiscono sensibilmente da
sei anni, stazioniamo sopra i 420 MtCO2eq;
l'efficienza energetica dell'economia da diversi anni non migliora più e
permane intorno a 93 tep/M€; in sei anni in Italia le rinnovabili elettriche
crescono meno che nel resto d'Europa (+3%) anche se erogate a prezzi
inferiori, mediamente meno di 5 €cent/kWh. Cala a 20 TWh la produzione
elettrica da carbone, così consentendo la discesa dell’impronta carbonica
dell’energia elettrica a 289 gCO2/kWh,
mentre ne viene confermato il phase-out entro il 2025; le emissioni dei
trasporti, pur con meno auto diesel vendute, salgono in media a 119 gCO2/km.
Gli effetti sensibili della pandemia ci stanno dicendo che solo nei mesi di
marzo e aprile 2020 abbiamo ridotto le emissioni di oltre 20 MtCO2
rispetto all’anno precedente. Nella fase di piena operatività delle misure
di restrizione, la riduzione delle emissioni è stata intorno al 35% che, al
di là delle apparenze, è in realtà molto vicina a quello che dovrebbe essere
il taglio da raggiungere in appena un decennio per centrare gli obiettivi di
Parigi e non far precipitare la crisi climatica. Questo ci mostra in maniera
molto chiara la dimensione dello sforzo che dovremmo fare nei prossimi anni
e anche la distanza dall’obiettivo di contenimento del cambiamento
climatico.
Per altro
verso, dopo la flessione record registrata ad Aprile in pieno lockdown, il
bollettino di Terna per il mese di maggio evidenzia una decisa
ripresa dei consumi elettrici (+10%) rispetto al mese precedente, per un
totale di 22,7 TWh di elettricità consumata, di cui il 94,4% è stata
soddisfatta con produzione nazionale. Il maggio appena trascorso rispetto
allo stesso mese del 2019 ha fatto segnare un -10%. In questo contesto
spicca però un importante record positivo: il 51% della domanda nazionale di
elettricità è stato coperto da fonti rinnovabili, il valore mensile più alto
di sempre. Nello stesso periodo del 2019, la domanda di energia elettrica
coperta da FER è stata del 41%. A maggio la produzione di elettricità da
fonti rinnovabili è cresciuta dell’12% rispetto allo stesso mese del 2019 e
la produzione fotovoltaica, pari a 2,9 TWh, ha superato del 25% il maggio
2019. Quella eolica, pari a 1,8 TWh vale un +6,3%.
Le
nostre proposte per la ripresa.
Poiché è previsione facile e condivisa che l’atteso rimbalzo del PIL
post-Covid si trascinerebbe dietro tutte le variabili energetiche, è
evidente la necessità di giocare d’anticipo e quindi la priorità da
riservare al rilancio delle fonti rinnovabili e dell’elettrificazione
nell’impiego dei primi investimenti che vanno fatti con i fondi europei. Non
certo nuove autostrade e nuova cementificazione, ma molte più rinnovabili
elettriche, un forte impulso all’autoproduzione elettrica,
all’elettrificazione dei trasporti, e finalmente la realizzazione della
smart grid elettrica dotata di intelligenza e capacità di stoccaggio.
Quest’ultima, e non certo la rete 5G, è la vera innovazione telematica per
portare energia rinnovabile a tutti. Certamente portare Internet a tutti è
parte integrante del rilancio, ma conta di più l’estensione territoriale e
l’alfabetizzazione informatica generalizzata che non l’alta velocità
telefonica e il relativo abuso delle piattaforme social con cui le compagnie
telefoniche fanno soldi solo nei centri urbanizzati più densi e più ricchi.
Non basta
tuttavia promuovere il solo consumo delle rinnovabili, occorre spostare il
sistema industriale dall’attuale attitudine soporifera e misoneista verso le
produzioni green che possono garantire un gran numero di nuovi posti di
lavoro e il recupero di una competitività sui mercati sempre più
compromessa.
Tra queste va favorita l’introduzione dell’idrogeno green come vettore
energetico rinnovabile, prodotto mediante l’energia solare e l’elettrolisi
dell’acqua.
Parliamo
anche di elettrificazione rinnovabile dei trasporti
pubblici e
privati puntando sulla mobilità dolce, rilanciata a livello mondiale dalla
pandemia, sull’idrogeno verde, sulle celle a combustibile per il trasporto
pesante e sulle facility pubbliche e domestiche per la ricarica delle
batterie, accompagnate da un programma di costruzione di stazioni di
ricarica di potenza in tutte le stazioni di servizio e on demand.
Sicuramente l’Europa provvederà alla standardizzazione dell’hardware per la
ricarica. Occorre una ulteriore promozione della ferrovia, passeggeri e
merci, con la introduzione dell’obbligo dei veicoli elettrici per la
logistica merci dell’ultimo km. Agli scettici ricordiamo che sono Amazon e
company ad aver ormai sviluppato tutta l’intelligenza artificiale che serve
per consegnare le merci. Inutile stare a guardare. Per i trasporti
extraurbani niente asfalto o cementificazione aggiuntivi ma manutenzione del
capitale infrastrutturale costruito. Lungo questo percorso non si comprende
l’incentivazione dei mezzi benzina e diesel Euro 6 introdotta dal Governo
nel Decreto rilancio né l'attenuazione delle garanzie ambientali dei appalti
adombrate nelle proposte di semplificazione.
Investimenti vanno ad un ulteriore sviluppo dell’efficienza energetica,
nella quale l'Italia è meno in ritardo. Si tratta di riduzione e controllo
dei consumi, ma anche di innovazione tecnologica. Va riqualificato il
patrimonio edilizio con investimenti e incentivi per l’edilizia a consumi ed
emissioni zero, apportatori di buona e nuova occupazione. Il riscaldamento e
il raffreddamento devono al più presto abbandonare il gas naturale in favore
delle pompe di calore, dispositivi elettrici reversibili dal caldo al
freddo, riqualificando la progettazione degli edifici. Tra le lezioni della
pandemia emerge con forza, nel panorama dell’efficienza, la pratica dello
smart working, che sta dando prove straordinarie in fatto di economie di
sistema, risparmio energetico, mitigazione della mobilità delle persone,
connettività sociale e innovazione tecnologica.
Riscrivere il PNIEC italiano.
C’è n’è più che abbastanza per riscrivere l’obsoleto PNIEC italiano, con un
rapido adeguamento delle misure e degli impegni alla roadmap 2050 della
decarbonizzazione europea del Green Deal e un percorso pianificato per
ridurre le emissioni GHG almeno del 55% al 2030. Ricordiamo che i PNIEC sono
documenti ufficiali dell’Unione che possono fortemente condizionare
l’erogazione dei fondi. La flebile Legge sul clima italiana va riscritta,
rimessa al passo con la legge europea e dotata di strumenti attuativi e
finanziari all’altezza degli obiettivi. La Commissione Europea ha preparato
in marzo per il Parlamento e il Consiglio una Climate Law che propone
il target della decarbonizzazione al 2050 come obbligatorio (legally
binding) per tutti i paesi membri e nuovi obiettivi per il 2030.
Ribadiamo che per stare sul percorso di Parigi è richiesta la conferma del
phase out totale del carbone al 2025 con la riduzione del ricorso al gas
naturale per energia, riscaldamento e trasporti in favore dell’uso del
biometano e dell’idrogeno green. Con le dovute cautele l’Italia deve
associarsi ai progetti per la CCS e BECCS a scala europea ed internazionale
evitando le fughe in avanti come il Progetto Ravenna dell’ENI. Va promossa
la ricerca scientifica sul DAC e sui gravi rischi della geoingegnerizzazione
del clima.
Preso atto
dell’aumentato sforzo delle Amministrazioni pubbliche per fare fronte al
dissesto idrogeologico e al grave degrado delle infrastrutture e del
patrimonio architettonico, va prontamente strutturato e dotato di risorse il
Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, a partire dalla Strategia
esistente ma
in una chiave rafforzata dagli orientamenti del Green Deal. Sull’onda dei
recenti disastri di Genova, Venezia, Palermo e di altri ancora si dimostra
una sinergia sistemica tra queste tematiche e quelle della protezione della
salute, che hanno in comune i fattori organizzativi, le finalità ed anche le
origini nelle quali si riconoscono gli effetti della violazione degli
assetti naturali e degli habitat degli organismi viventi.
Fiscalità
ed incentivi dannosi.
Una sempre rinviata riforma fiscale ecologica è chiamata ad adeguare le
accise sui carburanti, a parità di gettito, in funzione del contenuto in
carbonio dei combustibili. Una meditata riflessione deve portare l’Italia
all’adozione progressiva di una Carbon Tax generalizzata e alla adozione
della Border Tax del Green Deal europeo, equilibrando un prezzo unitario per
le emissioni di carbonio tra i settori ETS a controllo europeo e gli altri
settori, in particolare civile e trasporti. Dopo interminabili esitazioni va
normato con target e scadenze il percorso per la eliminazione degli
incentivi ambientalmente dannosi a partire dai combustibili per aviazione
civile, autotrasporto, agricoltura e pesca. Si tratta qui non solo e non
tanto di offrire compensazioni economiche ai settori colpiti, quanto di
offrire alternative sistemiche e dispositivi alternativi, tecnologicamente
basati sulle fonti rinnovabili, in particolare sull’idrogeno green.
Si attende un nuovo protagonismo dell’Italia nei rapporti multilaterali,
dove clima energia e salute sono la nota dominante. Ci riferiamo al G7 al
G20 di Roma del 2021 ma soprattutto alla COP 26, vera occasione mancata
dall’Italia che avrebbe dovuto esserne Presidente e protagonista e che ora
si trova nel ruolo di comprimaria con il Regno Unito, appena uscito
dall’Unione. Nonostante le enormi difficoltà finanziarie del nostro Paese
non si vede come ci si possa esimere dall’invocare che l’Italia, partner
della Coalizione dei Paesi ambiziosi, onori i propri impegni per il
finanziamento del Green Climate Fund, quest’anno alla scadenza
dell’obiettivo dei 100 GUS$/anno, ma lontanissimo da questo target.
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11 Dicembre 2019. In dieci punti il
Green Deal di
Ursula von der Leyen.
Finalmente l'Europa al rango programmatico che le appartiene
-
Europa "climate neutral".
Questo è l'obiettivo generale del Green Deal europeo. L'UE
punterà a raggiungere emissioni di gas serra nette pari a zero entro il
2050, un obiettivo che sarà sancito da una "legge sul clima" che sarà
presentata nel marzo 2020. Ciò significa aggiornare l'ambizione
climatica dell'UE per il 2030, con una riduzione del 50-55% delle
emissioni di gas serra per sostituire l'attuale obiettivo del 40%. Il
dato del 55% sarà soggetto a un'analisi costi-benefici. La Commissione
non vuole lasciare nulla di intentato e prevede di rivedere tutte le
leggi e i regolamenti dell'UE al fine di allinearli ai nuovi obiettivi
climatici. Ciò inizierà con la direttiva sulle energie rinnovabili e la
direttiva sull'efficienza energetica, ma anche con la direttiva sullo
scambio di quote di emissioni e il regolamento dell'effort sharing,
nonché con la direttiva LULUCF che si occupa del cambio di destinazione
del suolo. Le proposte saranno presentate come parte di un pacchetto nel
marzo 2021. Nel 2020 verrà presentato un piano di integrazione
settoriale intelligente che riunirà i settori dell'elettricità, del gas
e del riscaldamento in un unico sistema. Verrà presentata una nuova
iniziativa per sfruttare l'enorme potenziale dell'eolico offshore.
-
Economia circolare.
Un nuovo piano d'azione per l'economia circolare sarà presentato nel
marzo 2020, nell'ambito di una più ampia strategia industriale dell'UE.
Includerà una politica di prodotto sostenibile con prescrizioni su come
realizziamo le cose al fine di utilizzare meno materiali e garantire che
i prodotti possano essere riutilizzati e riciclati. Anche le industrie
ad alta intensità di carbonio come acciaio, cemento e tessuti,
focalizzeranno l'attenzione nell'ambito del nuovo piano di economia
circolare. Un obiettivo chiave è prepararsi alla produzione di acciaio
pulita usando l'idrogeno entro il 2030, perché per avere un'industria
pulita nel 2050, nel 2030 parte l'ultimo ciclo di investimenti. La nuova
legislazione sarà inoltre presentata nel 2020 per rendere le batterie
riutilizzabili e riciclabili.
-
Ristrutturazione edilizia.
Sarà uno dei programmi di punta del Green Deal. L'obiettivo
chiave è quello di almeno raddoppiare o addirittura triplicare il tasso
di ristrutturazione degli edifici, che attualmente si attesta intorno
all'1%.
-
Inquinamento zero.
Sia nell'aria, nel suolo o nell'acqua, l'obiettivo è quello di
raggiungere un ambiente privo di inquinamento entro il 2050. Nuove
iniziative includono una strategia chimica per un ambiente privo di
sostanze tossiche.
-
Ecosistemi e biodiversità.
Una nuova strategia sulla biodiversità sarà presentata a marzo 2020, in
vista del vertice ONU sulla biodiversità che si terrà in Cina a ottobre.
L'Europa vuole dare l'esempio con nuove misure per affrontare i
principali fattori di perdita della biodiversità. Ciò include misure per
affrontare l'inquinamento del suolo e delle acque, nonché una nuova
strategia forestale sia nelle città che nelle campagne. Saranno
presentate nuove regole di etichettatura per promuovere prodotti
agricoli privi di deforestazione.
-
Strategia agricola.
Da presentare nella primavera del 2020, la nuova strategia mirerà a un
sistema di agricoltura verde e più sana. Ciò include piani per ridurre
significativamente l'uso di pesticidi chimici, fertilizzanti e
antibiotici. I nuovi piani strategici nazionali che dovranno essere
presentati il prossimo anno dagli Stati membri nell'ambito della
politica agricola comune saranno esaminati per vedere se sono in linea
con gli obiettivi del Green Deal.
-
Trasporti. Un
anno dopo che l'UE ha concordato nuovi standard di emissione di CO2
per le automobili, il settore automobilistico è di nuovo nella
linea di tiro della Commissione. L'obiettivo attuale è raggiungere 95
gCO2/km entro il 2021 per poi andare verso lo zero
negli anni 2030. I veicoli elettrici saranno ulteriormente incoraggiati
con l'obiettivo di distribuire 1 milione di punti di ricarica pubblici
in tutta Europa entro il 2025. Ogni famiglia in Europa deve essere in
grado di guidare la propria auto elettrica senza doversi preoccupare
della stazione di ricarica più vicina. I carburanti alternativi
sostenibili, biocarburanti e idrogeno, saranno promossi nel settore
dell'aviazione, della navigazione e del trasporto pesante su strada dove
attualmente non è possibile elettrificare.
-
Moneta. Per non
lasciare indietro nessuno, la commissione propone un meccanismo di
transizione per aiutare le regioni maggiormente dipendenti dai
combustibili fossili. "Abbiamo l'ambizione di mobilitare € 100 miliardi
mirati precisamente alle regioni e ai settori più vulnerabili", ha
dichiarato von der Leyen alla presentazione del Green Deal. Ogni
euro speso dal fondo potrebbe essere integrato da 2 o 3 euro provenienti
dalla regione. Le linee guida dell'UE in materia di aiuti di Stato
saranno riviste in tale contesto in modo che i governi nazionali possano
sostenere direttamente gli investimenti nell'energia pulita, con la
benedizione della direzione della Commissione per la concorrenza. Alle
regioni verrà inoltre offerta assistenza tecnica al fine di aiutarle ad
acquisire i fondi nel rispetto delle rigide norme di spesa dell'UE.
Tuttavia, qualsiasi aiuto di Stato dovrebbe essere verificato dalla
Commissione nell'ambito di nuovi piani di transizione regionali
presentati in precedenza a Bruxelles. Lo strumento da € 100 miliardi
proposto ha tre gambe:
- Un giusto fondo di transizione che mobiliterà risorse dal bilancio della
politica regionale dell'UE;
- Il programma "InvestEU", con denaro proveniente dalla Banca europea
per gli investimenti;
- Finanziamenti BEI provenienti dal capitale della banca dell'UE.
-
R&S e innovazione.
Con un budget proposto 100 miliardi di € nei prossimi sette anni
(2021-2027), anche il programma di ricerca e innovazione di Horizon
Europe contribuirà al Green Deal. Il 35% del finanziamento
della ricerca dell'UE sarà destinato a tecnologie rispettose del clima
in virtù di un accordo concluso all'inizio di quest'anno. E una serie di
attività di ricerca dell'UE si concentrerà principalmente su obiettivi
ambientali.
-
Relazioni esterne.
Infine, saranno mobilitati gli sforzi diplomatici dell'UE a sostegno del
Green Deal. Una misura che potrebbe attirare l'attenzione e le
critiche è una proposta per un'imposta daziaria sul carbonio, una
border tax. Man mano che l'Europa aumenta le sue ambizioni
climatiche, prevediamo che anche il resto del mondo svolgerà il suo
ruolo, ma in caso contrario l'Europa non sarà ingenua e proteggerà la
sua industria dalla concorrenza sleale.
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28 Novembre 2019. Forze politiche italiane, in spregio al dramma di Venezia
e della Liguria, votano contro la dichiarazione di emergenza ambientale
voluta da Ursula Von der Leyen, presidente della nuova Commissione

Murales di Bansky per Venezia
Mentre l'Italia sta subendo uno dei peggiori attacchi climatici al proprio
territorio (Leggi
Edo Ronchi sull'Huffington Post),
il Parlamento europeo dichiara l'Emergenza
climatica e ambientale
a scala continentale. I punti salienti
della delibera europea sono i seguenti:
-
Considerando imprescindibile ingaggiare un'azione immediata e
ambiziosa per limitare il riscaldamento globale a 1,5 ºC ed evitare una
massiccia perdita di biodiversità;
-
Considerando che una tale azione deve essere basata sulla scienza e deve
coinvolgere i cittadini e tutti i settori della società e dell'economia,
compresa l'industria, in modo socialmente equilibrato e sostenibile,
deve sostenere la competitività delle nostre economie ed essere
accompagnata da solide misure sociali e inclusive per assicurare una
transizione equa e giusta che sostiene la creazione di posti di lavoro,
rispettando la necessità di disporre di un elevato livello di protezione
sociale nonché di posti di lavoro e di formazione di qualità;
-
Considerando che nessuna emergenza dovrebbe essere mai utilizzata per
erodere le istituzioni democratiche o pregiudicare i diritti
fondamentali; che tutte le misure saranno sempre adottate mediante un
processo democratico;
-
Dichiara un'emergenza climatica e ambientale; invita la Commissione, gli
Stati membri e tutti gli attori globali, e dichiara il proprio impegno,
a intraprendere con urgenza le azioni concrete necessarie per combattere
e contenere tale minaccia prima che sia troppo tardi;
-
Esorta la nuova Commissione a effettuare una valutazione completa
dell'impatto climatico e ambientale di tutte le proposte legislative e
di bilancio, nonché a garantire che tali proposte siano pienamente in
linea con l'obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5° C
e non contribuiscano alla perdita di biodiversità;
-
Riconosce
la propria responsabilità istituzionale per quanto riguarda la riduzione
della propria impronta di carbonio; propone di adottare proprie misure
volte a ridurre le emissioni, inclusa la sostituzione del suo parco
veicoli con veicoli a emissioni zero, e invita tutti gli Stati membri a
trovare un accordo su una sede unica per il Parlamento europeo;
-
Esorta la nuova Commissione ad affrontare le incoerenze delle attuali
politiche dell'Unione in materia di emergenza climatica e ambientale, in
particolare attraverso una profonda riforma delle sue politiche di
investimento nei settori dell'agricoltura, del commercio, dei trasporti,
dell'energia e delle infrastrutture;
-
Incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al
Consiglio, alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli
Stati membri.
Contro questa risoluzione "rivoluzionaria" votano Lega, Fratelli d'Italia,
Forza Italia (PPE) e 4 parlamentari su 14 dei 5*, la maggioranza nel
Parlamento Italiano.
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5
Novembre
2019:
Dagli Stati generali della
Green economy allarme sulla transizione troppo lenta
Dagli Stati generali della Green economy 2019, per il resoconto
puntuale dei quali rimandiamo al
sito, il
Rapporto 2019
sulla Green economy lancia un allarme sui ritardi
dell'avvio del processo di transizione energetica ed economico sociale che
deve mettere l'umanità al riparo dai gravi esiti del cambiamento climatico e
accelerare il conseguimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile.
Molti gli interventi di rilievo che si sono succeduti. Di seguito riportiamo
alcuni dei contenuti dell'intervento
guida del presidente Edo Ronchi e del
responsabile
energia e clima Andrea Barbabella.
Il sistema energetico mondiale, basato sui combustibili fossili, sta
cambiando troppo lentamente Dal 1965 al 2018 la quota del fabbisogno
mondiale di energia soddisfatta dai fossili è scesa solo dal 94 all’82%.
L’aumento dell’uso di energia nel 2018 è stato ancora soddisfatto per il 71%
con carbone e petrolio. Il consumo di energia nel 2018 è cresciuto del 2,9%,
il massimo dal 2010. Nel 2018 il consumo di petrolio è cresciuto dell'1,5%,
principalmente a causa del settore trasporti e quello di carbone è aumentato
dell'1,4%, la crescita più rapida dal 2013. l contributo delle energie
fossili alla generazione elettrica è rimasto stabile intorno al 64%.
Lo sviluppo delle fonti rinnovabili è troppo lento. Nel 2017 le rinnovabili
hanno soddisfatto il 18,1% del consumo totale di energia. Nel 2018 le fonti
rinnovabili hanno fornito il 26% dell'elettricità globale. L’utilizzo di
energie rinnovabili nel riscaldamento e nel raffreddamento rimane invece
limitato a circa il 10% della domanda.
La crisi climatica globale si sta aggravando. Con gli
impegni dichiarati dagli Stati, siamo ben lontani dall’Accordo di Parigi:
stiamo marciando verso i 3 °C a fine secolo, ritenuto un livello di
riscaldamento globale molto pericoloso, dalle conseguenze sconvolgenti. Dopo
tre anni di stabilità, le emissioni di CO2
sono cresciute dell'1,6% nel 2017 e del 2,7% nel 2018, fino a un record di
37,1 Gt. La concentrazione di CO2
in atmosfera ha oramai superato 413 parti per milione, un valore che la
Terra non ha mai conosciuto almeno negli ultimi 800 mila anni.
In Italia la green economy ha raggiunto, nel recente
passato, risultati importanti, ma siamo probabilmente entrati in una fase di
rallentamento e di difficoltà. Le emissioni italiane di gas serra non calano
da 5 anni: dal 2014, quando erano di 426 Mt di CO2eq,
le stesse del 2018. I dati del primo semestre del 2019 indicano un aumento.
Secondo Eurostat, nel 2017 l’Unione europea ha ridotto le proprie emissioni
di gas serra di oltre il 23% rispetto al 1990: il Regno Unito le ha ridotte
del 40% la Germania del 28%, l’Italia, pur tenendo conto che partiva da
emissioni pro capite minori, le ha ridotte solo del 17%.
Emissioni comparative in numeri indice rispetto al 1990 dell'Italia e
dell'Europa

Tra il 2014 e il 2017, con una ripresa economica modesta, il consumo interno
lordo di energia è tornato a crescere, da 166 a oltre 170 Mtep. Nel 2018 con
una crescita del Pil dello 0,9%, il fabbisogno energetico è aumentato di
quasi il 2%, facendo aumentare anche l’intensità energetica.
Dati delle dinamiche energetiche ed economiche italiane

Negli ultimi 5 anni la crescita delle rinnovabili in Italia si è quasi
fermata. Nel 2017 le fonti energetiche rinnovabili avevano soddisfatto il
18,3% del fabbisogno energetico, contro il 17,5% della media europea, il
17,5% della Spagna, il 16,3% della Francia, il 15,5% della Germania e il
10,2% del Regno Unito.
Crescita delle rinnovabili in Italia

In Italia, già Paese europeo con più auto, le emissioni medie di CO2/km
delle nuove auto stanno aumentando dal 2018. Nel 2018 l’Italia, con 644
automobili ogni 1000 abitanti (635 nel 2017), è il Paese europeo col tasso
più alto di auto. Nei primi otto mesi del 2019, le emissioni medie
specifiche delle nuove auto immatricolate sono aumentate a quasi 120 gCO2/km,
il 5,5% in più rispetto allo stesso periodo di un anno fa. L’Italia sconta
un ritardo storico nella penetrazione di veicoli elettrici: in totale sono
state vendute meno di 10.000 auto elettriche (in Germania 68.000) e circa
6200 motoveicoli elettrici. Con 148.000biciclette elettriche vendute,
l’Italia è solo il 5° mercato europeo. La gran parte della flotta di autobus
pubblici è ancora alimentata a gasolio, per il 50% con standard inferiore o
uguale a Euro 4. Solo alcune città italiane hanno avviato l’acquisto di
autobus elettrici.
Il Rapporto dell’European
Institute on Economics and the Environment
e della Fondazione per lo sviluppo sostenibile dimostra che gli impatti
economici del cambiamento climatico sono molto più significativi di quanto
precedentemente calcolato. Queste analisi mostrano perdite di Pil di oltre
l’8% nella seconda metà del secolo per l’Italia, con stime oltre sette volte
superiori a quelle precedentemente effettuate. Il riscaldamento globale
aumenterà le disuguaglianze economiche. I danni economici nel sud Europa
saranno otto volte maggiori di quelli del nord e in Italia il cronico gap
del Sud peggiorerà del 60% per la crisi climatica.
Per il clima l’Italia dovrebbe sostenere la posizione del Parlamento Europeo
e dei Paesi che chiedono di rivedere gli impegni europei al 2030 per attuare
l’Accordo di Parigi e aumentare l’impegno del Piano nazionale energia e
clima di riduzione di gas serra dal 37 al 50% rispetto al 1990. Per poter
arrivare a neutralizzare le emissioni nette al 2050 è necessario scendere
dalle 426 Mt di CO2
del 2018 a 260 Mt nel 2030. Con le misure attuali si arriverebbe a circa 380
Mt. Servono misure aggiuntive per ridurre di ulteriori 120 Mt le emissioni
al 2030.
Per l’efficienza energetica occorre rendere più incisiva la riqualificazione
energetica del patrimonio edilizio pubblico e privato, sviluppare l’economia
circolare e la mobilità sostenibile.
In materia di rinnovabili per gli usi termici occorre raddoppiare il
contributo delle pompe di calore e aumentare geotermia, solare termico e
biomasse, in particolare con teleriscaldamento e cogenerazione. Per le
rinnovabili elettriche occorre arrivare al 65% al 2030. Per i trasporti va
sostenuta l’elettrificazione dei consumi, incentivato lo sviluppo di
biocarburanti avanzati, del biometano e la ricerca sull’idrogeno.
Per decarbonizzare i trasporti occorre ridurre l’uso dell’auto in città
investendo nella modernizzazione dei servizi di trasporto pubblico,
realizzando entro il 2025 15.000 km di corsie preferenziali, 15.000 nuovi km
di piste ciclabili e attivando servizi di
sharing
in ogni città con più di 150.000 abitanti. Sostenere l’innovazione dei mezzi
di trasporto e delle infrastrutture verso l’elettrificazione, partendo dai
veicoli più leggeri, l’utilizzo del biometano, dei biocarburanti di nuova
generazione e delle sperimentazioni con l’idrogeno.
Il quadro delle proposte che emerge dagli Stati generali del 2019 è il
seguente:
-
Puntare su obiettivi climatici ambiziosi
-
Realizzare la transizione ad un’energia efficiente e rinnovabile
-
Accelerare la transizione all’economia circolare
-
Puntare sulla rigenerazione urbana e sulle
green city
-
Tutelare il capitale naturale e l’agricoltura di qualità
-
Realizzare la decarbonizzazione dei trasporti
-
Sviluppare formazione, ricerca, innovazione e digitalizzazione
orientate alla
green economy
-
Attuare una riforma fiscale che, contemporaneamente, introduca una
carbon tax
e tagli in modo consistente il cuneo fiscale.
Su questo ultimo controverso punto richiamiamo di seguito le considerazioni
che Edo Ronchi ha presentato sul Corriere della sera rilevando che la
carbon tax
è un passaggio obbligato per ogni possibile
green New Deal.
Nel 2009 l’UNEP
avanzò la proposta di un
green New Deal
per affrontare sia la recessione economica sia la crisi climatica. Quando si
parla di green New Deal è sempre sottinteso un ingente impegno finanziario
pubblico, come quello roosveltiano, e misure impegnative per affrontare la
crisi climatica. Le emissioni mondiali continuano ad aumentare. Se si
aspetta che tutti i Paesi partano contemporaneamente, non si arriverà in
tempo a contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 °C, come
previsto dall’Accordo di Parigi. Anche l'ltalia deve fare la sua parte e
aumentare il suo impegno per contrastare il cambiamento climatico per fare
di questa sfida epocale un'occasione di nuovo sviluppo a basse o nulle
emissioni di carbonio.
Negli ultimi anni però le emissioni di gas serra, dopo un periodo di calo,
hanno ripreso ad aumentare: nel 2018 sono state le stesse del 2014. Per
rispettare l'Accordo di Parigi, occorrerebbe entro il 2030 almeno dimezzare
quelle del 1990, facendole scendere a circa 260 Mt. Secondo ISPRA, con le
misure vigenti, mancherebbero all'appello 120 Mt (12 Mt l'anno nei prossimi
10 anni), oltre il doppio di quanto previsto dal Piano energia e clima. Il
Parlamento europeo ha votato una risoluzione che chiede di aumentare
l'impegno di riduzione al 2030 dal 40 al 55%. Il nuovo governo italiano non
ha ancora preso ufficialmente posizione su questa richiesta.
Arrivare alla decarbonizzazione dell’economia in poco più di tre decenni
richiede una conversione di ampia portata. Per azzerare le emissioni serra
occorre farle diventare economicamente onerose rendendo vantaggiose le
alternative. Visti i danni che provocano, non ci si può illudere che si
possa continuare ad emettere gas serra gratis o a basso costo. Un impegno
serio per il clima e per un
green New Deal
richiede una riforma della fiscalità che sposti il prelievo fiscale dal
lavoro e dagli investimenti green e lo carichi su una
carbon tax.
I paesi che hanno introdotto misure di
carbon pricing
sono cresciuti da 19 nel 2010 a ben 56 nel 2019. In Europa già 10 paesi
hanno introdotto una
carbon tax.
In Italia hanno il
carbon pricing
solo i grandi impianti regolati a livello europeo dall’ETS che dal 2021 sarà
piuttosto impegnativo. La gran parte delle emissioni generate al di fuori di
questi grandi impianti non è invece fiscalmente disincentivata. Una
carbon tax
di 40 euro per tonnellata di C02
per le emissioni diverse da quelle dei grandi impianti comporterebbe un
aumento del prezzo del gasolio di 10 eurocent e di 8 quello della benzina.
Operando con attenzione, e con misure compensative per evitare impatti
negativi e aprendo un dibattito pubblico sulla crisi climatica e sugli
impatti che ha sul nostro paese, una
carbon tax
di questa dimensione può essere condivisa dalla larga maggioranza dei
cittadini. Genererebbe 10 miliardi all'anno di nuove entrate che potrebbero
rendere più consistenti le misure di
green New Deal,
sia per aumentare l'occupazione sia per alimentare la ripresa economica con
maggiori investimenti
green.
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Ottobre
2019:
La tutela dell'ambiente nelle costituzioni degli stati membri dell'Unione
Europea
è del massimo interesse il
Dossier (Nota
breve 18/140) pubblicato dall'ufficio studi del
Senato sulla introduzione nelle Costituzioni dei paesi memb4ri di
riferimenti all'ambiente e allo sviluppo sostenibile.
Il testo delle Costituzioni degli Stati europei sorte nell'immediato secondo
dopoguerra non palesa, in generale, una particolare attenzione verso la
tutela dell'ambiente. Non così il testo di Costituzioni più recenti (come la
spagnola del 1978), invece dotate di specifiche disposizioni. È però
accaduto che in sede di revisione costituzionale disposizioni sull'ambiente
siano state inserite in corso di tempo entro una Carta costituzionale o
legge fondamentale più risalente (come nei Paesi Bassi nel 1983, in Germania
nel 1994 e, con particolare ampiezza, in Francia nel 2005). Il Dossier non
riporta i dati per l'Italia nè riferisce delle proposte di inserimento dello
sviluppo sostenibile nella Costituzione italiana, proposte avanzate da
diversi partiti politici e di recente raccolte anche dal Governo.
TORNA SU

Settembre
2019: Economia italiana pubblica un numero speciale 2/2019 della Rivista
dedicato a: "Agenda 2030: il punto sullo sviluppo sostenibile"
Gli articoli pubblicati sono di grande interesse e
possono essere scaricati liberamente al
sito della rivista.
Riportiamo di seguito alcuni link diretti: Editoriale:
Enrico Giovannini,
Sostenibilità:
rischi, opportunità e sfide per il nostro futuro
Fabrizio Barca, Patrizia Luongo,
Europa:
invertire rotta e aggredire le disuguaglianze
Toni Federico,
Il
cambiamento climatico e la transizione energetica dopo Parigi
Francesco Timpano, Marco Fedeli,
La finanza
per lo sviluppo sostenibile: un’analisi dello stato dell’arte
TORNA SU

Estate 2019: L'intervento di insediamento del nuovo Presidente della
Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il Programma del nuovo governo
italiano
Il primo in particolare, ma anche il secondo, portano
riconoscibili i segni di importanti passi in avanti nella direzione dello
Sviluppo sostenibile. Riteniamo perciò opportuno e conveniente disporre nel
sito i riferimenti ad entrambe le istanze, augurandoci che non si debba
trattare unicamente di citazioni meramente bibliografiche.

Il
testo del discorso
con cui Ursula von der Leyen si è presentata il 16 luglio 2019 al Parlamento
Europeo per ottenere l'incarico di nuova Presidente della Commissione
europea è disponibile per intero. Di seguito riportiamo i punti che abbiamo
ritenuto determinarti e maggiormente promettenti nel percorso di promozione
dello sviluppo sostenibile:
"... Yet it is now clear to each and every one of us that we must once again
take a stand and fight for our Europe. The whole world is being challenged
by disruptive developments that have not passed Europe by Demographic change,
globalisation of the world economy, rapid digitalisation of our working
environment and, of course, climate change. None of these meta-developments
is new: science predicted them a long way back. What is new is that we, as
citizens of Europe — irrespective of the country in which we live — are
feeling and experiencing their effects first hand...
Our most pressing challenge is keeping our planet healthy. This is the
greatest responsibility and opportunity of our times.
I want Europe to become the first climate-neutral continent in the world by
2050. To make this happen, we must take bold steps together. Our
current goal of reducing our emissions by 40% by 2030 is not enough. We must
go further. We must strive for more. A two-step approach is needed to
reduce CO2 emissions
by 2030 by 50, if not 55%. The EU will lead international
negotiations to increase the level of ambition of other major economies by
2021. Because to achieve real impact, we do not only have to be ambitious at
home – we have to do that, yes – but the world has to move together. To make
this happen, I will put forward
a Green Deal for Europe in my first 100 days in office. I will put
forward the first ever
European Climate Law which will set the 2050 target into law.
This increase of ambition will need investment on a major scale. Public
money will not be enough. I will propose a
Sustainable Europe Investment Plan and turn parts of the European
Investment Bank into a
Climate Bank. This will unlock €1 trillion of investment over the
next decade. It means change. All of us and every sector will have to
contribute, from aviation to maritime transport to the way each and everyone
of us travels and lives.
Emissions must have a price that changes our behaviour. To
complement this work, and to ensure our companies can compete on a
level-playing field, I will introduce a
Carbon Border Tax to avoid carbon leakage. But what is good for our
planet must also be good for our people and our regions. Of course I know
about the importance of cohesion funds. But we need more. We need a just
transition for all. Not all of our regions have the same starting point –
but we all share the same destination. This is why I will propose a
Just Transition Fund to support those most affected...
This is the European way: we are ambitious. We leave nobody behind. And we
offer perspectives. If we want to succeed with this ambitious plan
we need a strong economy. Because what we want to spend we need to earn
first... The
world is calling for more Europe. The world needs more Europe. I believe
Europe should have a stronger and more united voice in the world – and it
needs to act fast. That is why
we must have the courage to take foreign policy decisions by qualified
majority. And to stand united behind them ...".
In data 9 settembre 2019 il Premier Italiano Giuseppe Conte si è rivolto
alla Camera dei deputati per ottenere la fiducia al suo nuovo Governo. Il
testo integrale
del discorso è disponibile e di esso vanno citati i seguenti passaggi:
"... La politica deve adoperarsi per elaborare un grande piano che
attribuisca all’Italia una posizione di leadership nel campo dei nuovi
modelli economici eco-sostenibili. Partiamo avvantaggiati. In Europa già ci
distinguiamo per l’utilizzo delle energie rinnovabili. Dobbiamo puntare
all’utilizzo delle tecniche scientifiche più innovative e sofisticate per
consolidare questo primato. Abbiamo progetti all’avanguardia nello
sfruttamento dell’energia dai moti ondosi, possiamo sfruttare nuove tecniche
di produzione in base alla c.d. biomimesi. L’obiettivo da perseguire deve
essere una efficace “transizione ecologica”, in modo da pervenire a
un’articolata politica industriale, che, senza scadere nel dirigismo
economico, possa gradualmente orientare l’intero sistema produttivo verso
un’economia circolare, che favorisca la “cultura del riciclo” e dismetta la
“cultura del rifiuto”. Lo sviluppo equo e sostenibile deve spingerci a
integrare in modo sistematico, nell’azione di governo, un nuovo modello di
crescita, non più “economicistico”. Dobbiamo incentivare le prassi delle
imprese socialmente responsabili, che permetteranno di rendere il nostro
tessuto produttivo sempre più competitivo anche nel mercato globale. Confido
che la cabina di regia “Benessere Italia”, che ho da poco istituita, possa
tornare ben utile a questi scopi, anche in futuro...
Più in generale, la politica deve reagire alle sfide del mondo globale
rilanciando un ventaglio di proposte e soluzioni che, più volte nei miei
interventi, ho riassunto con la formula “nuovo umanesimo”. Non sto qui a
riassumerle, ma è stata questa la stella polare che mi ha guidato in questi
mesi di governo. Anche sull’Europa, occorre un rinnovato slancio di
responsabilità. Gli ideali che avevano nutrito le fasi iniziali del processo
di integrazione stanno via via perdendo la loro forza propulsiva e il comune
edificio europeo sta attraversando una fase particolarmente critica ...".
Del
pari importante è l'esame dei
29 punti del
Programma del Nuovo governo. Da essi citiamo:
...
3) Il sistema industriale del nostro Paese sconta problemi di bassa crescita
e produttività, ma ha in sé grandi potenzialità per affrontare la sfida di
una nuova stagione di sviluppo che faccia dell'Agenda 2030 sullo sviluppo
sostenibile il suo punto di forza. Siamo una realtà nella quale la
produzione di massa incontra la capacità di personalizzazione del prodotto.
La presenza di unità economiche di piccola e media dimensione (settori
artigianali, design, manifattura) ci consentono flessibilità nei processi e
adesione alle richieste del mercato. Oggi la sfida è quella dell'innovazione
connessa a una convincente transizione in chiave ambientale del nostro
sistema industriale, allo sviluppo verde per creare lavoro di qualità, alla
piena attuazione dell'economia circolare, alla sfida della "quarta
rivoluzione industriale": digitalizzazione, robotizzazione, intelligenza
artificiale. Il piano Impresa 4.0 è la strada tracciata da implementare e
rafforzare. Il Governo intende inoltre potenziare gli interventi in favore
delle piccole e medie imprese...
7) Il Governo intende realizzare un Green New Deal, che comporti un radicale
cambio di paradigma culturale e porti a inserire la protezione dell'ambiente
e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema
costituzionale. Tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al
centro la protezione dell'ambiente, il progressivo e sempre più diffuso
ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari,
il contrasto ai cambiamenti climatici. Occorre adottare misure che
incentivino prassi socialmente responsabili da parte delle imprese;
perseguire la piena attuazione della eco-innovazione; introdurre un apposito
fondo che valga a orientare, anche su base pluriennale, le iniziative
imprenditoriali in questa direzione. È necessario promuovere lo sviluppo
tecnologico e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più
efficace la "transizione ecologica" e indirizzare l'intero sistema
produttivo verso un'economia circolare, che favorisca la cultura del riciclo
e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto.
8) Occorre prevedere un piano di edilizia residenziale pubblica volto alla
ristrutturazione del patrimonio esistente e al riutilizzo delle strutture
pubbliche dismesse, in favore di famiglie a basso reddito e dei giovani;
adeguare le risorse del Fondo nazionale di sostegno alle locazioni; rendere
più trasparente la contrattazione in materia di locazioni.
9) Massima priorità dovranno assumere gli interventi volti a potenziare le
politiche per la messa in sicurezza del territorio e per il contrasto al
dissesto idrogeologico, per la riconversione delle imprese, per l'efficientamento
energetico, per la rigenerazione delle città e delle aree interne, per la
mobilità sostenibile e per le bonifiche. È necessario accelerare la
ricostruzione delle aree terremotate, anche attraverso l'adozione di una
normativa organica che consenta di rendere più spedite le procedure. Occorre
intervenire sul consumo del suolo, sul contrasto alle agro-mafie, sulle
sofisticazioni alimentari e sui rifiuti zero. Bisogna introdurre una
normativa che non consenta, per il futuro, il rilascio di nuove concessioni
di trivellazione per estrazione di idrocarburi. In proposito, il Governo si
impegna a promuovere accordi internazionali che vincolino anche i Paesi che
si affacciano sul Mediterraneo a evitare quanto più possibile concessioni
per trivellazione. Il Governo si impegna altresì a promuovere politiche
volte a favorire la realizzazione di impianti di riciclaggio e,
conseguentemente, a ridurre il fabbisogno degli impianti di incenerimento,
rendendo non più necessarie nuove autorizzazioni per la loro costruzione...
12) Una nuova strategia di crescita fondata sulla sostenibilità richiede
investimenti mirati all'ammodernamento delle attuali infrastrutture e alla
realizzazione di nuove infrastrutture, al fine di realizzare un sistema
moderno, connesso, integrato, più sicuro, che tenga conto degli impatti
sociali e ambientali delle opere...
22) Occorre tutelare i beni comuni, a partire dalla scuola pubblica:
è necessario intervenire contro le classi troppo affollate e valorizzare,
anche economicamente, il ruolo dei docenti, potenziare il piano nazionale
per l'edilizia scolastica e garantire la gratuità del percorso scolastico
per gli studenti provenienti da famiglie con redditi medio-bassi,
contrastare la dispersione scolastica e il bullismo. L'acqua è un bene
comune: bisogna approvare subito una legge sull'acqua pubblica, completando
l'iter legislativo in corso. Il Governo è impegnato a difendere la sanità
pubblica e universale, valorizzando il merito. Occorre inoltre, d'intesa con
le Regioni, assicurare un piano di assunzioni straordinarie di medici e
infermieri; integrare i servizi sanitari e socio-sanitari territoriali;
potenziare i percorsi formativi medici. Sarà rafforzata l'azione di
contrasto al gioco d'azzardo patologico. Anche le nostre infrastrutture sono
beni pubblici ed è per questo che occorre garantire maggiori investimenti,
assicurare manutenzioni ordinarie e straordinarie più assidue, tutelare gli
utenti e rafforzare il sistema della vigilanza in ordine alla sicurezza
infrastrutturale. Sarà inoltre avviata la revisione delle concessioni
autostradali, confermando il piano tariffario unico. È necessario, infine,
rafforzare la normativa per tutelare gli animali, contrastando ogni forma di
violenza e di maltrattamento nei loro confronti.
23) Per favorire l'accesso alla piena partecipazione democratica e
all'informazione e la trasformazione tecnologica, la cittadinanza digitale
va riconosciuta a ogni cittadino italiano sin dalla nascita, riconoscendo -
tra i diritti della persona - anche il diritto di accesso alla rete...
29) L'agricoltura e l'agroalimentare rappresentano un comparto decisivo
rispetto alle sfide che il nostro Paese deve affrontare. È necessario
sviluppare la filiera agricola e biologica, le buone pratiche agronomiche;
conservare e accrescere la qualità del territorio, contenendo il consumo del
suolo agricolo; adottare gli strumenti necessari per preservare le colture
tradizionali e biologiche, tutelando peculiarità e specificità produttive,
così come l'agricoltura contadina nelle cosiddette "aree marginali";
sostenere le aziende agricole giovanili; investire nella ricerca in
agricoltura, individuando come prioritari la sostenibilità delle
coltivazioni e il contrasto ai mutamenti climatici, l'uso efficiente e
sostenibile della risorsa idrica, la più ampia diffusione dell'agricoltura
di precisione. Occorre, inoltre, concorrere al rafforzamento delle regole
dell'Unione europea per l'etichettatura e la tracciabilità degli alimenti e
porre la massima attenzione, in sede di negoziazione dei trattati
commerciali, alla salvaguardia delle produzioni tipiche. Per le imprese
agricole si aprirà a breve un negoziato strategico per la nuova PAC:
l'Italia dovrà perseguire, anche in quella sede, l'obiettivo di valorizzare
le nostre eccellenze agricole e la filiera agroalimentare".
TORNA SU
8
giugno 2019. Stiglitz per il Guardian:
The climate crisis is our third world war
Advocates
of the Green New Deal say there is great urgency in dealing with the climate
crisis and highlight the scale and scope of what is required to combat it.
They are right. They use the term “New Deal” to evoke the massive response
by Franklin Delano Roosevelt and the United States government to the Great
Depression. An even better analogy would be the country’s mobilization to
fight World War II.
Critics ask, “Can we afford it?” and complain that
Green New Deal proponents confound the fight to preserve the planet, to
which all right-minded individuals should agree, with a more controversial
agenda for societal transformation. On both accounts the critics are wrong.
Yes, we can afford it, with the right fiscal policies and collective will.
But more importantly, we must afford it. The climate emergency is our third
world war. Our lives and civilization as we know it are at stake, just as
they were in the second world war.
When the US was attacked during the second world war
no one asked, “Can we afford to fight the war?” It was an existential matter.
We could not afford not to fight it. The same goes for the climate crisis.
Here, we are already experiencing the direct costs of ignoring the issue –
in recent years the country has lost almost 2% of GDP in weather-related
disasters, which include floods, hurricanes, and forest fires. The cost to
our health from climate-related diseases is just being tabulated, but it,
too, will run into the tens of billions of dollars – not to mention the
as-yet-uncounted number of lives lost. We will pay for climate breakdown one
way or another, so it makes sense to spend money now to reduce emissions
rather than wait until later to pay a lot more for the consequences – not
just from weather but also from rising sea levels. It’s a cliche, but it’s
true: an ounce of prevention is worth a pound of cure.
The war on the climate emergency, if correctly waged,
would actually be good for the economy – just as the second world war set
the stage for America’s golden economic era , with the fastest rate of
growth in its history amidst shared prosperity. The Green New Deal would
stimulate demand, ensuring that all available resources were used; and the
transition to the green economy would likely usher in a new boom. Trump’s
focus on the industries of the past, like coal, is strangling the much more
sensible move to wind and solar power. More jobs by far will be created in
renewable energy than will be lost in coal.
The war on the climate emergency, if correctly waged,
would actually be good for the economy. The biggest challenge will be
marshalling the resources for the Green New Deal. In spite of the low
“headline” unemployment rate, the United States has large amounts of
under-used and inefficiently allocated resources. The ratio of employed
people to those of working age in the US is still low, lower than in our
past, lower than in many other countries, and especially low for women and
minorities. With well-designed family leave and support policies and more
time-flexibility in our labor market, we could bring more women and more
citizens over 65 into the labor force. Because of our long legacy of
discrimination, many of our human resources are not used as efficiently as
they could or should be. Together with better education and health policies
and more investment in infrastructure and technology – true supply side
policies – the productive capacity of the economy could increase, providing
some of the resources the economy needs to fight and adapt to the climate
breakdown. While most economists agree that there is still room for some
economic expansion, even in the short run – additional output, some of which
could be used to fight the battle against the climate crisis – there remains
controversy over how much output could be increased without running into at
least short-term bottlenecks. Almost surely, however, there will have to be
a redeployment of resources to fight this war just as with the second world
war, when bringing women into the labor force expanded productive capacity
but it did not suffice.
Some changes will be easy, for instance, eliminating
the tens of billions of dollars of fossil fuel subsidies and moving
resources from producing dirty energy to producing clean energy. You could
say, though, that America is lucky: we have such a poorly designed tax
system that’s regressive and rife with loopholes that it would be easy to
raise more money at the same time that we increase economic efficiency.
Taxing dirty industries, ensuring that capital pays at least as high a tax
rate as those who work for a living, and closing tax loopholes would provide
trillions of dollars to the government over the next 10 years, money that
could be spent on fighting the climate emergency. Moreover, the creation of
a national Green Bank would provide funding to the private sector for
climate breakdown – to homeowners who want to make the high-return
investments in insulation that enables them to wage their own battle against
the climate crisis, or businesses that want to retrofit their plants and
headquarters for the green economy.
The mobilization efforts of the second world war
transformed our society. We went from an agricultural economy and a largely
rural society to a manufacturing economy and a largely urban society. The
temporary liberation of women as they entered the labor force so the country
could meet its war needs had long-term effects. This is the advocates’
ambition, a not unrealistic one, for the Green New Deal.
There is absolutely no reason the innovative and green economy of the 21st
century has to follow the economic and social models of the 20th-century
manufacturing economy based on fossil fuels, just as there was no reason
that that economy had to follow the economic and social models of the
agrarian and rural economies of earlier centuries.
TORNA SU

15 marzo 2019. Lo sciopero per il clima e la presa di posizione di Energia
per l'Italia
I due eventi, la
manifestazione e la denuncia del ritardo del nostro Paese sul fronte della
lotta ai cambiamenti climatici, sono non casualmente concomitanti. Nel
dare
il più grande e commosso riconoscimento al movimento
Friday for Future e a Greta Thunberg il Comitato scientifico continua
nel suo umile lavoro di fabbricazione di concetti e parole in favore dello
sviluppo sostenibile. Certo è che ci auguriamo che Greta, con poche parole e
pochi concetti, sappia fare molto di più e più in fretta.

Gli studenti di Friday
for Future oggi a Piazza Venezia
Il
gruppo di scienziati bolognesi guidati da Vincenzo
Balzani pubblica per questa occasione un documento sulla
posizione italiana e sul Piano Energia e Clima, il PNIEC che ne denuncia
l'inadeguatezza, non diversamente da quanto stanno facendo gli studenti
nelle scuole e nelle strade. Questi i concetti principali:
-
In base agli accordi di Parigi e al successivo riesame della situazione
presentato a Katowice si devono ridurre le emissioni di CO2
del 45% entro il 2030 e a zero al 2050. Il primo obiettivo che ogni
Paese dovrebbe proporsi oggi è quindi una rapida transizione energetica.
Non sembra che il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima
presentato dal Governo sia molto efficace per svolgere questo compito,
poiché non prevede e tanto meno propone una forte riduzione dell’uso dei
combustibili fossili e una forte espansione delle rinnovabili. Nel Piano
sono presentate molte proposte sulle quali non si può che essere
d’accordo, come, ad esempio, la necessità di riorganizzare e potenziare
i sistemi di accumulo, l’autoconsumo e la formazione di comunità
energetiche. Altri punti pienamente condivisibili sono: l’urgenza di
superare le attuali criticità nella distribuzione dell’energia e
nell’integrazione del mercato, l’individuazione di meccanismi per
risolvere il problema della povertà energetica, la necessità di
aumentare i fondi e ridurre la frammentazione nei finanziamenti delle
ricerche sull’energia e di promuovere un’azione di informazione e
formazione delle persone.
-
Chi si aspettava però un Piano capace di riportare l’Italia nella rotta
giusta e di rispondere all’ultima chiamata degli scienziati (IPCC
SR15, ndr.) rimarrà deluso. La previsione di
raggiungere con le rinnovabili 187 TWh nel 2030, il 38.7% della
produzione elettrica, è deludente e notevolmente inferiore, ad esempio,
alla previsione del Coordinamento FREE (210 TWh). Nel Piano non c’è
traccia della carbon tax, provvedimento molto delicato, ma
necessario per la transizione energetica.
-
Nel
periodo 2021-2030 il consumo di energia si dovrebbe ridurre di circa 51
Mtep. Il Piano afferma che si raggiungerà questo obiettivo risparmiando
ogni anno lo 0,8% di energia rispetto ai consumi dell’anno precedente.
Il Piano prevede grandi risparmi di energia termica derivanti da una
forte diffusione delle reti di teleriscaldamento alimentate da centrali
termoelettriche a cogenerazione, biomasse, o termovalorizzazione dei
rifiuti, mentre insiste molto meno sulla opportunità di diffondere l’uso
del solare termico e delle pompe di calore.
-
Nel settore dei trasporti le politiche del Piano sono deludenti.
Anzitutto c’è un equivoco, purtroppo molto diffuso, dovuto anche a
disposizioni di legge precedenti: si parla di “carburanti alternativi”
indicando con questo nome biocarburanti, elettricità da rinnovabili,
idrogeno e a volte anche gas naturale, cose che non potrebbero essere
più diverse fra loro.Il Piano è chiaramente orientato per continuare con
l’uso dei combustibili fossili. Manca qualsiasi accenno a una data
indicativa per il phase out dei veicoli a benzina e diesel,
fissata per il 2025 in Olanda e per il 2040 in Francia e Regno Unito.
-
I biocarburanti non possono giocare un ruolo importante nelle
transizione energetica perché l’efficienza della fotosintesi naturale è
molto bassa (0,1-0,2%) e la ricerca scientifica mostra che non è
possibile aumentarla in modo significativo. L’efficienza di conversione
dei fotoni del sole in energia meccanica delle ruote di un’automobile (sun-to-wheels
efficiency) è più di 100 volte superiore per la filiera che dal
fotovoltaico porta alle auto elettriche rispetto alla filiera che dalle
biomasse porta alle auto alimentate da biocarburanti. La cosa non
meraviglia perché i motori elettrici, oltre a non produrre CO2,
non inquinano, sono quattro volte più efficienti dei motori a
combustione interna, sono molto più facili da riparare e meno costosi da
mantenere. Un ultimo grande vantaggio dell’alimentazione elettrica è che
l’energia si può ottenere senza occupare suolo agricolo, ma collocando i
pannelli fotovoltaici sui tetti e su altre aree inidonee alla
agricoltura.
-
L’intendimento del Piano, già contenuto nella Strategia Energetica
Nazionale del precedente governo, è fare dell’Italia un hub del
gas. Ma
il
consumo di gas, che era di circa 85 Gmq all’anno nel periodo 2005-2008,
è diminuito negli ultimi anni (75,2 Gmq nel 2017). Le previsioni SNAM
sono per un consumo di 74,3 Gmq nel 2027 e per una più decisa
diminuzione negli anni successivi (70.9 Gmq nel 2030). Gli attuali
canali di fornitura del metano sono, dunque, più che sufficienti.
TORNA SU

27 Febbraio 2019. Lo sviluppo sostenibile nella visione dei partiti politici
Nella cornice della presentazione alla Camera dei deputati, del suo
Presidente Fico e del Presidente del Consiglio Conte del Rapporto ASviS "La
Legge di Bilancio 2019 e lo sviluppo sostenibile"
(vedi il resoconto nel
sito) i partiti politici sono stati richiesti di esporre pubblicamente il loro
posizionamento rispetto allo sviluppo sostenibile ed al modello italiano di
governance. In particolare è stato loro chiesto un parere sulla
introduzione dello sviluppo sostenibile nella prima parte della
Costituzione, per la quale il PD ha presentato una proposta di legge. Tutti
i partiti hanno espresso la loro condivisione meno i due di governo. La Lega
è contraria, i 5 stelle ci "devono pensare". Di seguito, nell'ordine
degli interventi, riassumiamo per concetti le principali posizioni di tutti
i partiti. In rosso le affermazioni contrarie alla sostenibilità.
Forza Italia, Mariastella
Gelmini
-
Il
Reddito di cittadinanza non sconfigge la povertà.
-
Bene per la introduzione degli indicatori BES di
Benessere equo
e sostenibile nel DEF, ma
il PIL non va archiviato. Il BES è al più
complementare al PIL.
Rossella Muroni, Liberi ed
eguali
-
Gli SDG sono tutt'altro che generici. Richiedono una visione ed una
strategia molto forte. Su di essi non si può fare melina.
-
Essere in favore dello sviluppo sostenibile significa essere per
l'Europa.
-
è essenziale l'empowerment
femminile. Le donne sono protagoniste, in particolare nella lotta ai
cambiamenti climatici.
5
Stelle, Gianni Girotto, Presidente della Commissione Industria del Senato
-
Non è vero che non abbiamo introdotto lo sviluppo sostenibile nelle
politiche di governo. Infatti abbiamo introdotto l'analisi
costi/benefici in tutte le decisioni.
-
La tecnologia definisce la società e caratterizza
lo sviluppo. Oggi l'intelligenza artificiale e la blockchain
sono i protagonisti dell'innovazione tecnologica.
-
Nella transizione energetica stiamo eliminando gli ostacoli
all'autoproduzione. In particolare abiliteremo i condomini a vendere
l'energia rinnovabile prodotta sui propri tetti che in Italia ha una
potenzialità di 70 GW a fronte di un installato che oggi è di 19 GW.
-
La
mobilità attuale è un insulto alla termodinamica (?). Oggi spostiamo
1500 kg per la mobilità di una persona. La nostra politica di
incentivazione non è tanto per l'auto elettrica quanto per dimezzare il
numero dei veicoli privati potenziando il TPL.
-
Puntiamo sulle FER. Il gas naturale è un equivoco che produce
esternalità negative come ogni altro fossile.
-
L'impegno della finanza per gli investimenti nello sviluppo sostenibile
e nella decarbonizzazione è insufficiente.
-
Il
PIL non è un indicatore adeguato, secondo la lezione di Kennedy.
Partito Democratico, Graziano Delrio, Capogruppo alla Camera
-
Non la tecnologia ma la formazione è la chiave dello sviluppo
sostenibile. La tecnologia non abbatterà la povertà né renderà
sostenibile la società.
-
La
povertà è figlia della crisi. Il nostro Reddito di inclusione è stato
tardivo e d insufficiente. Ci batteremo per un Reddito di cittadinanza
realmente efficace.
-
Chiediamo l'abolizione del cipe,
un inutile sovrastruttura che ritarda gli investimenti. Riteniamo quindi
inutile la trasformazione del CIPE in un Comitato interministeriale per
lo Sviluppo sostenibile.
-
La
parità di genere nelle istituzioni è in rapido peggioramento.
+
Europa, Alessandro Fusacchia
-
Le
politiche del Governo sono in fase di bulimia propositiva senza nessuna
attenzione alla delivery.
-
L'istruzione è l'aspetto fondamentale dello sviluppo sostenibile e non è
vero che nell'era dell'intelligenza artificiale la scuola è
un'istituzione obsoleta.
-
L'empowerment
femminile è in pericolo. Il DdL Pillon è un incubo. Si vada a
provvedimenti effettivi, si porti a tre mesi il congedo maschile di
paternità.
Lega,
Alberto Bagnai, Presidente della Commissione Finanza e Tesoro del Senato
-
Prima di mettere lo
sviluppo sostenibile nella Costituzione togliamo l'obbligo del pareggio
di bilancio.
-
L'Agenda 2030 non è al
centro dei miei pensieri. Vive in una sua dimensione retorica che, in
nome del politically correct, vuole mettere a tacere le voci di
dissenso.
-
L'Agenda 2020 ha largamente fallito i suoi obiettivi occupazionali.
Cosa potrà mai fare l'Agenda 2030? (Confonde EU ed ONU!)
-
Ho delle resistenze culturali alla sostenibilità
che è una eredità Malthusiana.
-
Ho
forti riserve sull'Unione Europea. L'ONU ha
fallito nella sua pretesa di governance sovranazionale. Nessuno
dei due è indispensabile per lo sviluppo.
-
Affiancare il BES o magari la felicità lorda (GNH,
Buthan) al PIL è tempo perso. Piuttosto, nelle contabilità
nazionali, togliamo gli investimenti sul capitale umano dai
consumi e spostiamoli sugli investimenti.
-
Il
PD è responsabile della povertà, non la crisi. Tutti sanno (?) che le
crisi si gestiscono. Il PD ha portato il debito pubblico dal 100 al 132%
del PIL.
-
Sono un keinesiano vecchia maniera che ... (?)
Fratelli d'Italia, Guido Crosetto
-
Siamo i più favorevoli allo sviluppo sostenibile.
-
Per evitare che gli SDG siano ridotti a slogan di moda nei convegni,
occorre lavorare sull'immaginario collettivo, a livello della
sensibilità dei cittadini.
TORNA SU

Febbraio 2019. I misteri che non sono misteri: la blockchain
"Le
decisioni della finanza internazionale vengono sempre più spesso prese
mediante l'intelligenza artificiale. Ma essa non è per ora in grado di
interiorizzarei principi dello sviluppo sostenibile" Francesco Starace, AD
ENEL, 27 febbraio
Molto spesso gli artifizi dell’informatica creano un alone di mistero
intorno a sé e con esso coorti di adoratori più o meno disinteressati. Fu il
caso della new economy, dell’intelligenza artificiale ed ora della
blockchain. Crediamo opportuno dissolvere queste come altre cortine di
incomprensione verso le nuove tecnologie. Per questo l’appunto che segue può
essere d’aiuto. Ovviamente maneggiare queste tecnologie è un’altra storia,
ma tra maneggiare ed essere maneggiati c’è una bella differenza.
La blockchain è una delle più celebrate tecnologie del momento. Ma
cos'è? La prima grande applicazione della tecnologia blockchain è il
bitcoin, una delle monete digitali in criptovaluta, creata nel 2009.
Il bitcoin viene attribuito a Satoshi Nakamoto
che non si sa chi sia né se è una persona o un gruppo. La sua
visione si trova nel libro bianco di fine 2008,
Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System. Utilizzeremo il
bitcoin per raccontare la tecnologia blockchain.
La blockchain è un database crittografato e non modificabile
né dagli utenti né da eventuali intromissioni che nel bitcoin è
sostanzialmente un libro mastro pubblico che ritiene una traccia indelebile
ogni transazione che ha avuto luogo. Non può essere alterato o modificato in
modo retrospettivo. Pubblico lo si definisce perché non è emesso da
un'autorità centrale né da un soggetto privato o da un cartello. Nel bitcoin
è stato fissato un limite di 21MɃ,
e, a metà 2018 sono in circolazione circa 17 MɃ.
Il
Ƀ
è stato spesso utilizzato per acquistare prodotti illeciti, droghe, armi,
etc. La blockchain di
Ƀ
è gestita da una rete di persone note come miners, nodi della rete
web che risolvono in competizione i complessi problemi di crittografia
per accreditare una transazione
Il vincitore riceve un premio in Ƀ.
Ogni transazione
Ƀ
proviene da un portafoglio che ha una chiave privata di accesso, cioè una
firma digitale, e deve essere accompagnata da una prova matematica che la
transazione proviene dal proprietario del portafoglio. Le singole
transazioni sono raggruppate in un blocco, costruito con rigide regole
crittografiche. Il blocco viene inviato alla rete bitcoin, che
convalida le transazioni attraverso complessi algoritmi matematici.
Il blocco validato viene aggiunto ai blocchi precedenti creando una catena
di blocchi da cui il nome blockchain.
Lo schema
Ƀ
originale di Nakamoto è il seguente. Non provate nemmeno ad interpretarlo,
vi scoraggerebbe.

La blockchain è a prova di manomissione. Ogni blocco che viene
aggiunto alla catena porta un riferimento rigido e crittografico al blocco
precedente che è parte del problema matematico che deve essere risolto per
portare il nuovo blocco nella catena. Gli algoritmi elaborano un numero
casuale, il nonce, che, combinato con altri dati come la dimensione
della transazione, crea un'impronta digitale crittografata chiamata hash.
Ogni hash è unico e deve soddisfare determinate condizioni
crittografiche per completare il blocco e aggiungerlo alla catena. Se lo si
volesse manomettere occorrerebbe riestrarre gli algoritmi crittografici di
ogni blocco precedente. Nel bitcoin ce ne sono mezzo milione e quindi
la decrittazione è di fatto impossibile.
Ora è chiaro che si tratta di un database bloccato di eventi
qualsiasi. Il meccanismo di blocco richiede risorse enormi di lavoro,
conoscenze, capacità, soldi ed energia, ma alla fine pare aver convinto
molti della sua efficacia.
La blockchain di
Ƀ
registra tutte le transazioni in bitcoin, non consente pagamenti
ripetuti e richiede a più parti di autenticare i movimenti in
Ƀ.
Poiché non è centralizzata, anche se una parte di essa è compromessa, non
collassa l'intera rete, come già avviene per Internet. I database
di
proprietà di entità aziendali e governative non sono viceversa accessibili
al pubblico e sono di fatto aperti a frodi o attacchi che possono
paralizzare la rete o saccheggiare i dati.
I problemi non mancano. Nel bitcoin i tempi e i costi delle
transazioni sono aumentati a dismisura e la rete è congestionata. Divergenze
di vedute tra gli utilizzatori hanno portato a biforcazioni della
blockchain. Sono nate la
Cash bitcoin e la
Gold bitcoin. Niente di male ma il numero di nodi diminuisce e
in teoria, se un nodo controlla più della metà del potere di estrazione di
una criptovaluta, potrebbe potenzialmente falsificare il registro della
blockchain, come è successo con la variante Gold. C’è materiale illecito
seppellito nella blockchain
Ƀ
in cui si sono trovati contenuti come la pornografia infantile,
crittografati allo stesso modo e quindi molto difficili da trovare. Per i
costi di energia e lavoro Wall Street stima che il prezzo minimo
remunerativo è di 8 $ per
Ƀ,
ma
se
Ƀ
rimane al di sotto per un lungo periodo di tempo, molti miner
potrebbero allontanarsi, causando un ulteriore aumento dei tempi di
transazione.
Questo tipo di volatilità non è chiaramente adatto per le imprese. Pertanto,
molte aziende hanno iniziato a sviluppare in proprio la tecnologia
blockchain al fine di avere un registro delle attività condiviso,
rendere le transazioni più efficienti, un numero ridotto di parti intermedie
coinvolte e minori costi di elaborazione.
Un certo numero di sviluppatori ha creato piattaforme blockchain per
le aziende interessate. Tra esse le piattaforme
Ethereum, specializzata in contratti smart con una
propria criptovaluta, Ripple, che produce
xCurrent e gestisce la criptomoneta XRP per le
transazioni valutarie internazionali, poi ancora
Hyperledger,
IBM,
R3 etc.
Sono note due applicazioni bancarie importanti, segnalate da
CNBC, la Santander e
la BBVA.
La Santander ha lanciato un servizio noto come One Pay FX che
funziona sulla piattaforma Ripple. Consente ai clienti di inviare
denaro da una valuta all'altra in un certo numero di paesi, tra cui la
Spagna, il Regno Unito, il Brasile e la Polonia. I clienti possono vedere
quanti soldi arriveranno e il costo della transazione nella loro app.
La BBVA ha realizzato un progetto pilota nel quale ha emesso un prestito di
75 M€ utilizzando la blockchain in partnership con una società
chiamata Indra costruendo un proprio sistema che usa moneta corrente sulla
piattaforma Ethereum. BBVA stima un risparmio di tempo del 50% quando
si emette un prestito sulla blockchain rispetto al processo
tradizionale.
Come si diffonderà la blockchain? Qualsiasi soggetto che spera di
rendere i processi più economici, veloci, tracciabili e sicuri può essere
interessato. Il gruppo di borsa Nasdaq ha collaborato con la banca svedese
SEB per provare una piattaforma di negoziazione di fondi comuni basata su
blockchain. La tecnologia può anche essere utilizzata per tracciare i
prodotti lungo l’intera catena del valore di una corporate. Le
elezioni sono un altro spazio a cui potrebbe essere applicata la tecnologia
blockchain. Nelle elezioni primarie della West Virginia a maggio
2018, alcuni elettori hanno potuto votare tramite una piattaforma mobile
basata su blockchain.
Per informazione del lettore, la piattaforma italiana Rousseau dell’azienda
milanese
Casaleggio associati,
dimostratasi manipolabile e vulnerabile, non usa la blockchain ma
vorrebbe farlo e sta a tale scopo raccogliendo fondi importanti tra i
militanti 5*.
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8
gennaio 2019. Pubblicato il Piano
nazionale integrato per
l’energia e il clima per il periodo 2021-2030

Atteso da molto tempo per fare ordine nelle prospettive italiane su energia
e clima, viene inviato finalmente alla Commissione Europea il testo del
documento, che tutti gli Stati membri sono tenuti a produrre, secondo quanto
stabilito nel
Pacchetto
UE Energia pulita
nelle le cinque dimensioni dell’Energy
Union
decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato
interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività.
Il Piano dovrà essere
adottato
entro il 31 dicembre 2019 dopo l'approvazione formale della Commissione alla
quale,
ogni due anni, il nostro Paese dovrà riferire sui risultati ottenuti.
Una volta approvato dalla Commissione, il
Piano PNIEC
si dovrà ritenere vincolante.
Per dichiarazione del sottosegretario allo Sviluppo economico con delega
all’Energia Davide Crippa, il Piano intende dare attuazione a una visione di
ampia trasformazione dell’economia, nella quale la decarbonizzazione,
l’economia circolare, l’efficienza e l’uso razionale ed equo delle risorse
naturali rappresentano insieme obiettivi e strumenti per una economia più
rispettosa delle persone e dell’ambiente. Siamo riusciti nei tempi previsti
prossimi 10 anni. Il merito va ad un cambiamento radicale nell’approccio
alla politica energetica e all’eccellente lavoro di squadra che ha coinvolto
tecnici e policy maker di Mise, Mattm, Mit, Gse, Ispra, Enea, Politecnico di
Milano e Arera. Il Piano – ha aggiunto Crippa – è uno strumento che per
raggiungere i propri obiettivi avrà bisogno del sostegno e della
collaborazione attiva da parte di tutti gli
stakeholder,
sia nella fase di predisposizione che di realizzazione. Per questo,
prevediamo una consultazione a tutti i livelli e, soprattutto, con le parti
interessate, comprese le parti sociali.
La
gestione del Piano sarebbe affidata ad una apposita struttura di dialogo e
confronto che coinvolgerà i ministeri dello Sviluppo economico,
dell’Ambiente, delle Infrastrutture e le Regioni, ma anche altri ministeri
indispensabili come i ministeri dell’Economia, dei Beni Culturali,
delle Politiche Agricole, dell’Istruzione e del Lavoro.
Secondo il RES Magazine di Roberto Moneta, vicino al Ministero per lo
sviluppo, dall’attuazione del Piano viene stimato al 2030 un aumento
dell’occupazione permanente nella produzione di energia di circa 6.700
unità, effetto di un calo di 6.000 occupati nel campo fossile e di un
aumento di circa 12.700 unità nelle rinnovabili di cui 9.450 nel solo
solare. Il piano stima nel 2017-30 investimenti medi annui di circa 12 Mld,
di cui 2 nel fotovoltaico, che produrranno un valore aggiunto di circa 6.700
Mld l’anno, un gettito fiscale di 2 Mld/anno e 74.900 occupati permanenti
all’anno. L’Italia si è impegnata a raddoppiare il valore del portafoglio
delle risorse per la ricerca pubblica in ambito
clean energy, dai circa 222 Mln€ nel 2013 ai circa 444 Mln€ a partire
dal 2021. Tra le aree di ricerca e sviluppo su cui concentrarsi, il Piano
indica il solare fotovoltaico e a concentrazione e, più in prospettiva,
l’energia del mare, i sistemi per l’accumulo, i dispositivi d’impianto per
la sicurezza del sistema elettrico, la mobilità elettrica, le bioraffinerie,
materiali, processi e sistemi per l’efficienza energetica dell’industria e
degli edifici.
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8
ottobre 2018. Lo IPCC presenta l'atteso
Rapporto speciale
SR15 sugli impatti del riscaldamento terrestre di 1,5 °C a
fine secolo (>
vai al commento nella pagina del clima)

Per molti anni, dopo la COP 15 di Copenhagen 2009,
l'obiettivo di fatto per i responsabili politici globali
è stato limitare il riscaldamento globale a non più di 2 °C rispetto ai
livelli preindustriali. L'obiettivo era stato formalizzato a Cancùn alla
conferenza sul clima delle Nazioni Unite in Messico nel 2010. Durante i
colloqui sul clima svoltisi a Bonn nel maggio 2015, l'ONU aveva pubblicato
un nuovo rapporto
in cui avvertiva che il limite dei 2 °C non sarebbe stato adeguato per
evitare alcuni degli impatti più gravi dei cambiamenti climatici.
Raccomandava, pur in assenza di risultanze scientifiche probanti, che si
facessero sforzi per spingere la linea di difesa il più in basso possibile.
A dicembre 2015 a Parigi, 195 paesi hanno approvato l'accordo, che comprende
l'obiettivo a lungo termine di limitare l'aumento della temperatura globale
"ben
al di sotto di 2 °C"
e di "proseguire
gli sforzi verso gli 1,5 °C".
Su questo mutamento di scena hanno avuto influenza tanto gli esperti delle
Nazioni Unite, quanto i governi delle piccole isole minacciate di
sommersione e ormai consapevoli che alcune regioni soffrono di anomalie
termiche maggiori della media globale, circostanza che oggi viene
confermata. Come parte del testo dell'Accordo, la Convenzione delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) ha invitato" l'IPCC a fornire una
relazione speciale entro il 2018 sugli impatti del riscaldamento globale a
fine secolo di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali e sui
percorsi di emissione
relativi ai gas serra. L'IPCC ha accettato questo invito a seguito di un
incontro a Nairobi nell'aprile 2016 e ha quindi redatto una bozza del
rapporto durante la riunione di Ginevra nell'agosto dello stesso anno.
Questo schema è stato approvato due mesi dopo durante un incontro a Bangkok
dove
il gruppo di esperti scientifici ha concordato sul titolo, la struttura e la
portata della relazione speciale
Il Rapporto
speciale sugli 1.5 °C (SR15) è stato presentato in data di oggi sotto la
guida scientifica congiunta dei Gruppi di lavoro IPCC I, II e III, con
il supporto dell'unità di supporto tecnico. Viene
presentato in parallelo un
Sommario per i
policymaker.
Ci sono altre due relazioni speciali in corso di preparazione nell'ambito del Sesto ciclo di
valutazione dell'IPCC. Queste relazioni speciali sui cambiamenti climatici e
terra (SRCCL) e sull'oceano e la criosfera in un clima che cambia (SROCC)
saranno pubblicate rispettivamente in agosto e settembre 2019. Il Rapporto
speciale SR15 è composto da cinque capitoli. Il sommario per i responsabili
delle politiche (SPM) si basa sui risultati principali di questi capitoli.
Il Rapporto speciale SR15 intende dare un contributo al cosiddetto
dialogo talanoa
che avrà luogo nel dicembre 2018 alla COP 24 che si terrà in Polonia. Il
dialogo
talanoa
è il processo internazionale per fare il punto sugli sforzi
collettivi nei confronti degli obiettivi a lungo termine dell'Accordo di
Parigi e per rafforzare gli impegni dei paesi a ridurre le proprie
emissioni, a predisporre misure per l'adattamento e per contribuire per la
loro parte al finanziamento della lotta ai cambiamenti climatici.
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9 maggio 2018:
Pubblicato il nuovo libro di Edo Ronchi sullo Sviluppo sostenibile e la
transizione alla Green economy
Il
Meeting di primavera, per il decennale della Fondazione, è stato dedicato
alla presentazione del nuovo libro del suo presidente, Edo Ronchi nel
contesto di un panel di discussant di rilevo, scelti tra i più
autorevoli esponenti dell'attuale complesso quadro politico italiano. Il
titolo del libro rinvia al processo in atto che trasporta il sistema
economico mondiale verso un modello di Green economy sostenibile,
ormai indispensabile a fronte delle gravi crisi economiche, sociali e
politiche che attraversano l'umanità. In realtà è a pieno titolo un saggio
sullo sviluppo sostenibile di profilo alto abbastanza per costituire un
riferimento per il pensiero politico periclitante e per arricchire il
ragionamento ecologico che, nel nostro paese e nella nostra lingua, sta
vivendo di stenti. Sono molti i significati dell'iniziativa che si colloca a
dieci anni dal lancio del programma UNEP sulla Green economy ispirato
dalla volontà di contrastare la grave crisi economica appena nata con un
Green New Deal di ispirazione roosveltiana.
Sono i primi dieci anni di vita della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile
che promuove il Consiglio nazionale della Green economy e il progetto di
transizione che esso rappresenta per l'imprenditoria italiana. La presenza
delle maggiori forze politiche, è inutile dirlo, suona come un appello
perché la transizione venga sostenuta nel quadro incerto che si prefigura
per la politica italiana.
Il panel è stato gestito da Antonio Cianciullo,
recente autore lui pure di un libro sulla "Ecologia
del desiderio. Curare il pianeta senza rinunce"
che, su un piano narrativo del tutto diverso, originale e stimolante, rinvia
alle stesse tematiche della transizione con grande attenzione alla risposta
sociale alla crisi ecologica ed economica.
è intervenuto a commentare
per primo il libro di Ronchi Jean Paul Fitoussi, decano della sostenibilità,
protagonista con Amartya Sen e Joseph Stiglitz della elaborazione moderna
del concetto dello Sviluppo sostenibile basato sul benessere e la qualità
della vita ridefiniti in un nuovo quadro al contempo teorico ed
operazionale. Sono poi intervenuti Andrea Orlando, ex ministro dell'Ambiente
e della Giustizia, di area Partito Democratico; Giulio Tremonti, ex ministro
dell'economia e delle finanze di area Forza Italia; Lorenzo Fioramonti di
area 5 stelle (nella immagine), in odore di incarico come ministro
dello sviluppo del governo in costruzione e Rossella Muroni, ex presidente
della Legambiente ed attuale deputata di area Liberi ed Uguali.
Dedichiamo alle tematiche della transizione secondo
questo libro un editoriale della pagina della Green economy di questo sito (>
vai alla presentazione analitica della "Transizione alla green economy").
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