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Global sustainability offers the only viable path to human safety, equity, health, and progress. Humanity is waking up late to the challenges and opportunities of active planetary stewardship. But we are waking up. Long-term, scientifically based decision-making is always at a disadvantage in the contest with the needs of the present. Politicians and scientists must work together to bridge the divide between expert evidence, short-term politics, and the survival of all life on this planet in the Anthropocene epoch. The long-term potential of humanity depends upon our ability today to value our common future. Ultimately, this means valuing the resilience of societies and the resilience of Earth’s biosphere

Our Planet, Our Future. Nobel Prize Laureates and Other Experts Issue Urgent Call for Action. April 29, 2021

 

 

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COMITATO SCIENTIFICO

DELLA FONDAZIONE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Lo sviluppo sostenibile in Italia e nel mondo

 

CLIMA

Settembre 2023: Energia e clima: tre passi verso la transizione. Considerazioni di medio termine nel time frame dell’Agenda 2030 (di Toni Federico per i GdL 7 e 13 di ASviS)

Comunità degli sforzi. Il punto chiave non è tecnico né politico, ma piuttosto culturale. La transizione ha bisogno di visione, partecipazione e comunità di intenti, tutti fattori controversi nel corpo sociale italiano. È tradizione antica che l’Italia si presenti in tutte le scadenze ed i negoziati internazionali, Assemblee generali ONU, COP, G7, G20 etc. sempre in linea con le posizioni più avanzate e coraggiose, con l’Europa e con i paesi del Nord del mondo. Anche se la presenza italiana si è raramente segnalata per originalità e leadership, è certo che il mondo intero e tutti i paesi in via di sviluppo ci vedono come un paese responsabile e d’avanguardia. Nella stessa Agenda 2030 i target 13. 1 e 2 si tengono vicendevolmente, sostanzialmente prescrivendo che per integrare nelle politiche, nelle strategie e nei piani nazionali le misure di contrasto ai cambiamenti climatici occorre migliorare l'istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale riguardo ai cambiamenti climatici. Ciò comporta una visione comune che non è un’ideologia né tantomeno una religione, ma un patrimonio anche minimo di convinzioni condivise e scientificamente fondate che dica, ad esempio, che il cambiamento climatico è in atto, che è antropogenico e che deve essere fermato. Al contrario media e leader politici sembrano in favore di contrapposizioni artificiose che fanno audience e portano voti, con poco rispetto per quello che per la scienza è ormai certo. Anche i giovani di Greta e di ultima generazione, che chiedono solo di essere ascoltati, vengono discriminati e derisi. La qualità dei meccanismi istituzionali di consultazione dei giovani, quali che siano le tematiche in gioco, è un indice della forza di ogni democrazia. L’Europa affronta nei suoi documenti più recenti la complessità del problema chiamando in causa le diseguaglianze che la causa profonda della minore fiducia nelle istituzioni nazionali e dell'EU, nonché nella democrazia liberale in generale. La messa in discussione dei diritti civili, il crescente malcontento e la mancanza di un'agenda positiva causano l’erosione della fiducia nelle istituzioni pubbliche, la polarizzazione e la fioritura di movimenti estremisti, autocratici o populisti. A livello globale, il livello di democrazia di cui gode il cittadino medio è sceso ai livelli di trent’anni addietro. La democrazia è sempre più messa alla prova come modello di governance più adatto ad affrontare le crescenti questioni socio-economiche ed ambientali.

In Europa alcuni dei requisiti fondamentali per una democrazia funzionante sono compromessi, come mostrano le sfide allo stato di diritto e una crescente cittadinanza silenziosa che non va a votare, non partecipa e non si assume responsabilità. Anche la personalizzazione della politica è in aumento, con i leader politici considerati più importanti dei partiti. La polarizzazione del dibattito politico e il senso di isolamento sono amplificati dalla disinformazione, dai social media e dai pregiudizi algoritmici di sapore millenaristico. Inoltre, le comunità che si sentono abbandonate alimentano il disimpegno e il malcontento. Il fallimento nell'affrontare la salute delle democrazie europee potrebbe mettere a dura prova sia il lancio di politiche sostenibili che la stessa transizione. Il ruolo dell’ASviS nei prossimi sette decisivi anni ne risulta amplificato proprio perché, in controtendenza, nei primi otto ha allargato a dismisura il perimetro della discussione partecipata sulla sostenibilità e sul clima, tanto nella società civile quanto nelle istituzioni.

Dotare l’Italia di una Legge per il clima. Il secondo passo è una seria mobilitazione per il phase out dei combustibili fossili dalla nostra economia. La decarbonizzazione, come ci viene ripetuto ad ogni piè sospinto, sarebbe inutile senza i giganti, Cina, India, USA. L’Italia emette il 2% e l’EU circa il 10%. Ma l’Italia è un paese guida, un G7 e un G20, e con l’Europa ha una sola carta in mano che è accelerare la decarbonizzazione e sviluppare un’economia rinnovabile, circolare ed inclusiva, in modo da conquistare un’autonomia energetica e tecnologica per ora lontana e trainare i mercati da protagonista, come Cina ed USA stanno cercando di fare per conto loro. La competitività europea può unicamente essere basata sull’innovazione poiché, in alternativa, diventeremmo irrilevanti all’ombra delle nostre piccole percentuali. Ad essa va aggiunto il rilancio delle politiche di aiuto allo sviluppo dei paesi arretrati. È quanto EU sta cercando di fare con il Green Deal e i suoi sviluppi, non senza successo. Anche le aree di opposizione al Green Deal confusamente percepiscono che la transizione è la via anche per rendere sostenibile il problema delle migrazioni, senza porsi alla coda di un fenomeno mondiale immaginando impossibili approcci repressivi o umilianti compra-vendite. Si agita lo spauracchio dei tempi stretti della transizione, ma in realtà si tratta di più di un quarto di secolo. Gli obiettivi al 2030 sono sfidanti, ma compatibili con il sistema industriale e, se accompagnati da politiche sociali avvedute, si possono raggiungere senza toccare né il lavoro né il welfare né le convenienze degli investitori. La nostra cura è aprire le strade, muovere i fattori abilitanti, acquisire il consenso. I Piani per la mitigazione e l’adattamento, PNIEC e PNACC, sono sul tavolo, ma devono essere trasferiti in una Legge per il clima votata in Parlamento. Solo così le occasioni diventano scadenze, a cominciare dai phase out dei sussidi ambientalmente e climaticamente dannosi. Con la dovuta gradualità si può cominciare a modificare il regime delle agevolazioni in modo da svelare gli alti costi dell’economia fossile e, dopo qualche attrito di primo distacco, aprire la strada alle convenienze universali dell’economia rinnovabile e circolare. L’impresa titanica è smobilitare il sistema gas, dominante in Italia. Non abbiamo petrolio né carbone né fracking e il gas lo paghiamo a cifre esose anche se viene da paesi amici. Sembrerebbe quindi facile capire che ogni tep consumato in rinnovabili è un tep in meno di gas naturale e che, in lunga prospettiva, del metano si può fare a meno. Allora perché l’idea velleitaria di fare dell’Italia lo snodo, il supermercato, ovvero l’hub del gas? È vero, l’Africa è vicina, ma può dare in solare e in idrogeno verde molto di più che in gas e guadagnare in sviluppo molto di più che dando contratti alle multinazionali del fossile, come insegna il caso della Nigeria. Perché allora non un hub dell’idrogeno green fatto con il solare dove è in eccesso permanente? Potremmo cominciare proprio dalla Sardegna facendone un caso esempio, invece di finanziare la costruzione dell’ennesimo tubo destinato a non trasportare niente. Intanto siamo fuori dal primo grande progetto della pipeline europea per l’idrogeno che è ispano-franco-tedesco, al di là delle polemiche sull’idrogeno nucleare francese. Perché poi alimentare una polemica quotidiana contro la mobilità elettrica, finora millesimale, quando Stellantis, quel che resta dell’automotive italiana, sta mettendo sul mercato due modelli economici per le famiglie e dichiara un possibile rinuncia ai motori a combustione interna nel 2030, cinque anni prima della scadenza europea? Perché dire che il tutto elettrico della fine di questo secolo metterà in crisi la rete elettrica di trasmissione e di distribuzione, pensando a quella di oggi? La rete elettrica smart dei prossimi anni, supportata dalle tecnologie digitali e dall’intelligenza artificiale, è lontana parente di quella di oggi, è un web basato sulle fonti rinnovabili, sull’autoconsumo, sullo stoccaggio dell’energia e sull’efficienza dei consumi sia in quantità che in modalità d’uso programmate. Una legge per il clima dotata di milestone, di risorse e di ruoli metterebbe fine in fretta a queste inutili polemiche.

Portare al massimo la produzione elettrica rinnovabile. Il terzo passo è l’apertura ad uno sviluppo delle fonti rinnovabili di energia e all’economia circolare della materia all’altezza degli impegni presi. L’Italia si è portata all’avanguardia nel riciclo circolare dei rifiuti, 55 contro il 48% della media europea, anche grazie alle politiche illuminate di inizio secolo. Sono stati i primi passi dell’economia circolare. Nel 2021, in Italia è stato riciclato il 73% degli imballaggi raccolti. superando l’obiettivo EU del 65% entro il 2025. L’Europa ricicla meno e vorrebbe più riuso. Ovviamente riuso e riciclo non sono in competizione ma sono complementari, tanto che per la costruzione di impianti di riciclo e raccolta differenziata, il PNRR italiano stanzia circa 2,1 miliardi di euro. La Commissione spinge per il riuso all’insegna delle filiere corte di Farm to Fork, con l’obiettivo di ridurre i rifiuti da packaging del 15% entro il 2040 in ciascun paese. Secondo la Commissione smaltire beni potenzialmente riutilizzabili produrrebbe ogni anno 35 Mt di rifiuti e perdite per oltre 12 M€. D’altra parte, grazie alla trasformazione dei rifiuti, nel 2021 l’Italia ha recuperato 285 mt di acciaio, pari a 739 treni Frecciarossa, 16 mt di alluminio che equivalgono a 1,5 miliardi di lattine e 1,8 t di vetro, pari a 5 miliardi di bottiglie di vino. Resta da fare il conto dell’impronta carbonica dei due approcci.

Purtroppo stiamo assistendo in Italia al declino delle fonti rinnovabili di energia elettrica come mostrato in Fig. 4. Partiti nel secondo decennio con sussidi incentivanti sovradimensionati che hanno portato capitali in Italia e profitti all’estero, abbiamo potuto raggiungere nel 2011 un installato annuo di circa 11 GW. Da allora stiamo mestamente declinando verso lo zero con un modesto segno di ripresa solo nel 2022, sette anni sprecati. Disincentivazione intempestiva, burocrazia, pregiudizi, fake news e disinformazione possono essere tutti fattori riconoscibili di questo disastro ma ci sono forze organizzate con le quali fare i conti. Ci sono alternative allo sviluppo delle fonti rinnovabili? I consumi elettrici aumenteranno comunque percentualmente con l’avanzare del contrasto ai cambiamenti climatici, perché i rendimenti elettrici sono inarrivabili e perché si può fare elettricità senza CO2. Un progetto per il futuro deve essere esplicitamente dichiarato. Se deve essere gas naturale sappiamo che gli obiettivi di Parigi e dell’Europa saranno perduti per l’Italia. Inoltre il gas costa ed è difficile trovarlo sul mercato a causa della competizione crescente dei paesi emergenti. Il sistema industriale italiano si dichiara pronto ad andare oltre il raddoppio delle FER elettriche entro il 2030, installando 8-10 GW di nuova potenza ogni anno e tutto lo stoccaggio necessario. Con l’aiuto del PNRR si sta dando mano al reshoring delle catene del valore, pannelli, batterie e idrogeno. La strada è aperta: il percorso dell’elettrificazione rinnovabile da qui al 2050 è possibile, sostenibile e sicuro. La progressione può essere gestita anche nella chiave sociale dell’autoconsumo, del welfare e dell’occupazione, con criteri di equità e giustizia, confortati da esperienze che ormai dimostrano che i posti di lavoro aumenterebbero di numero e di qualità e che le riconversioni si possono guidare rispettando i diritti dei lavoratori ed anche le convenienze del sistema industriale e commerciale. Le comunità energetiche rinnovabili, sviluppate in chiave solidaristica, sono una chance democratica e partecipata, anche per lottare contro la povertà energetica.

Energia dalla materia si può ricavare, poco dalla fissione dei macroelementi, essenzialmente uranio e torio che nemmeno abbiamo in Italia, molto di più, in prospettiva, dalla fusione dell’idrogeno con la tecnologia europea Tokamak piuttosto che con i laser nordamericani. La fissione si è logorata in decenni costellati da gravi incidenti e da rischi ancora peggiori, senza un minimo progresso rispetto alle basi fisiche e alle tecnologie postbelliche. La fusione non ha i tempi della decarbonizzazione al 2050. Gli investitori sono del tutto restii su entrambi i fronti.

Concludiamo sottolineando che i tre passi per la transizione, che sono la sintesi della proposta midterm per il clima e l’energia dell’Agenda 2030 per l’Italia, sono fortemente interdipendenti e si richiamano l’un l’altro. Consapevolezza, visione e senso comunitario si accompagnano strettamente al riconoscimento del dato scientifico della natura antropogenica del cambiamento climatico e della potenziale irreversibilità sistemica dei suoi impatti. La transizione energetica è condizione per entrambi i passi poiché ancor oggi dagli usi dell’energia deriva l’80% circa dei gas che alterano il clima e riscaldano la terra e perché nel percorso da qui al 2050 non ci sono alternative ecologicamente ed economicamente credibili alle fonti di energia rinnovabile. > leggi l'intero documento

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SVILUPPO SOSTENIBILE Giugno 2023: La retorica dello sviluppo sostenibile: il greenwashing

 Contributi di Simona Fabiani (CGIL), Toni Federico (ed.; Fondazione per lo sviluppo sostenibile), Grazia Francescato (Verdi Europei), Domenico Gaudioso (GHGMI Italia), Mariagrazia Midulla (WWF), Flavio Natale (ASviS)

 

Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha incaricato il gruppo di esperti ad alto livello sugli impegni net zero dei soggetti privati e delle amministrazioni di affrontare le promesse e gli impegni da parte di attori non statali, tra cui società, istituzioni finanziarie e amministrazioni locali e regionali. Nell'intraprendere il proprio lavoro, e per formulare le proprie conclusioni e raccomandazioni, il gruppo di esperti si è basato sulla credibilità dei soggetti e sui quadri di definizione degli standard per gli impegni net zero.

Il gruppo di esperti riconosce che le capacità e le esigenze differiscono ampiamente all'interno e tra gli attori non statali. Sebbene l'attenzione delle raccomandazioni si sia concentrata sui criteri e gli standard che si applicano alle grandi società, agli istituti finanziari, alle città e alle regioni, il gruppo di esperti riconosce che anche gli attori non statali più piccoli svolgono un ruolo importante e avranno bisogno di sostegno e assistenza per accrescere le proprie capacità. In sette mesi, i membri del gruppo hanno tenuto oltre 40 consultazioni regionali e tematiche, coinvolgendo oltre 500 organizzazioni in tutto il mondo. Il gruppo ha inoltre ricevuto quasi 300 contributi scritti da organizzazioni, iniziative e individui interessati.

I cinque principi suggeriti dagli esperti delle Nazioni Unite sono in sintesi:

1.      Ambizione che consenta di ottenere significative riduzioni delle emissioni a breve e medio termine, in un percorso che porti a emissioni zero di anidride carbonica a livello globale entro il 2050 e a emissioni zero di gas serra subito dopo.

2.      Dimostrare integrità allineando le azioni e gli investimenti agli impegni dichiarati.

3.      Trasparenza radicale nella condivisione di dati rilevanti resi comparabili su piani e progressi.

4.      Credibilità consolidata grazie a piani basati sulla scienza e sulla responsabilità delle terze parti.

5.      Impegno dimostrabile per l'equità e la giustizia in tutte le azioni.

Il percorso suggerito dagli esperti delle Nazioni Unite a tutti gli operatori non statali si può rendere sotto forma di un decalogo di raccomandazioni:

1.      Annunciare un impegno net zero

2.      Stabilire obiettivi net zero

3.      Utilizzare i permessi di emissione del mercato volontario rispettando i nuovi standard internazionali senza recare danni alle popolazioni indigene

4.      Creare un piano di transizione

5.      Eliminare gradualmente i combustibili fossili e aumentare in proporzione le energie rinnovabili

6.      Allineare le attività di lobbying e di advocacy

7.      Dare alle persone e alla natura il ruolo di protagonisti di una transizione giusta

8.      Aumentare la trasparenza e la responsabilità

9.      Investire nella transizione giusta

10. Accelerare il percorso verso una regolamentazione internazionale di tutta la materia.

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CLIMAGiugno 2023: Il nuovo Piano nazionale energia e clima: dieci raccomandazioni per l'abbandono dei combustibili fossili

 

La crisi energetica e quella climatica sono fortemente interdipendenti e richiedono decisioni complesse, da adottare in stretto raccordo tra di loro per conseguire gli obiettivi europei fissati per il 2030 e il 2050. Si tratta di decisioni che investono politiche economiche e fiscali, politiche industriali e della ricerca, politiche sociali, con evidenti riflessi sul funzionamento del sistema economico e della nostra società. Di fronte alla crisi climatica l’Italia presenta numerose fragilità e rischi. Infatti, il nostro Paese si riscalda più rapidamente della media dei Paesi europei e della media globale. Siamo già oltre i 2°C di anomalia termica rispetto al periodo preindustriale e il numero degli eventi climatici estremi ha avuto un picco nel 2022. D’altra parte, i consumi di energia e le emissioni di gas climalteranti per unità di Pil sono più limitate di quelle di altri Paesi europei, anche per il clima temperato del territorio italiano rispetto al Nord Europa, e la media efficienza della nostra industria manifatturiera. Tra il 2014 e il 2022 l’Italia ha ridotto di poco le proprie emissioni, da 435 a 414 milioni di tonnellate di anidride carbonica equivalente (MtCO2eq). Si tratta di una riduzione di appena 21 milioni (-4,8%) in nove anni. Con questo ritmo rischiamo di arrivare alla neutralità climatica fra un secolo, non entro il 2050 come concordato nell’Unione europea. Inoltre, con questo ritmo l’obiettivo europeo per il taglio delle emissioni del 55% entro il 2030 appare del tutto irraggiungibile, anche tenendo conto dei sistemi di compensazione delle emissioni (Emission Trading System, ETS). Il nuovo Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) e una Legge sul clima per l’Italia dovrebbero indicare come procedere lungo la via della decarbonizzazione, allocando risorse e definendo regole. Il tutto, in coerenza con la nuova Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile. Entro giugno 2023 anche l’Italia, come gli altri Stati membri dell’Unione europea (UE), dovrà presentare alla Commissione europea la proposta di revisione del proprio PNIEC secondo quanto previsto dall’articolo 14 del Regolamento UE sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima del 2018. Il Piano dovrà essere approvato in via definitiva entro un anno e avrà durata decennale. Ai primi di maggio il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha aperto la consultazione sulla bozza del nuovo PNIEC, senza rendere disponibile un testo, ma cercando soltanto di sondare statisticamente le opinioni dei diversi stakeholder. La consultazione è avvenuta attraverso un questionario che “rappresenta la fase iniziale di un processo di informazione e condivisione a vari livelli con cittadini, industrie, operatori del settore, regioni, comuni, parlamento, che durerà fino a giugno 2024, data di presentazione alla Commissione UE della versione definitiva del PNIEC, e che comprenderà anche strumenti di consultazione sul testo più strutturati, come la VAS, e canali istituzionali come la Conferenza Unificata”. La consultazione ha avuto termine il 26 maggio. I punti di riferimento ineludibili per la predisposizione del nuovo PNIEC, nel quadro dell’Agenda 2030 dell’Onu e dell’Accordo di Parigi, sono gli impegni previsti dall’UE con il Green deal e il Pacchetto di Proposte “Pronti per il 55%” (Fit-for-55), mentre il Rapporto AR6 dell’Intergovernmental Panel on Clmate Change (IPCC) fornisce il quadro informativo che spiega perché questi impegni non sono dilazionabili. Nel nostro Paese i percorsi strategici della transizione energetica sono ormai avviati e incorporati anche nelle scelte del sistema produttivo orientate a processi di riconversione green, accelerati a seguito della crisi indotta dalla guerra in Ucraina, che implicano investimenti ingenti da parte delle imprese. Proprio per questo, è indispensabile e urgente definire gli scenari delle politiche pubbliche, in coerenza con gli obiettivi concordati, mentre optare per scelte politiche divergenti rispetto al percorso finora indicato rischia di vanificare gli sforzi fatti e di far perdere al Paese competitività e crescita. Al contrario, l’impegno verso la transizione energetica ed ecologica dell’Italia va accelerato e rafforzato con programmi e misure di supporto più efficienti e capaci anche di proteggere al massimo le persone e le imprese chiamate a cambiamenti significativi, accompagnandole con programmi di riconversione e formazione in grado di ridurre i costi della transizione.

 

 

Dieci raccomandazioni per un Piano energia e clima capace di cogliere gli obiettivi europei

  1. Per essere efficace il Piano deve essere definito e reso operativo nei tempi stabiliti a livello europeo.

  2. Il Piano deve affrontare in modo chiaro tutte le problematiche della transizione ecologica “giusta”.

  3. Energia rinnovabile: da qui al 2030 installare non meno di 10 GW di elettrico all’anno e puntare sulle comunità energetiche.

  4. Rinnovabili e paesaggio: trovare un punto d’incontro è possibile e necessario.

  5. Promuovere l’efficienza energetica e le azioni individuali per consolidare le pratiche di risparmio energetico.

  6. Promuovere la riduzione del traffico, il trasporto pubblico, la mobilità elettrica con una progressiva eliminazione dei motori a combustione interna.

  7. Introdurre nel PNIEC il raggiungimento del target europeo di riduzione delle emissioni serra di almeno il 55% entro il 2030.

  8. Investire su innovazione tecnologica, idrogeno, smart grid e cattura del carbonio.

  9. Chiarire le forme di finanziamento della transizione energetica e sciogliere il rebus degli incentivi.

  10. Garantire la partecipazione della società civile al processo decisionale, promuovere la trasparenza e il ruolo delle giovani generazioni.

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CLIMA Marzo 2023: Il nuovo Piano nazionale per l'adattamento ai cambiamenti climatici. Dieci proposte per evitare ciò a cui non possiamo adattarci e adattarci a ciò che non possiamo evitare

Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), licenziato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) a seguito della sollecitazione della Presidente del Consiglio dopo i gravissimi fatti di Ischia. In realtà, una bozza di Piano e una Strategia per l’adattamento erano stati elaborati dal Ministero da anni con gli apporti scientifici di ISPRA e del CMCC, ma il precedente Ministro della Transizione ecologica (MITE) non aveva ritenuto di perfezionarlo, così come è accaduto per il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che riguarda gli indirizzi politici e operativi per la mitigazione climatica e la transizione energetica. Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), pubblicato sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica alla fine del 2022, è il risultato del percorso avviato dal MATTM nel 2017, così come previsto dalla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici (SNACC). Nel 2018, a seguito della condivisione con la Conferenza Stato-Regioni della bozza di Piano, il Ministero ha ritenuto di sottoporre il documento al procedimento di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).

Si è dunque proceduto alla verifica di assoggettabilità (2020) e alla fase di scoping (2021), che si è conclusa con la comunicazione dell’Autorità competente (giugno 2021) che ha trasmesso il parere della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale – VIA e VAS (n. 13 del maggio 2021). Sulla base delle numerose osservazioni pervenute si è reso quindi necessario apportare sostanziali modifiche alla versione del PNACC del 2018 a seguito delle quali è stata prodotta la versione pubblicata nel dicembre 2022. La qualità scientifica del lungo lavoro di preparazione consente di condividere le impostazioni di principio, le analisi e le valutazioni che confermano la necessità di adottare con estrema urgenza misure adeguate di prevenzione e di risposta agli effetti dei cambiamenti climatici in atto e, prevedibilmente, agli effetti che attendono i nostri territori nel futuro. In particolare, i quattro allegati al Piano, recanti le indicazioni metodologiche per l’elaborazione di strategie e piani nella dimensione regionale e locale, forniscono utili elementi di quadro e strumenti specifici, i quali mantengono la loro attualità, sebbene elaborati nel 2020 e quindi impossibilitati a tener conto delle più recenti pubblicazioni scientifiche a partire dal Sesto Assessment Report dell’IPCC (2021-2022), nonché degli avanzamenti sulle conoscenze da parte della comunità scientifica, delle linee di azione dettate dalle decisioni dell’UNFCCC e degli altri strumenti globali di governance ambientale. Tali indicazioni consentirebbero di indirizzare meglio e avviare la progettazione di azioni operative a carattere locale, anche in assenza di un quadro nazionale definitivo e vincolante, come suggerito anche dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) nel Rapporto 2022 (WG II, SPM). Oltre a individuare alcune azioni finalizzate al rafforzamento della governance (tra cui la costituzione di un Osservatorio dedicato) e delle competenze tecniche per l’adattamento a livello nazionale (azioni cosiddette soft), il PNACC propone un database di azioni di adattamento, così come già individuate e definite nell’ambito della versione del Piano del 2018, così suddivise: I. 274 azioni soft (76% del totale), II. 46 azioni green (13% del totale), III. 41 azioni grey (11% del totale). Tali azioni costituiranno il contesto di riferimento per gli interventi che verranno presentati dalle Regioni, dagli Enti Locali e da altri Enti pubblici. Trattandosi di un database realizzato nel 2018, ovvero prima che si delineasse il più recente quadro normativo europeo di interesse per la tematica dell’adattamento (Il Green Deal europeo nel 2019, la nuova Strategia dell’UE di adattamento ai cambiamenti climatici nel 2021, la Legge europea sul clima nel 2021), l’auspicio è che l’Osservatorio provveda a un aggiornamento delle azioni in esso contenute, anche al fine di riequilibrare la componente territoriale degli interventi (azioni green e grey rispetto a quelle soft) e rafforzare la componente green delle azioni, in linea con gli indirizzi europei, anteponendole con assoluta priorità a quelle grey laddove possibile.

 

Dieci raccomandazioni per l'adattamento

  1. Assicurare la coerenza generale di tutte le politiche sul clima, sulla biodiversità e sulle transizioni ecologica e digitale, nonché delle politiche sociali, mediante l’adozione, a tutti i livelli, della necessaria visione sistemica, così come garantisce il mainstreaming dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dei 17 SDGs in essa contenuti.

  2. Dare rapida attuazione alla revisione del PNIEC e, in sinergia con il PNACC, procedere all’approvazione di una Legge italiana sul clima. L’ambizione in materia di adattamento ai cambiamenti climatici deve andare di pari passo con la leadership europea nella mitigazione dei cambiamenti climatici.

  3. Completare, con un’urgenza rapportata alla gravità della situazione, le analisi di rischio e di vulnerabilità su tutto il territorio nazionale alle diverse scale, perfezionando il lavoro avviato dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) con nuovi dati e nuove tecnologie.

  4. Rendere operativo il PNACC nei tempi urgenti della crisi climatica che i territori già sperimentano, evitando rinvii a processi attuativi complessi e lunghi, che svuoterebbero il Piano della necessaria operatività.

  5. Concordare tra Governo e Parlamento una gerarchia delle priorità delle misure di adattamento e degli interventi da attuare in funzione delle specificità dei territori e delle risorse disponibili. Incentivare la contribuzione alle azioni di adattamento dei diversi settori economici e dei capitali privati.

  6. Dare inizio subito all’attuazione delle misure a più alta priorità, con particolare attenzione alle misure di delocalizzazione di insediamenti civili e industriali. Privilegiare le soluzioni nature based in tutto il quadro delle misure, in particolare nella rigenerazione delle aree urbane, lungo le coste e lungo i percorsi dei fiumi e dei torrenti, in collaborazione con le Autorità di bacino.

  7. Definire le regole, i ruoli e soprattutto le responsabilità della governance del Piano, precisando compiti, responsabilità e finanziamento delle amministrazioni regionali e locali.

  8. Utilizzare il settore assicurativo per l’implementazione di politiche di trasferimento del rischio e per la condivisione delle perdite finanziare collegate ai danni climatici, passando da politiche occasionali di risposta a singoli episodi di danni climatici all’anticipazione e alla gestione del rischio.

  9. Correggere e ridurre sostanzialmente le diseguaglianze che, anche a livello sociale, sono dovute alle caratteristiche diverse del clima e dei territori in Italia e alla diversa preparedness delle amministrazioni locali, anche mediante il ricorso ai poteri sostitutivi.

  10. Regolare la partecipazione della società civile e delle parti sociali, escluse dall’Osservatorio, e del pubblico, anche adottando i principi e le pratiche del débat public, sull’esempio di quanto fatto per le grandi opere previste dal PNRR. Istituire percorsi di formazione di quadri e di tecnici, anzitutto della pubblica amministrazione, per la lotta ai cambiamenti climatici e per l’adattamento, investendo nell’istruzione pubblica media superiore e universitaria.

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SVILUPPO SOSTENIBILE

15 gennaio 2023. Verso il successo l'attività di ripristino dell'ozono stratosferico

 

L'attività ambientale per salvare lo strato di ozono sta funzionando come sperato e potrebbe concludersi in pochi decenni, afferma un nvo Rapporto delle Nazioni Unite. L’accordo di Montreal del 1987 per bandire le sostanze chimiche dannose che stavano danneggiando lo strato ha avuto successo.

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Il 16 maggio 1985, tre scienziati del British Antarctic Survey annunciano su Nature di aver rilevato livelli anormalmente bassi di ozono sopra il Polo Sud. La loro scoperta, comunemente nota come buco dell'ozono, è un esempio tangibile della capacità dell'umanità di danneggiare l'atmosfera, nonché una delle storie di maggior successo tra quelle dell'attivismo climatico. Lo strato di ozono è una regione della stratosfera terrestre contenente alti livelli di ozono (O3), che impedisce efficacemente a gran parte della radiazione ultravioletta più dannosa del sole di raggiungere la superficie del pianeta. Dagli anni '70, gli scienziati hanno spinto per la regolamentazione dei clorofluorocarburi, sostanze chimiche presenti in oggetti di uso quotidiano come condizionatori d'aria e spray aerosol, a causa dei loro effetti negativi su questo strato, ma è stato il documento Nature a rivelare specificamente l'esaurimento annuale dell'ozono in un punto sopra l'Artico. La comunità internazionale è stata insolitamente rapida nell'agire. Entro due anni, in risposta diretta all'articolo di Nature e ad altri studi, 46 nazioni hanno firmato il Protocollo di Montreal, impegnandosi a eliminare gradualmente le sostanze note per causare l'esaurimento dell'ozono. Tutti i 197 membri delle Nazioni Unite alla fine ratificheranno il trattato e, di conseguenza, gli scienziati ora prevedono che lo strato di ozono tornerà ai livelli precedenti al 1980 prima della fine del 21° secolo. La relativa velocità e l'adozione unanime del trattato in tutto il mondo hanno portato l'ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan a definire il protocollo di Montreal "forse l'unico accordo internazionale di maggior successo fino ad oggi".

Lo strato di ozono è una parte sottile dell'atmosfera terrestre che assorbe la maggior parte della radiazione ultravioletta del sole. Quando si apre, questa radiazione può raggiungere la superficie, causando danni agli esseri umani e agli altri esseri viventi. I raggi ultravioletti possono danneggiare il DNA e causare scottature solari, aumentando il rischio a lungo termine di problemi come il cancro della pelle. Lo strato di ozono ha iniziato ad esaurirsi negli anni '70. I clorofluorocarburi (CFC), che si trovano comunemente in bombolette spray, frigoriferi, isolanti in schiuma e condizionatori d'aria, sono stati individuati come la causa del degrado dello strato di ozono. L'impoverimento dell'ozono stratosferico è causato dalle emissioni di origine umana di particolari sostanze (ODS) e il conseguente rilascio di gas alogeni reattivi, soprattutto cloro e bromo, nella stratosfera. Gli ODS comprendono i clorofluorocarburi (CFC), gli halon contenenti bromo e bromuro di metile, gli idroclorofluorocarburi (HCFC), il tetracloruro di carbonio (CCl4) e il metilcloroformio. Gli ODS sono di lunga durata (ad esempio, il CFC-12 ha una durata in atmosfera maggiore di 100 anni) e sono anche potenti gas serra (GHG).

Il buco dell'ozono antartico ha continuato ad espandersi fino al 2000, dopodiché la sua area e profondità hanno iniziato a migliorare lentamente. Ora, il Rapporto afferma che se le attuali politiche vengono mantenute, lo strato di ozono verrà ripristinato ai valori del 1980 nel 2066 sopra l'Antartide, dove l'esaurimento dell'ozono è stato il peggiore, nel 2045 sopra l'Artico e tra circa due decenni ovunque. Il salvataggio dello strato di ozono ha avuto un effetto positivo sul riscaldamento globale, suggerisce il Rapporto, perché alcune delle sostanze chimiche dannose che sono state gradualmente eliminate sono potenti gas serra, pur se le sostanze sostitutive sono state talvolta altrettanto se non più climalteranti. Non si può però fare a meno di notare che alcune proposte di geoengineering per limitare il riscaldamento globale inviando milioni di tonnellate di biossido di zolfo nell'atmosfera superiore - note come iniezione di aerosol stratosferico - potrebbero invertire drasticamente il recupero dello strato di ozono.

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BIODIVERSITA' 20 Dicembre 2022. Firmato il patto Kunming-Montreal alla COP 15 della Convenzione per la biodiversità

A Montreal, sede che per motivi sanitari ha ospitato la sessione  della COP 15 della Convenzione ONU sulla biodiversità prevista a Kunming in Cina nel 2020, c'è stato un ampio consenso sul testo finale presentato dopo due settimane di negoziati che include la protezione della natura nel 30% del pianeta entro la fine del decennio con l'accento sui diritti degli indigeni, l’abbattimento di dieci volte delle perdite delle specie entro il 2050, la eliminazione tendenziale di 500 miliardi di US$ di sovvenzioni dannose per l'ambiente e azioni urgenti contro le estinzioni delle specie. Importante l'enfasi sui diritti e sui territori delle popolazioni indigene che, nonostante il loro enorme contributo alla protezione della natura, spesso affrontano minacce di violenza e violazioni dei diritti.

Ma nonostante gli elogi, la COP 15 si è conclusa in modo drammatico dopo che un certo numero di paesi si è lamentato che l'accordo fosse stato portato avanti in modo antidemocratico dalla presidenza cinese (in figura). L'accordo non è legalmente vincolante e si basa sulla buona volontà e sulla fiducia tra i paesi, compresi molti in Africa, sede di alcuni degli ecosistemi più ricchi del pianeta. Ecco i punti principali:

Accordo per proteggere il 30% della Terra entro la fine del decennio. Ispirato dalla ambizione di proteggere metà del pianeta per la sopravvivenza a lungo termine dell'umanità, l'obiettivo di più alto profilo della COP 15 ha unito e diviso in egual misura. La formulazione finale impegna i governi a preservare quasi un terzo della Terra per la natura entro il 2030, rispettando i territori indigeni e tradizionali mediante l'espansione di nuove aree protette. Il linguaggio sottolinea l'importanza di un'efficace gestione della conservazione per garantire che le zone umide, le foreste pluviali, le praterie e le barriere coralline siano adeguatamente protette, non solo a parole.

Diritti delle popolazioni indigene. I popoli indigeni sono menzionati 18 volte negli obiettivi di questo decennio per arrestare e invertire la biodiversità, qualcosa di storico. Diversi studi scientifici hanno dimostrato che i popoli indigeni sono i migliori custodi della natura, rappresentando il 5% dell'umanità ma proteggendo l'80% della biodiversità terrestre. Dal Brasile alle Filippine, le popolazioni indigene sono soggette a violazioni dei diritti umani, violenze e espropri di terre. Il linguaggio nel testo è chiaro: i modelli di conservazione guidati dagli indigeni devono diventare la norma in questo decennio.

Ridimensionamento dei sussidi dannosi per l'ambiente. Il mondo spende non meno di 1,8 trilioni di US$ ogni anno in sussidi governativi che incentivano l'annientamento della fauna selvatica e il riscaldamento globale. La mancanza di una riforma sui sussidi dannosi per l'ambiente è stato un grave fallimento degli obiettivi di biodiversità dello scorso decennio e i governi hanno ora concordato sull'importanza di apportare un cambiamento.

Informativa per le imprese. L'accordo richiede ai governi di garantire che le grandi aziende transnazionali rivelino rischi, dipendenze e impatti sulla biodiversità delle loro attività. Se implementato, questo potrebbe essere l'inizio di un cambiamento significativo nelle pratiche commerciali. Circa la metà del PIL globale dipende dal sano funzionamento della natura e la perdita di biodiversità sta rapidamente aumentando i rischi per le attività produttive.

Contro la biopirateria digitale. Prima della COP 15, le informazioni sulla sequenza digitale (DSI) erano qualcosa che pochi capivano davvero. DSI si riferisce alle informazioni genetiche digitalizzate che otteniamo dalla natura, che vengono utilizzate frequentemente per produrre nuovi farmaci, vaccini e prodotti alimentari. Queste forme digitali di biodiversità provengono da foreste pluviali, torbiere, barriere coralline e altri ricchi ecosistemi, ma è difficile risalire al loro paese di origine, con molti nel mondo in via di sviluppo che ora si aspettano un pagamento per l'uso delle loro risorse. A Montreal è stato raggiunto un accordo per sviluppare un meccanismo di finanziamento del DSI nei prossimi anni, una vittoria storica per gli Stati africani che ne volevano la creazione prima del vertice.

I 23 obiettivi dell'accordo non sono sufficienti per prevenire ulteriori perdite irreversibili, anche tra le tante specie minacciate di estinzione. L'accordo non è giuridicamente vincolante e tutti i 20 obiettivi fissati ad Aichi in Giappone nel 2010 sono stati mancati. Il nuovo accordo è stato finalizzato nonostante le denunce dei paesi africani, tra cui la Repubblica Democratica del Congo (RDC), sede di una delle più grandi foreste pluviali del mondo, minacciata dall'esplorazione di petrolio e gas. Ambiguo il ruolo degli Stati Uniti, presenti ma non partecipanti, perché il Senato ha rifiutato di ratificare la convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica.

Molte delle decisioni e delle promesse fatte ora sarebbero state incoraggianti se fossero state prese decenni fa. Ciò detto, la cooperazione internazionale è così vitale per gli sforzi in corso volti a limitare ulteriori danni che la firma dell'accordo in una conferenza co-ospitata da Canada e Cina deve essere accolta come uno sviluppo positivo. L'obiettivo noto come "30 per 30", che significa un impegno a proteggere il 30% del pianeta - terra e mare - per la natura entro la fine del decennio, è buono e ha buone possibilità di essere preso in carico dalla società civile in molti paesi, come è accaduto nel clima per il net zero. È valido anche il concetto di piani nazionali per la biodiversità, con una funzione simile agli NDC del processo climatico delle Nazioni Unite. L'ONU ha un ruolo chiave da svolgere come amministratore della politica ambientale, ma sono i governi a prendere la maggior parte delle decisioni che determinano il rispetto degli impegni. Anche il linguaggio forte sui diritti degli indigeni è ben accetto e legato al riconoscimento dei danni ecologici, oltre che dei benefici, dello sviluppo.

L'eliminazione dalla bozza finale di un obiettivo di rinaturalizzazione del 5% degli ecosistemi entro il 2030 è stata un'occasione mancata. Senza obiettivi specifici, il pericolo è che le buone intenzioni svaniscano. Altri problemi includono la mancanza di un impegno per affrontare i modelli di consumo, soprattutto in occidente, che richiedono enormi risorse oltre a produrre grandi quantità di carbonio. Le diete, in particolare quelle occidentali ricche di carne, dovranno cambiare se vogliamo avere qualche possibilità di conservare gli habitat, come l'Amazzonia, dove l'allevamento del bestiame è sinonimo di deforestazione.

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30 Novembre 2022. Il Club di Roma pubblica il Rapporto 2022: "Earth for All. A Survival Guide for Humanity"  a cura di Gianfranco Bologna (leggi l'originale)

50 anni dopo la pubblicazione del suo primo rapporto “The Limits to Growth” che scatenò il dibattito planetario sull’impossibilità di una crescita materiale, quantitativa e illimitata dell’umanità in una Terra dai chiari limiti biogeofisici, e dopo la pubblicazione di altri 52 rapporti, l’ultimo rapporto “Earth for All. A Survival Guide for Humanity”, pubblicato nel settembre di quest’anno dal Club di Roma e, in edizione italiana, a fine novembre, rappresenta un documento veramente importante e straordinario, perché in maniera chiara e documentata, illustra in cosa consiste concretamente un vero cambiamento di sistema per l’intera umanità. Un cambiamento ineludibile perché ci troviamo nel bel mezzo di un’emergenza a scala planetaria che noi stessi abbiamo creato. Conosciamo i punti deboli. Tutti sanno che dobbiamo porre fine alla povertà estrema per miliardi di persone, che dobbiamo arrestare la crescita delle disuguaglianze e che abbiamo bisogno di una rivoluzione energetica. Tutti sanno che le diete industriali ci stanno uccidendo e che il modo in cui ci procuriamo il cibo sta devastando la natura. Sappiamo che le popolazioni umane non possono aumentare all’infinito. E sappiamo che la nostra impronta materiale non può crescere all’infinito sulla Terra, piccolo pianeta blu e verde... “Una Terra per tutti”... basandosi sulle valutazioni di esperti supportate da modelli di dinamica dei sistemi, esplora i percorsi possibili per uscire da tali emergenze, quelli che potrebbero portare più benefici a livello sociale, ambientale ed economico per tutti.

Aurelio PecceiChe piaccia o meno, il rapporto “The Limits to Growth” ha dato il via a un dibattito internazionale sulla civiltà, sul capitalismo, sull’uso appropriato delle risorse e sul nostro futuro collettivo, che è continuato per molti anni dopo la sua pubblicazione. È cosa nota che Ronald Reagan tentò di screditare il rapporto affermando: “Non ci sono grandi limiti allo sviluppo perché l’intelligenza umana, l’immaginazione e la meraviglia sono illimitate”. Reagan potrà avere avuto ragione riguardo all’illimitata capacità di immaginazione di noi umani, ma resta il fatto che viviamo su un pianeta fisicamente limitato ed estremamente affollato, che sta subendo enormi cambiamenti. È ora di cominciare a usare queste illimitate risorse dell’umanità per ripensare e costruire società più eque in cui i cittadini possano prosperare e abbiano la possibilità di realizzare i propri sogni entro i confini fisici della nostra sola e unica Terra. L’analisi del rapporto si è concentrata su due sistemi profondamente legati: le persone e il pianeta, o più esplicitamente l’economia globale e il sistema di supporto vitale della Terra. Il fondamento è il pensiero sistemico... i cui strumenti ci permettono di comprendere aspetti complessi della realtà, i cicli di feedback e la portata di alcuni eventi... 

Il rapporto ha utilizzato un modello computerizzato di dinamica dei sistemi creato per studiare gli sviluppi del benessere umano sul nostro pianeta che è stato definito Earth4All e che presenta anche la versione regionalizzata dove sono state distinte dieci grandi regioni del pianeta, che sono Stati Uniti, Europa, Pacifico, Est Europa e Asia centrale, Medio Oriente e Nord Africa, Cina, America Latina, Sudest asiatico, Asia meridionale e Africa sub-sahariana. Il rapporto esplora in particolare due dei vari scenari elaborati: quello definito Too Little, Too Late e Giant Leap. Questi scenari prendono forma a partire da due diverse domande... Che cosa succederebbe se il sistema economico che domina sul mondo e la biosfera continuasse a funzionare esattamente come ha fatto negli ultimi cinquant’anni? Le tendenze attuali in materia di riduzione della povertà, innovazione tecnologica e transizione energetica saranno sufficienti per evitare il collasso sociale e shock di portata planetaria? La seconda domanda ... è invece la seguente: che cosa succederebbe se, con un impegno straordinario, il sistema economico venisse trasformato per dare vita a una società più resiliente?   

L’analisi presentata nel rapporto mostra chiaramente come il prossimo decennio vedrà la trasformazione economica più veloce della storia. La scala di questa trasformazione può addirittura spaventare. È più grande:

  • del Piano Marshall, gli investimenti economici per la ricostruzione dell’Europa dopo ben due guerre mondiali;

  • della rivoluzione verde che negli anni Cinquanta e Sessanta portò una nuova forma di agricoltura industrializzata in Asia e in Africa e contribuì a sconfiggere la fame;

  • dei movimenti anticolonialisti che portarono alla nascita di nazioni indipendenti a metà del XXI secolo;

  • dei movimenti per i diritti civili che negli anni Sessanta permisero di raggiungere una maggiore uguaglianza di diritti per le minoranze ghettizzate negli Stati Uniti, in Europa e in qualunque altro posto;

  • dello sbarco sulla Luna che costò all’incirca il 2% del Pil americano negli anni Sessanta;

  • del miracolo economico cinese che negli ultimi trent’anni ha liberato dalla povertà 800 milioni di persone;

 È tutte queste cose messe assieme e potenziate. La sfida che affronta “Una Terra per tutti” è convincere che tutto questo è fattibile. Richiederà la creazione della più ampia coalizione che il mondo abbia mai visto. E dovrà accadere mentre nei prossimi decenni il potere economico passerà dal vecchio Occidente dominante a quello che nel rapporto viene definita la “maggioranza del mondo”. In tutto il mondo abbiamo bisogno di coinvolgere la maggioranza, forze politiche di destra e di sinistra, centristi e verdi, nazionalisti e globalisti, manager e lavoratori, mondo del business e società civile, elettori e politici, insegnanti e studenti, ribelli e tradizionalisti, nonni e teenager. Dovremo ricablare il sistema economico globale. In particolare, dobbiamo ripensare le dinamiche della crescita economica, così che le economie che hanno bisogno di crescere possano farlo mentre quelle che stanno consumando troppo possano sviluppare nuovi sistemi operativi. Richiederà di ripensare il consumo di risorse, che in assenza di questi cambiamenti di rotta potrebbe raddoppiare entro il 2060. Richiederà la riforma del sistema finanziario globale per passare da quello che ci sta conducendo sull’orlo del baratro a un sistema che garantisca prosperità a lungo termine. Una delle priorità consiste nel riprogettare il flusso monetario globale. Questo significherà aggiornare le istituzioni come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale per fare in modo che questo flusso rechi benefici ai poveri, non solo al 10% più ricco. Richiederà Stati più efficienti, più intelligenti e con maggiore spirito di iniziativa, che guardino al futuro mettendo al primo posto la sicurezza dei propri cittadini. I governi devono supportare attivamente l’innovazione, riformare i mercati e ridistribuire la ricchezza...

Il rapporto ritiene fondamentale il passaggio dall’attuale economia della crescita a un’economia del benessere, l’innovativo e variegato ambito di pensiero economico che ha dato vita, in particolare in questi ultimi decenni a cavallo tra la fine del Novecento e gli anni 2000, a importanti proposte operative di una nuova economia, come la caring economy, la sharing economy, la circular economy, l’ecological economics, la doughnut economics ecc. La wellbeing economy può essere definita come un modello che si mette al servizio delle persone e del pianeta anziché considerarli uno strumento al servizio dell’economia e inoltre opera per soddisfare non la crescita del PIL che ormai ha assunto il simbolo totemico della ricchezza di un paese, ma indicatori di benessere che diano realmente conto dello stato di salute delle persone e dell’ambiente. Porre il benessere come obiettivo per l’economia significa soddisfare i bisogni e le capacità umane nell’ambito della realtà biofisica di un pianeta con dei limiti. Inoltre il rapporto propone due nuovi importanti indicatori che sono definiti indice di benessere medio e indice di tensione sociale. Quest’ultimo segnala i livelli di disuguaglianza che sono alla base di profonde spaccature nella società, nonché all’emergere della malsana dinamica del “noi contro loro”, che può far entrare le società in circoli viziosi negativi per il futuro.

Il rapporto propone, sulla base di un’economia del benessere, cinque profondi cambiamenti di rotta che riguardano: porre fine alla povertà, affrontare e risolvere le crescenti disuguaglianze, sostenere l’emancipazione femminile, rendere il sistema alimentare sano per le persone e per l’ambiente, trasformare il sistema energetico utilizzando fonti energetiche pulite... Il rapporto Earth for All li connette tutti in un sistema dinamico, per valutare se insieme possono produrre una spinta sufficiente a orientare l’economia globale fuori dalla rotta distruttiva verso cui si sta indirizzando, avvicinandola a un percorso più resiliente. Ad esempio affrontare “solo” l’emergenza climatica richiederebbe la riconfigurazione del sistema energetico globale, base di tutte le economie, nello spazio di un’unica generazione. Molte delle soluzioni tecniche, come per esempio i pannelli solari, le turbine eoliche, le batterie e i veicoli elettrici, sono già disponibili e si stanno diffondendo in modo esponenziale... Il rapporto alla fine riassume le  proposte politiche presentate che sono qui riportate:

 Povertà

• Consentire al Fondo monetario internazionale di effettuare stanziamenti di oltre un trilione all’anno nei paesi a basso reddito per sviluppare i lavori verdi, creando investimenti attraverso i cosiddetti diritti speciali di prelievo.

• Cancellare tutti i debiti verso paesi a basso reddito (con reddito pro capite inferiore a 10.000 dollari).

• Proteggere le industrie nascenti nei paesi più poveri e promuovere lo sviluppo del commercio “da sud a sud”, ossia tra questi stessi paesi. Migliorare l’accesso alle energie rinnovabili e ai servizi sanitari rimuovendo gli ostacoli al trasferimento di tecnologia, compresi i vincoli di proprietà intellettuale.

 Disuguaglianze

• Aumentare le tasse sul 10% più ricco delle società fino a quando la quota di reddito nazionale posseduta non scenderà sotto il 40% del reddito nazionale. Il mondo ha bisogno di una forte tassazione progressiva; bloccare le scappatoie fiscali internazionali è essenziale per affrontare i destabilizzanti livelli di disuguaglianza e il “consumo di lusso” di carbonio e di biosfera.

• Creare un nuovo sistema di leggi per rafforzare i diritti dei lavoratori. In un momento di profonda trasformazione, hanno bisogno di protezione economica.

• Introdurre i Citizens Funds per dare a tutti i cittadini una giusta quota del reddito nazionale, della ricchezza e dei beni comuni globali attraverso schemi di commissioni e dividendi.

 Equità di genere

• Fornire accesso all’istruzione a tutte le ragazze e le donne.

• Raggiungere l’equità di genere nei posti di lavoro e nella leadership.

• Fornire pensioni adeguate.

 Cibo

• Emanare nuove norme per ridurre la perdita e lo spreco di cibo.

• Aumentare gli incentivi economici per l’agricoltura rigenerativa e per l’intensificazione sostenibile.

• Promuovere diete sane che rispettino i confini planetari.

 Energia

• Eliminare immediatamente i combustibili fossili e aumentare l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. Triplicare immediatamente gli investimenti nelle energie rinnovabili per arrivare ad almeno un trilione di dollari all’anno.

• Rendere tutto elettrico.

• Investire nell’accumulo di energia su larga scala.

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29 Novembre 2022. 150 Paesi si riuniscono a Punta del Este in Uruguay per negoziare un trattato globale per mettere al bando l'inquinamento da materie plastiche

La plastica è uno dei materiali in più rapida crescita e la produzione è destinata a raddoppiare, fino a superare il miliardo di tonnellate all'anno, entro il 2050. Con ciò, l'inquinamento aumenterà in proporzione. Questa settimana, i delegati di oltre 150 paesi si incontrano in Uruguay per uno storico accordo globale per porre fine all'inquinamento da plastica. A marzo, l'Assemblea delle Nazioni Unite per l'ambiente ha varato un trattato giuridicamente vincolante che considera il ciclo di vita delle materie plastiche, dalla produzione fino agli imballaggi innovativi, ai prodotti e ai modelli di business. Il trattato dovrebbe essere finalizzato entro la fine del 2024.

La plastica rappresenta l'85% di tutti i rifiuti marini (Nature). L'UNEP prevede che la quantità di plastica negli oceani quasi triplicherà entro il 2040, aggiungendo da 23 a 37 milioni di tonnellate di rifiuti in più ogni anno. La stragrande maggioranza dei rifiuti di plastica mal gestiti che hanno origine sulla terra alla fine finisce nei fiumi e viene scaricata negli oceani. Il costo dell'inquinamento da plastica per la società, compresi il risanamento ambientale e il degrado dell'ecosistema, supera i 100 miliardi di dollari all'anno. Il costo dell'inazione contro i rifiuti di plastica, comne al solito, supera di gran lunga il costo per abbattere l'inquinamento. I negoziatori del trattato dovranno fare i conti con opinioni contrastanti : le NGO e i lobbisti spesso vogliono vietare la plastica monouso e trovare alternative più sicure; l'industria della plastica afferma che l'inquinamento può essere risolto migliorando la raccolta dei rifiuti; e le industrie della gestione dei rifiuti e del riciclaggio spingono per un maggiore riciclaggio. Intanto va vietata la esportazione di rifiuti di plastica dai paesi ad alto reddito ai paesi poveri. I produttori dovrebbero pagare per la raccolta, lo smistamento e il riciclaggio degli imballaggi in plastica. Ciò toglierebbe la plastica dalle discariche e allontanerebbe l'onere finanziario della gestione dei rifiuti dai governi locali, che in genere sono finanziati dalle tasse. Per ridurre la quantità di plastica che finisce negli oceani, il trattato deve includere una scadenza entro la quale i paesi devono ridurre la quantità di plastica che usano.

Attualmente solo il 9% dei rifiuti di plastica viene riciclato, anche perché i rifiuti di plastica hanno poco valore. Gli scienziati dicono che se valesse qualcosa, più plastica verrebbe riutilizzata, meno finirebbe nell'ambiente e ci sarebbe anche meno bisogno di nuova plastica. I paesi dovrebbero concordare, come parte del trattato, di imporre un sovrapprezzo sulla creazione di polimeri, gli elementi costitutivi della plastica. Questo denaro potrebbe essere utilizzato per finanziare il riciclaggio. Anche i rivenditori di prodotti in plastica dovrebbero essere obbligati a riacquistare i rifiuti e trovare modi per riutilizzarli. Questo costo per i rivenditori verrebbe probabilmente trasferito sui consumatori, ma è probabile che i consumatori sarebbero disposti a pagare di più per i prodotti se sapessero che ciò riduce la quantità di plastica nell'ambiente. Un simile approccio aiuterebbe anche a porre fine alla produzione di materie plastiche che non possono essere riutilizzate o riciclate, perché non ci sarebbe nessuno a riacquistarle.

Il trattato dovrebbe stabilire il nuovo Deal nei prossimi cinque anni, con i paesi che introducono regolamenti che penalizzano le aziende che inquinano. In tutto il mondo, ma soprattutto in Asia, i rifiuti di plastica vengono bruciati. Ciò riduce il volume dei rifiuti e impedisce che diventino terreno fertile per batteri, virus e zanzare. Ma l'incendio è una delle principali cause dell'inquinamento atmosferico. Circa 4,2 milioni di persone sono morte a causa dell'inquinamento atmosferico nel 2016, con il 91% di questi decessi nei paesi a basso e medio reddito. Nelle zone a basso reddito di Nairobi e Sylhet, nel Bangladesh, la plastica fa parte del paesaggio e rappresenta un notevole pericolo per la salute. È fisicamente incorporata nel terreno, rendendo estremamente difficile, se non impossibile, il recupero. Gli studi hanno scoperto che le microplastiche vengono inalate e consumate attraverso cibo e acqua. È stato anche dimostrato che le materie plastiche di dimensioni più piccole, chiamate nanoplastiche, causano danni e infiammazioni nella pelle umana e nelle cellule polmonari. La plastica contiene anche additivi, come bisfenolo A, ftalati e bifenili policlorurati, che sono causa di danneggiamento del sistema endocrino e di anomalie riproduttive. Il trattato dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di chiedere ai paesi di vietare o eliminare gradualmente nella plastica le sostanze chimiche che danneggiano la salute umana.

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15 e 16 Novembre 2022. Il G 20 di Bali spinge il negoziato climatico di Sharm el-Sheikh

La dichiarazione finale dei Leader

I leader delle nazioni del G 20 - le principali economie del mondo - si riuniscono a Bali, in Indonesia, nella terza settimana di novembre 2022. che è anche la seconda settimana della COP 27 di Sharm El-Sheikh, per un vertice annuale diplomaticamente complicato dalla presenza della Russia durante la sua guerra in Ucraina. La Russia sarà rappresentata dal suo veterano ministro degli Esteri, Sergei Lavrov.

Il Gruppo dei 20 è composto da 19 paesi più l'Unione Europea e rappresenta quasi i due terzi della popolazione mondiale, l'85% della produzione economica mondiale e il 75% del commercio mondiale. Nel 2022 ci sono 20 membri nel gruppo: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Corea del Sud, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea. È il più grande raduno del gruppo di leader dall'inizio della pandemia di coronavirus e l'Indonesia, in qualità di stato ospitante, ha fissato un'agenda incentrata sulla ripresa economica dalla pandemia, sulle misure sanitarie globali e sull'energia sostenibile. Si terrà una serie di colloqui bilaterali sullo sfondo delle tensioni globali che includono l'invasione dell'Ucraina e le conseguenti ricadute economiche globali, la crisi climatica, la minaccia nucleare della Corea del Nord e la crescente prevalenza geopolitica e commerciale della Cina.

L'incontro del G 20 a Bali ha segnato l'uscita di Xi Jinping da tre anni di isolamento pandemico autoimposto, con il presidente francese, Emmanuel Macron, e il primo ministro australiano, Anthony Albanese, tra coloro desiderosi di assicurarsi un'opportunità di incontro, ma anche di chat e foto, con il leader cinese. Nonostante la condanna delle violazioni dei diritti umani cinesi e l'ansia per le sue intenzioni nello Stretto di Taiwan, il tono ampiamente positivo stabilito dal bilaterale di Xi con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è continuato fino alla fine del vertice. Ma sono state anche opportunità per le controparti di Xi di comunicare di persona le proprie lamentele. Albanese, il primo premier australiano a incontrare Xi dal 2016, aveva definito il loro incontro “positivo e costruttivo”, ma aveva sollevato la detenzione dei cittadini australiani Cheng Lei e Yang Hengjun, nonché le violazioni dei diritti umani contro la popolazione uigura nello Xinjiang. Macron ha chiesto a Xi di convincere Putin a negoziare la fine della guerra in Ucraina, e secondo quanto riferito ha detto che vorrebbe visitare la Cina il prossimo anno, restrizioni del Covid-19 permettendo. Xi e il primo ministro giapponese, Fumio Kishida, avrebbero dovuto tenere i loro primi colloqui faccia a faccia giovedì.

Il vertice è stato dominato dalla geopolitica, con irritazione dei suoi ospiti indonesiani, che avevano voluto concentrarsi sulla sicurezza alimentare ed energetica e sulla crisi climatica. Gran parte dell'attività del giorno di apertura è stata soffocata dall'analisi dell'incontro Biden-Xi del giorno prima. Mercoledì, il G20 è diventato rapidamente un incontro ad hoc del G7, mentre i leader si sono riuniti per discutere la loro risposta alla notizia che un missile di fabbricazione russa era finito in Polonia, uccidendo due persone vicino al confine del paese con l'Ucraina.

La dichiarazione congiunta di Bali rilasciata mercoledì non è andata oltre le banalità non impegnative. Riguardo all'emergenza climatica, i leader del G20 hanno semplicemente affermato di aver deciso di "proseguire gli sforzi per limitare l'aumento delle temperature globali a 1,5°C", compresa l'accelerazione degli sforzi per "ridurre gradualmente" l'uso senza sosta del carbone.

A differenza di Xi, l'incontro di Bali ha ulteriormente isolato Vladimir Putin, che ha inviato il suo ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, a fungere da segnaposto diplomatico dopo diversi giorni di drammatici sviluppi in Ucraina, compreso il ritiro della Russia da Kherson. Lavrov è rimasto al suo posto mentre Volodymyr Zelenskiy ha fatto riferimento al G 19, il G 20 meno la Russia, in un discorso video. Lavrov ha lasciato Bali martedì sera prima della conclusione del vertice. Anche i tradizionali alleati della Russia, India e Cina, sembravano prendere le distanze dal Cremlino, mentre la dichiarazione di mercoledì condannava "con la massima fermezza" l'aggressione della Russia in Ucraina e ne chiedeva il ritiro incondizionato. "La maggior parte dei membri ha condannato fermamente la guerra in Ucraina", afferma la dichiarazione, segnalando che la Russia, che è membro del G 20, si è opposta alla formulazione. Le posizioni assunte da Cina e India non sono state subito chiare e sembra che il documento finale, nelle versioni tradotte e diffuse nei rispettivi paesi, elimini i termini che, come “guerra”, sono particolarmente sgraditi ai Russi.

Dal punto di vista energetico e climatico il documento di Bali sembra perfino più coraggioso e determinato del documento della Presidenza egiziana che, di li a pochi giorni, concluderà la COP 27 di Sharm. Andando al sodo, però, anche Bali non va sostanzialmente oltre quanto concordato alla COP 26 di Glasgow. Si può sicuramente dire che l’apertura di Bali su loss and damage, rafforzata dalla fortissima spinta dei paesi poveri che a Bali certamente non ci potevano essere, ha consentito alla COP 27 di approvare la storica istituzione del Fondo mondiale per i pagamenti dei loss and damage.  > Leggi l'intero resoconto di Edoardo Rossi

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10 novembre 2022. Conclusi gli Stati generali della green economy

Si sono conclusi gli Stati Generali della Green Economy 2022, un’occasione per il mondo istituzionale, imprenditoriale e civile per confrontarsi sul tema della transizione ecologica, in questo periodo di alti prezzi dell’energia e di incertezza sul futuro dell’economia. La due giorni green, organizzata dal Consiglio Nazionale della Green Economy, si è tenuta alla Fiera di Rimini all’interno di Ecomondo-Key Energy. Questa edizione degli Stati Generali della Green Economy, che è stata tra le più partecipate degli ultimi anni, ha evidenziato come la green economy italiana, l’economia circolare decarbonizzata siano in grado di affrontare le sfide degli alti costi dell’energia, della volatilità delle materie prime e diventare occasione di rilancio e sviluppo (Ronchi). L’undicesima edizione ha registrato un’altissima affluenza di partecipanti, circa 100 relatori nazionali ed internazionali e il saluto dei Ministri del nuovo governo. Grande anche la partecipazione alla discussione online nel corso della due giorni: tanti gli utenti che hanno partecipato al dibattito. Su Twitter oltre 1 migliaio di interazioni in poche ore. Domande e commenti che hanno generato una reach (pubblico potenzialmente esposto a contenuti social) di 1,2 milioni di utenti.

 

In un contesto socioeconomico in cui il cambiamento diventa condizione necessaria per la sopravvivenza delle imprese, le aziende italiane stanno progettando la loro transizione verso modelli di business più sostenibili e riconoscono il proprio ruolo all’interno della trasformazione dell’intero Paese. Abbiamo condotto un’indagine chiedendo a mille imprese di raccontarci il loro percorso di transizione ecologica: la conoscenza dei relativi temi e le aspettative per il futuro, la progettazione e gli ambiti di intervento, le barriere riscontrate e le aree in cui necessitano un supporto esterno. Si tratta di aziende che, nella maggior parte dei casi (oltre l’80%), considerano la transizione un cambiamento necessario per affrontare la crisi climatica e per un futuro prospero, oltre che per il raggiungimento di un vantaggio competitivo per loro stesse e per il Paese. Questo documento, dopo aver ripercorso gli elementi più significativi emersi dall’indagine, raccoglie le risposte delle grandi aziende che, avendo un diverso livello di maturità riguardo la transizione ecologica, hanno deciso di collaborare e mettere a disposizione quanto appreso durante il loro percorso. Nonostante le difficoltà attuali, infatti, credono che attraverso le proprie azioni, e con il supporto di cittadini ed istituzioni, si possano gettare le basi per un modello di sviluppo sostenibile.

Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ha tenuto la relazione introduttiva alla sessione plenaria nella quale ha presentato il Rapporto 2022 sullo stato della Green economy in Italia e nel mondo. La Relazione sullo stato della green economy di quest’anno è aperta da un’indagine, realizzata da EY e Fondazione per lo sviluppo sostenibile, su come le imprese italiane stanno vivendo la transizione ecologica proprio in questi mesi di alti prezzi dell’energia e delle materie prime, di ripresa dell’inflazione e di incertezza sul futuro dell’economia, con una guerra in Europa, scatenata dall'invasione russa dell’Ucraina. Dall’indagine emerge chiaramente che c’è ormai una diffusa attenzione: ben il 45% degli imprenditori intervistati dichiara di prestare un livello elevato di attenzione verso la transizione ecologica e un altro 41% un livello abbastanza buono. Solo una minoranza del 14% ammette di non essere sufficientemente attenta. Emerge anche una forte richiesta di maggiore informazione perché ben il 60% degli imprenditori intervistati dispone di un livello di conoscenza ritenuto generico e un altro 5% del tutto carente; solo il 35% pensa di avere un buon livello di conoscenza. In relazione alle preoccupazioni per il futuro dell’impresa, l’indagine conferma un dato noto: l’86% degli imprenditori manifesta un livello molto elevato di preoccupazione per gli alti costi dell’energia. Al secondo posto fra le preoccupazioni, il 72% dichiara le difficoltà di approvvigionamento e gli alti prezzi delle materie prime. Al terzo posto il 60% si dice preoccupato per le crisi sociali ed economiche nel mondo. L’aumento degli eventi atmosferici estremi, causati dalla crisi climatica, risulta in quarta posizione per gli imprenditori intervistati, ma con percentuali ormai rilevanti: il 75% ha un livello di preoccupazione medio o elevato e solo il 25% dichiara di non esserlo. Rispetto alle convinzioni diffuse fra gli imprenditori, ben l’83% ritiene che la transizione ecologica sia comunque un cambiamento necessario per affrontare la crisi climatica e la scarsità di risorse e per puntare su un futuro prospero; ben il 76% è convinto che l’Italia dovrebbe essere fra i promotori della transizione ecologica perché questa scelta ci metterebbe all’interno del gruppo avanzato delle economie mondiali.

Le aspettative degli imprenditori sugli effetti delle misure per la transizione ecologica sulle proprie imprese sono in buona parte positive: il 51% ritiene che contribuiranno a migliorare il posizionamento dell’azienda e il 61% che promuoveranno investimenti per innovazioni. Da non trascurare la quota di imprenditori, mediamente un quarto, che manifesta incertezza (non è né d’accordo né in disaccordo) e la quota, circa un terzo, di chi teme che da queste misure derivi un aumento dei costi di produzione. A che punto sono le imprese italiane nell’attuazione delle misure considerate “tipiche” della transizione ecologica? Su alcune sono certamente a un buon livello: il 55% ha già adottato misure per usare in modo più efficiente energia e acqua e il 49% misure per ridurre e per riciclare i propri rifiuti. Pur partendo da livelli non elevati, ma ragguardevoli (mediamente oltre il 40%), hanno però messo in agenda o stanno valutando altre misure: utilizzo di fonti rinnovabili (34%), riduzione delle emissioni di gas serra (21%), elevata qualità ecologica dei prodotti e dei processi (22%). Risulta invece bassa la percentuale degli imprenditori che sta effettuando una comunicazione delle misure per la transizione ecologica (solo il 14%) e di chi ha messo in agenda di adottare tali comunicazioni (18%). Questo dato confermerebbe che le imprese italiane che comunicano sono molte meno di quelle che stanno operando per la transizione ecologica. Tra coloro che hanno intrapreso un percorso di transizione ecologica, i principali benefici già riscontrati riguardano la riduzione dei costi operativi (27%), il miglioramento reputazionale (24%) e il consolidamento di partnership (15%). Ben il 42% degli intervistati dichiara di non avere ancora riscontrato alcun vantaggio dalle misure messe in atto per la transizione ecologica: ciò potrebbe significare che si tratta di investimenti con tempi di ritorno lunghi o anche di misure non in grado di portare diretti vantaggi per l’impresa, ma ritorni solo di interesse generale. Articolando i livelli relativi all’impegno nella transizione ecologica abbiamo classificato come “Advanced” il 45% delle imprese che stanno già utilizzando risorse significative per attività della transizione ecologica: in particolare utilizzano, in percentuali alte, fonti rinnovabili di energia, materiali e acqua in modo efficiente e riciclano i rifiuti. Seppure collocate principalmente al Nord, si ritrovano ormai diffuse ovunque, sono principalmente di medie e grandi dimensioni e, in genere, si rivolgono anche ai mercati internazionali. Abbiamo poi collocato fra gli “Starter” quegli imprenditori che hanno avviato in misura più ridotta attività della transizione ecologica, ma in modo più rilevante messo in agenda o previsto misure di transizione ecologica: è il 36% del nostro campione. Si tratta in prevalenza di imprese di medie dimensioni, collocate soprattutto al Nord e al Centro e con un business rivolto in gran parte a mercato nazionale. C’è infine un gruppo di “Delayed”, il 19% del campione, che ha fatto poco e non intende per ora fare molto di più per la transizione ecologica: si tratta, com’era prevedibile, di aziende prevalentemente di piccole dimensioni, collocate principalmente al Sud e rivolte al mercato interno. Quali sono i maggiori ostacoli riscontrati nel percorso di transizione ecologica? Di gran lunga l’ostacolo incontrato dalla maggior parte è quello burocratico, ben il 50% degli intervistati, in particolare per le autorizzazioni e per accedere alle risorse necessarie. Al secondo posto stanno i finanziamenti (27% degli intervistati), seguono le barriere tecniche e attuative (17%) e gli adeguamenti del modello di business (15%).

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SVILUPPO SOSTENIBILE21 settembre 2022. Nuovi modelli di sviluppo per la sostenibilità planetaria

di Toni Federico

Uno sviluppo ineguale delle economie e delle società ha caratterizzato il cammino del pianeta dopo l’Earth Summit di Rio del 1992. Era allora appena crollato il muro di Berlino e con esso l’Unione Sovietica, lasciando libero il campo all’egemonia del modello di sviluppo occidentale, sostanzialmente basato sull’economia di mercato e su reti multilaterali di sicurezza degli scambi e dei commerci (WTO, etc.). La guerra fredda si era conclusa non perché i problemi del capitalismo fossero stati risolti, ma perché la soluzione del cosiddetto comunismo reale aveva fallito[1]. Dalla fine della prima guerra mondiale le differenze di reddito delle persone nei paesi ricchi si sono ridotte e i sistemi di welfare sono diventati sempre più generosi. Ma quando l'opzione rivale ha cessato di esistere, i sistemi di mercato hanno avuto il campo sgombro, le aliquote fiscali per gli alti redditi sono state ridotte, i sindacati sono stati indeboliti e i divari dei redditi sono esplosi all’interno dei paesi e tra di essi. A Rio si dava per scontato che la ricchezza occidentale sarebbe stata condivisa con il gruppo di paesi in via di sviluppo, tanto che alcuni principi e le stesse convenzioni, tra cui quella climatica, esentarono i PVS da ogni obbligo ambientale in nome della pur sacrosanta acquisizione del concetto delle responsabilità condivise ma differenziate. Venne presto in campo la novità della globalizzazione, un modello di generalizzazione dei mercati che apportò benefici, come riconobbe il WSSD di Johannesburg del 2002[2], ma aumentò ancora le diseguaglianze, con i prezzi delle materie prime dei PVS imposti dai mercati a vantaggio dei più forti e, soprattutto con la commodification del lavoro e la delocalizzazione delle imprese. Ci furono forti movimenti di protesta giovanile sostenuti dai sindacati (Seattle, 1999; Genova, 2001) ma furono repressi senza tanti complimenti.

Sono impressionanti le cifre delle disuguaglianze di reddito, non certo le uniche a carico degli attuali sistemi perché vanno aggiunte le diseguaglianze di genere, dei diritti e dell’accesso alle risorse. Dal 1995, all'1% più ricco delle persone è andata una quota dell'aumento della ricchezza globale 20 volte superiore alla metà più povera della popolazione umana. Otto uomini ora possiedono la stessa quantità di ricchezza dei 3,6 miliardi di persone più povere del mondo[3]. Al di là di ogni preconcetto possiamo concludere che il modello di sviluppo occidentale è del tutto incapace di ristabilire una sia pur minima equità nella distribuzione delle risorse e dei diritti, mentre continua a subire gravi crisi cicliche della economia e della finanza che ora dilagano inarrestabili sul mercato planetario, e si dimostra altrettanto incapace a prevenire e fronteggiare le crisi sanitarie globali[4] e a difendere la pace.

Il quadro economico e geopolitico mondiale è però in evoluzione, tanto che si può ormai dire che il modello occidentale ha di nuovo competitori sul terreno, frutto anche del deficit delle politiche globali che, anziché integrazione, hanno generato competizione e anziché placarli, hanno portato i conflitti armati da una prevalente dimensione regionale ad una pericolosa generalizzazione. Non c’è più, dunque, la stabilità che ci aveva illuso di poter governare uno sviluppo sostenibile su scala mondiale mediante l’approccio multilaterale e le Nazioni Unite. Nuove realtà multinazionali sono cresciute più o meno rapidamente. La Cina, anzitutto, guida indiscussa ed interessata dei paesi poveri, è ora alla pari degli occidentali su molti indicatori, emissioni ed inquinamento compresi. L’Africa, l’America Latina e il Medio Oriente non sembrano più disposti a cedere le loro materie prime al prezzo stabilito dagli occidentali. Per ultima, sgradita, ricompare la nazione panrussa alla ricerca del suo posto al sole con le mani sui rubinetti del gas e del petrolio. Stupefatti, gli occidentali, che una realtà con un PIL così infimo si possa permettere di aggredire e ricattare con metodi quantomeno pre-moderni, insensibile al progresso e capace di trasferire materie prime in armamenti senza l’ombra di mediazioni democratiche.

In queste nuove realtà emergenti di democrazia c’è n’è ben poca e nel nostro mondo di paesi ricchi si insinuano dubbi e incertezze, anche per il fallimento disastroso dei tentativi di esportare la democrazia con le armi. Le armi  sono rimaste, della democrazia nessuna traccia.

La trasformazione del quadro mondiale si legge molto chiaramente nella evoluzione del negoziato mondiale sullo sviluppo sostenibile. A Rio+20, del 2012, si arrivò con un’agenda concordata tra Europa e UNEP che mirava ad assegnare a quest’ultima la governance dello sviluppo sostenibile sul comune impianto concettuale della Green economy[5]. Bloccarono il tentativo per interessi speculari la Cina, indisponibile a farsi imporre modelli di sviluppo eterodiretti, e gli Stati Uniti, come sempre sostanzialmente nemici delle istanze green troppo invasive. In quell’occasione lo sviluppo sostenibile fu promosso ai livelli più alti delle Nazioni Unite, investendo l’Assemblea Generale e l’ECOSOC con un forum dedicato l’HLPF  e in tre anni di faticosi negoziati si pervenne con l’Agenda 2030 e l’Accordo di Parigi (2015) ad una nuova modalità di governance, non più basata sul Command and Control, top-down, ma sull’adesione volontaria e proattiva, bottom-up, dei diversi Paesi agli obiettivi degli SDG e di Parigi, al cui storico Accordo i Paesi accedono attraverso degli NDC[6], assunzioni unilaterali e volontarie di impegni periodicamente rivisti in crescita.

Anche l’Europa è passata dalle affermazioni di principio di una Green economy universale al Green Deal, un patto interno stringente per obiettivi, che mette al centro la decarbonizzazione dell’economia entro il 2050 con un severo milestone al 2030, l’economia circolare e la protezione della natura, in un quadro sociale dichiaratamente inclusivo. Ma l’economia è sempre quella, il modello di economia di mercato vira verso il green ma la pelle non cambia e le istanze di abbattimento delle diseguaglianze restano fuori. Possiamo in sintesi pensare chee diseguaglianze rimangono il differenziale netto tra Green Deal e Sviluppo sostenibile.

Il modello di sviluppo cinese, un capitalismo autocratico basato sulla programmazione da parte del Partito unico, è forse migliore del modello occidentale? Di democrazia non si parla, di diritti ancor meno. L’aggressività militare è per ora bassa. Alla Cina va riconosciuto il merito di aver tratto fuori dalla povertà un quinto della popolazione mondiale, di aver raggiunto la parità tecnologica e il predominio commerciale e finanziario, ma non sappiamo niente delle diversità città-campagna e della repressione delle minoranze (Tibet, Uiguri, Hong Kong). Sappiamo invece che quel sistema è piuttosto refrattario alle istanze libertarie occidentali, ma i conti con quelle comunità vanno fatti alla luce del sole, non attraverso il riarmo nascosto. Il ruolo della Cina è stato determinante nella diplomazia climatica. Da Rio in poi ha fermamente difeso il suo diritto all’esenzione dagli impegni di mitigazione che la stessa Convenzione delle Nazioni Unite gli riconosce, ed ha capeggiato il gruppo dei 77 PVS (G77) con la ferma determinazione che i prezzi da pagare spettano ai paesi occidentali, responsabili di gran lunga del cambiamento climatico per aver emesso gran parte delle emissioni storiche di gas serra, quelle che determinano il global warming presente e futuro. La Cina non ha fatto l’andirivieni degli USA dentro e fuori dalla Convenzione e a Parigi ha accettato di rinunciare alla prerogativa di paese non responsabile e farsi carico per la prima volta di impegni diretti e pubblici in fatto di abbattimento delle emissioni che, su base annua, la vedono al primo posto con poco meno del 30% delle emissioni globali GHG e CO2. Per contro la Cina e i G77 rimangono intransigenti sul fatto che la finanza per il clima, GCF e Loss and damage, devono restare a intero carico dei paesi ricchi e che gli altri eventuali contributi sono eventuali e solo su base volontaria.

Come trovare un modello di sviluppo che ci indirizzi, con tutte le diversità, allo sviluppo sostenibile?[7] Il quadro del negoziato multilaterale deve essere salvaguardato e rafforzato. In occidente se ne discute a fondo. Il riconoscimento delle attuali insufficienze è ormai largamente condiviso e da molte parti si parla di nuovo capitalismo[8],[9]. Nessuna teoria sembra però capace di superare il muro di Piketty espresso dalla famosa formula r>g[10], cioè che il tasso di rendimento del capitale, da cui i ricchi traggono normalmente la loro ricchezza, supera anche più di cinque volte i tassi di crescita economica da cui dipendono i redditi della maggior parte delle persone. I dati storici prodotti a profusione dimostrano che tale è la condizione definitiva del capitalismo, salvo che nei periodi delle ricostruzioni postbelliche del secolo scorso quando il capitale finanziario fu giocoforza al minimo e la rendita con esso. Le disuguaglianze creano una gerarchia e determinano le distanze sociali. Invece di incoraggiare lo spirito pubblico, la coesione e la fiducia che possono fiorire una comunità di quasi uguali, grandi differenze materiali esacerbano sentimenti di superiorità e inferiorità all’interno dei paesi e tra paesi poveri e ricchi. La struttura sociale si ossifica e la mobilità sociale diminuisce. In breve, le disuguaglianze creano una condizione di blocco dello sviluppo sostenibile. Vediamo aumentare nel mondo l'ostilità politica verso i paesi ad alto reddito, i più responsabili delle crisi economiche ed ambientali. Quello che sta avvenendo è uno spostamento di prestigio e influenza tra i leader delle comunità maggiori, dagli Stati Uniti non più credibili come portabandiera della democrazia, alla Cina che non cessa di ricordare al mondo che, nonostante gli abusi nei diritti umani, loro hanno poca responsabilità storica per le emissioni di anidride carbonica, la schiavitù e il colonialismo[11]. Per limitare la crescente influenza del socialismo autoritario della Cina il mondo occidentale deve abbandonare la sua ideologia ipercapitalista e tornare verso un socialismo di mercato partecipativo, post-coloniale e solidale ai paesi a reddito medio e basso, in grado di rispondere efficacemente alla crisi ambientale. I due poli sociali e politici dominanti devono cioè avvicinarsi, non invece arroccarsi su contrapposizioni economiche e militari come sembra si stiano apprestando a fare. L’Agenda 2030 può essere la guida di questo avvicinamento. Essa indica obiettivi che, si devono tradurre a livello dei governi in altrettante missioni6.  Una missione deve essere ambiziosa, chiara nel proposito di migliorare la qualità della vita delle persone, ed avere un’ampia risonanza sociale. I suoi obiettivi devono essere concreti, misurabili e delimitati nel tempo, come la decarbonizzazione del Green Deal. Qui viene al punto il nuovo ruolo per le amministrazioni pubbliche, che non deve più essere solo quello di ridurre i rischi per il capitale privato, ma essere l’investitore di prima istanza e non di ultima, capace di attirare investimenti privati aumentando l’effetto moltiplicatore ed orientando le istituzioni finanziarie. Come stiamo sperimentando in Italia in queste prime fasi del PNRR, perché ciò sia possibile, abbiamo bisogno di potenziare di molto la capacitazione del settore pubblico e di tagliar via le tentazioni ricorrenti di ricorrere alla esternalizzazione della guida e del monitoraggio dei progetti a società private esterne o a consulenti professionali. Qui sta la chiave del nuovo rapporto tra pubblico e privato. Il pubblico definisce le missioni in nome del bene comune[12], le struttura e le finanzia per la sua parte, il privato coinveste e coopera al raggiungimento degli obiettivi, non certo attraverso la flebile responsabilità sociale d’impresa, la beneficenza o l’allargamento della platea degli stakeholder, ma come ramo determinante della catena del valore della missione dove si produce ricchezza in maniera più equa perseguendo allo stesso tempo gli obiettivi della società. Non si tratta di far entrare i governi tra gli azionisti delle società, quindi nelle loro logiche privatistiche. Si tratta invece di arruolare il sistema industriale nelle missioni pubbliche, finanziare, usare le leve fiscali e sistemi di monitoraggio severi e capaci di valutare le performance di ogni attore, quindi anche di mandare a casa e sostituire i manager che non hanno raggiunto gli obiettivi assegnati. Non sfugge che tutto ciò richiede una profonda revisione dei percorsi formativi ad ogni età.


[1] Wilkinson R., Pickett K.; 2022; Tackling inequality takes social reform; Nature, vol. 606, 23 June 2022

[2] United Nations; 2002; Johannesburg Declaration on Sustainable Development; World Summit on Sustainable Development, A/CONF.199/20

[3] Oxfam International; 2022; Inequality Kills. The unparalleled action needed to combat unprecedented inequality in the wake of COVID-19; Oxfam GB, Oxfam House, John Smith Drive, Cowley, Oxford, OX4 2JY, UK

[4] Mazzucato M.; 2020; Non sprechiamo questa crisi; Laterza

[5] UNEP; 2011; Towards a Green Economy: Pathways to Sustainable Development and Poverty Eradication; A Synthesis for Policy Makers; www.unep.org/greeneconomy

[6] UNFCCC; https://unfccc.int/process-and-meetings/the-paris-agreement/nationally-determined-contributions-ndcs/nationally-determined-contributions-ndcs

[7] Giovannini E., Barca F.; 2020; Quel mondo diverso da immaginare per battersi e che si può realizzare; Laterza

[8] Mazzucato M.; 2021; Missione economia. Una guida per c ambiare il capitalismo; Laterza

[9] Schvab K., WEF; 2021; Stakeholder Capitalism: A Global Economy that Works for Progress, People and Planet; Wiley

[10] Piketty T.; 2016; Il capitale nel XXI secolo; Bompiani

[11] Piketty T.; 2022; A Brief History of Equality; Belknap

[12] Ostrom E.; 1990; Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action; Cambridge University Press

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SVILUPPO SOSTENIBILE9 Febbraio 2022. La modifica della Costituzione introduce lo sviluppo sostenibile come riconoscimento dei diritti delle generazioni future alla pari con la nostra generazione

è stato Enrico Giovannini a farsi carico dell'introduzione dello sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della Carta costituzionale. L'opera è riuscita in parte: la sostenibilità è tutta nel nuovo Art.9 dove la tutela ambientale ed ecosistemica è introdotta anche nell'interesse delle generazioni future. Come si ricorderà i diritti delle generazioni future sono il contenuto essenziale della definizione di sviluppo sostenibile nella definizione primigenia della Brundtland nel suo rapporto alle Nazioni Unite "Our Common Future". Storicamente, poi, il concetto di sviluppo è finito sotto la lente di ingrandimento per il suo significato che, in lingua italiana, è duplice e va da crescita a progresso. Il termine sviluppo non sarebbe quindi sufficientemente tanto chiaro da poter essere introdotto in un testo come la Costituzione italiana.

Il testo modificato degli articoli 9 e 41 della Carta costituzionale ha concluso all'unanimità il suo lungo iter parlamentare. L'Articolo nove è modificato solo per aggiunta del testo in corsivo:

"La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.

Il provvedimento modifica, inoltre, l’articolo 41 della Carta, prevedendo che l’iniziativa economica privata e pubblica non possa svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente e che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica  possa essere indirizzata e coordinata a fini ambientali:

"L’iniziativa economica privata è libera. L’ordinamento stabilisce i presupposti più favorevoli al suo esplicarsi. Chi la assume ne è esclusivo responsabile. Deve svolgersi in condizioni di concorrenza, trasparenza, rispetto dell’ambiente. Non deve recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina gli interventi diretti a rimuovere le carenze del mercato lesive dell’utilità sociale".

Non c'è stata una particolare esultanza sui media, TV, giornali etc. Non è chiaro se si tratti di sottovalutazione o della solita invincibile mancanza di cultura della nostra gente. Non aiuta l'ineffabile Ministro della transizione ecologica che ha rivendicato (senza alcun merito) l'importante novità costituzionale, in nome, ha dichiarato pubblicamente, dei suoi cani dei suoi gatti e dei suoi pappagalli che ora sono tutelati. E le generazioni future?

 

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ENERGIA

14 gennaio 2022. L'Italia ha già fatto la sua transizione al gas (Andrea Barbabella su La "Repubblica")

 

Diversamente da quanto si potrebbe pensare ascoltando il dibattito nostrano sull’energia, in Italia i potenziali della transizione al gas naturale sono già stati ampiamente sfruttati. Quella che ci aspetta nei prossimi anni è decisamente un altro tipo di transizione energetica, basata sulla forte crescita delle rinnovabili e sulla contestuale riduzione dei combustibili fossili. Incluso il gas. Tradizionalmente tra le grandi economie europee l’Italia è quella con la più alta dipendenza dalle importazioni di energia, essenzialmente fossili: nel 2019 bel il 77% del fabbisogno nazionale è stato soddisfatto dalle importazioni, a fronte ad esempio di una media europea del 61%. Oramai da alcuni anni il gas naturale, certamente un combustibile fossile un po’ meno inquinante degli altri ma con un impatto rilevante sul clima, ha superato il petrolio diventando la prima fonte energetica nazionale. Per contrastare il cambiamento climatico in corso e rispettare gli impegni europei, l’Italia dovrebbe quasi dimezzare le attuali emissioni di gas serra nel decennio in corso, per arrivare a neutralizzarle entro i vent’anni successivi. Per questo da qui al 2030, prossima milestone del percorso verso la neutralità climatica, la sfida che ci attende sarà quella di far diventare le rinnovabili la prima fonte di energia in Italia. Questo vuol dire certamente far crescere le rinnovabili a ritmi senza precedenti, ma anche tagliare sostanzialmente i consumi di tutti i combustibili fossili, incluso il gas i cui consumi dovranno ridursi significativamente in quasi tutti i settori (con l’eccezione del trasporto merci e marittimo, dove dovrebbe sostituire i prodotti petroliferi trainato dalla crescita del biometano). Secondo la roadmap tracciata da Italy for Climate, i consumi nazionali di gas naturale dovrebbero passare dai quasi 75 miliardi di metri cubi del 2019 a poco più 50 miliardi nel 2030: un taglio del 30%.

Questi sono i dati sui consumi complessivi di gas naturale, cioè quello impiegato negli usi domestici, nei processi industriali, nella produzione di elettricità e nei trasporti. Ma il dibattito sul gas come combustibile della transizione in Italia riguarda in particolare il comparto della generazione elettrica: forse per questo specifico utilizzo le cose stanno diversamente? Non tanto, direi. Anche in questo caso l’Italia vanta una leadership, essendo diventato il Paese con i più alti consumi di gas naturale per la generazione elettrica:sempre nel 2019 con il gas in Italia sono stati prodotti oltre 140 miliardi di kWh dielettricità (quasi la metà della produzione elettrica nazionale), contro ad esempio poco più di 130 del Regno Unito e 90 della Germania. Ma come per i consumi complessivi, anche per quelli destinati alla sola generazione elettrica la roadmap dell’Italia verso la neutralità climatica imporrebbe un sostanziale ridimensionamento: la produzione di elettricità da gas naturale dovrebbe passare, infatti, dagli oltre 140 miliardi di kWh del 2019 ai poco più di100 miliardi di kWh del 2030 (-27%). Se l’Italia vuole davvero contrastare la crisi climatica e mettersi in rotta verso un’economia a zero emissioni, non c’è posto per una crescita del gas naturale nella transizione del Paese. Stando così le cose, specie per un Paese come l’Italia senza nucleare e soprattutto con poco carbone da sostituire, penso che parlare oggi di nuovi investimenti nel gas naturale per promuovere la transizione energetica, a cominciare dalla generazione elettrica,potrebbe rientrare a pieno titolo nella categoria dei bla bla bla.

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ENERGIA

7 gennaio 2022. Nucleare out, prima che sia troppo tardi

 

Non riusciamo a nascondere la delusione per il compromesso contenuto nella proposta proveniente dalla Commissione Europea che introdurrebbe a certe condizioni il nucleare da fissione e il gas naturale tra le forme di energia green accreditate nella tassonomia che consentirebbe loro di accedere ai finanziamenti europei destinati alla transizione ecologica nel quadro del Green Deal. Alla data di oggi la questione è tutt'altro che chiusa, come la Fondazione ha chiarito in due note su Huffington Post a firma del Presidente Edo Ronchi a cavallo del nuovo anno. Invitiamo alla lettura delle due note che forniscono un quadro chiaro dell'evoluzione della questione. Si potrebbe commentare che prima o poi la Commissione avrebbe dovuto prendere una cantonata, sotto la pressione di interessi molto concreti di vari paesi.  La questione gas/nucleare in Europa è però diventata troppo grave per farne oggetto di semplici prese d'atto. Non possiamo più limitarci a diffondere le posizioni della Commissione e dobbiamo fare conto che la recente decisione della Germania di chiudere le sue sei centrali nucleari entro l'anno e lo schieramento contrario di una serie di paesi (non dell'Italia, al solito) prevalga nell'europarlamento cui spetta l'ultima parola a maggioranza semplice. le sorti del gas e del nucleare si intrecciano in una rete complessa di interessi, di visioni e di do ut des. La confusione è creata ad arte per arrivare agli obiettivi delle varie parti, ma, per tagliare il nodo gordiano, il gas naturale ha un ruolo tanto indiscutibile quanto decrescente nel percorso della transizione energetica europea al 2030 e al 2050. La fissione nucleare non ne ha nessuno.

Prendiamo atto con soddisfazione che Enrico Letta, per conto della forza politica italiana di maggioranza relativa, ha preso una posizione netta dicendo che: “Non ci piace la bozza di tassonomia verde che la Commissione UE sta facendo circolare. L’inclusione del nucleare è per noi radicalmente sbagliata. E il gas non è il futuro, è solo da considerare in logica di pura transizione verso le  energie rinnovabili“. L'uovo di Colombo, ma al di là dei 5*, dei verdi, di LEU e dei radicali la musica cambia di molto e nello stesso Governo ci sono voci importanti di parere opposto. A noi non sfugge che il rilancio del gas e più ancora del nucleare è un tentativo mal dissimulato da parte italiana di rallentare ulteriormente lo sviluppo delle fonti rinnovabili che, uniche, ci possono dare certezza dell'obiettivo europeo obbligatorio di abbattimento delle emissioni del 55% al 2030. Come fu al tempo dei due referendum per l'abbandono del nucleare,  una eventuale scelta a favore del suo rilancio resta anzitutto di natura politica e sconta un'opposizione sociale che nel nostro paese è senza se e senza ma, come dimostra la vicenda del deposito unico delle scorie nucleari che non ha fatto un passo in avanti in quarant'anni, salvo rimanere come balzello fisso sulle bollette elettriche. Non vorremmo essere noi a rilanciare un dibattito su presunte basi scientifiche con tematiche che ci hanno a suo tempo torturato per anni, lasciando favorevoli e contrari sulle loro posizioni.

Guardando senza infingimenti alla situazione italiana resta misteriosa la posizione del governo. Non viene chiarito cosa materialmente si intende fare dopo aver sottoscritto il Green Deal europeo, incassato i soldi del Next generation EU e aver accolto i regolamenti del Fit for '55. La strada al 2030 è tracciata, è breve e non lascia spazio a visioni avveniristiche o, meglio, retrotopiche. Il 2030 si fa con le rinnovabili, con lo stoccaggio elettrico e con il gas naturale per quello che resta, biogas compreso. Già un anno se ne è andato e non si vede l'impegno necessario né una comunicazione politica per sgomberare la strada dalla caterva di obiezioni, opposizioni e mal di pancia che si frapporranno allo sviluppo delle rinnovabili. Nessuna notizia ci rende sicuri dell'aggiornamento del PNIEC e, per quanto riguarda una legge italiana sul clima, indispensabile come la Fondazione ha più volte affermato, nemmeno se ne parla. Manca qualsiasi rilancio allo spirito referendario sul nucleare che pure è stato la culla di ogni iniziativa ecologista in Italia. Basterebbe ricordare il principio di precauzione e perfino la regola del do not harm, più che sufficienti dal momento che non esistono metodi di trattamento completo dei rifiuti di lunga durata ed alta radioattività. Che dire poi dei rifiuti militari di  cui nulla è dato sapere salvo che, anche in Europa, gli armamenti vengono frequentemente rinnovati con il rilascio dei vecchi materiali. E che dire dei sottomarini sovietici affondati o dell'uranio impoverito finito sul fondo dell'Adriatico. Il ciclo nucleare forse così green da rientrare nei parametri dell'economia circolare, si domanda Ronchi?. Sul rischio nucleare, poi, il dibattito è stucchevole. Secondo gli interessati è ingegneristicamente trascurabile. Suggeriamo di  fare un banale calcolo: quattro incidenti da gravi a gravissimi,  Three Mile Island, Creys Malville (tecnologia di quarta generazione fallita, centrale chiusa), Chernobyl e Fukushima,  su un totale di 441 reattori in operazione (molti concentrati in un solo sito) fanno una probabilità di incidente grave del 9 permille, 0,9%; ordini di grandezza al di sopra delle cifre di rischio dichiarate. Sui danni alla salute si mente e si continua a mentire. Non esistono conti ufficiali sugli effetti a lungo termine e a grande distanza della stessa Chernobyl e nemmeno sul numero delle vittime a scala locale. L'Italia ha abbandonato ogni parte del sistema industriale nucleare e pensionato tutti i tecnici e gli ingegneri, quorum ego. Oggi potremmo solo comprare impianti e combustibili da qualcuno, USA, UK, Francia, Kazakistan,  e importare tecnici ed ingegneri, per rifare i quali ci vorrebbero più dei trent'anni da qui al 2050. Tra le cose che ci dispiacciono della Commissione europea non possiamo fare a meno di citare il recente Rapporto dello JRC di Ispra, peraltro fortemente criticato da studi svolti nella stessa Europa. Il fatto che sia un organo tecnico della Commissione e che, se questa fa compromessi, quelli sono obbligati, non ci conforta affatto. La terzietà dovrebbe essere obbligatoria per chi fa scienza.

Il nucleare non ha più sostegno sociale in gran parte del mondo occidentale ed è di gran lunga la fonte energetica più costosa. L'attacco più comune alle rinnovabili si basa sull'occupazione di suolo ma,soprattutto, sull'intermittenza. Ebbene, le centrali nucleari richiedono settimane per andare a regime e non possono stabilizzare la rete. Devono andare invece in background continuo, ragione per la quale la Francia vende l'energia elettronucleare a due soldi la notte perché non può fermare le centrali. La rete si stabilizza ora con il gas naturale e progressivamente con lo stoccaggio, la interconnessione continentale e le smart grid.

Per quanto riguarda il gas attenzione a due equivoci. Il biogas è una cosa e il gas naturale è un'altra. Però la Commissione vorrebbe i limiti di emissione a 270 g/kWh, cioè è di gas fossile che parla.

Il nucleare da fusione è invece benvenuto, potrebbe essere definito green con qualche attenzione e comunque a molto maggior titolo, ma quello di cui si parla  è nucleare da fissione la cui IV generazione è puro frutto di fantasia. La fusione nucleare potrebbe avere diritto di stare nella tassonomia europea, dove invece non c'è. I nostri referendum, a differenza di quanto sembrerebbe aver detto il ministro competente per l'energia,  non hanno bloccato la fusione che infatti è l'oggetto unico della ricerca ENEA di Frascati e di un gran numero di partnership internazionali di cui siamo parte.

Molto malvolentieri dobbiamo ammettere che la questione è tutt'altro che chiusa. Staremo a vedere

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SVILUPPO SOSTENIBILE

3 giugno 2021. Il Wuppertal e il E3G pubblicano le analisi degli effetti ambientali dei PNRR dei vari paesi. L'Italia, il paese più dotato di contributi, è il fanalino di coda

Il Primo Ministro Draghi ha presentato il Piano italiano di Recupero e Resilienza (PNRR) definitivo il 27 aprile 2021. Il piano attinge a un totale di 235 Mld€, di cui 191,5 provenienti dal NGEU (sovvenzioni 68,9 miliardi di euro, i prestiti rimanenti), 13 dal Fondo UE REACT e 30,6 da un fondo complementare che utilizza fonti di finanziamento nazionali. Nel complesso, per l'Italia, le misure di risanamento sono inferiori al potenziale di transizione green dei fondi di risanamento disponibili. L'analisi del Green Recovery Tracker identifica le seguenti quote di spesa:

Dal rosso al verde la qualità ecologica min-max degli investimenti

 

Mentre il piano prevede investimenti in misura rilevante per la transizione green, vi è un significativo squilibrio nell'allocazione dei fondi tra settori e attività. Molti degli investimenti green del piano possono solo determinare uno spostamento minimo verso un'economia climaticamente neutra e sembrano piuttosto insignificanti rispetto alle esigenze di una transizione verso un'economia decarbonizzata. In particolare, si evidenzia una mancanza di adeguato supporto per i pilastri essenziali per la transizione: l'espansione della generazione di energia elettrica rinnovabile, l'uso diretto dell'elettricità e la mobilità sostenibile a livello urbano.

l piano e le relative riforme favoriscono le procedure autorizzative per le infrastrutture del gas senza spingere l'elettrificazione nell'uso finale dell'energia. C'è anche il dato che una quota relativamente elevata dei fondi per il recupero sarà assegnata a progetti su, ad esempio, biometano e idrogeno, riconducibili al settore del gas. In alcuni casi, le attività del gas fossile  possono accedere direttamente alle risorse di recupero, ad esempio attraverso il supporto per le caldaie a gas negli investimenti per l'efficienza energetica o il sostegno agli autobus alimentati a gas, che creeranno un lock-in infrastrutturale che rallenterà la transizione climatica.

Il piano di rilancio dell'Italia  raggiunge una quota di spesa green del 16%, al di sotto del parametro di riferimento del 37% dell'UE. Allo stesso tempo, troviamo che il 26% (49,5 Mld€) potrebbe avere un impatto  positivo o negativo sulla transizione verde a seconda dell'attuazione delle misure attuate. Secondo il governo, il PNRR raggiungerebbe una quota di spesa per il clima del 40%. Nel valutare l'intero pacchetto di risanamento (compresi NGEU, REACT EU e Fondo complementare), l'Italia raggiunge una quota di spesa green del 13%. Inoltre, troviamo che, complessivamente, il 28% (66,7 Mld€) può avere un impatto positivo o negativo sulla transizione green a seconda dell'attuazione delle misure pertinenti.

Non vediamo una strategia globale per la transizione verde e nessun uso strategico dei fondi PNRR. Le risorse per le misure rilevanti per la transizione ecologica sono disperse in varie piccole componenti ed elementi, p. es. nelle misure di sostegno alle isole green o all'agrivoltaico, con pochi finanziamenti per la decarbonizzazione industriale o altre importanti aree della transizione, in particolare per quanto riguarda il greening della fornitura di energia elettrica e l'elettrificazione. Esistono, inoltre, significative misure di sostegno che possono finire per favorire il gas fossile, come gli investimenti in biometano e idrogeno, mentre manca una strategia per l'elettrificazione e un aumento della fornitura di energia elettrica rinnovabile. Nel complesso, nonostante le sue dimensioni, il prezzo consigliato non lo fa non forniscono un chiaro impulso alla transizione verso un'economia climaticamente neutra.

Lo scarso supporto per l'utilizzo diretto dell'elettricità, soprattutto nel settore dei trasporti, danneggia la lotta ai cambiamenti climatici.  Gli investimenti complessivi in ​​mobilità elettrica sono di appena 1,2 Mld€. Ci sono altre risorse destinate al trasporto pubblico nei comuni, ma non è chiaro che sosterranno la mobilità elettrica e c'è il rischio che questi fondi possano supportare veicoli a gas fossile. Notevolmente bassa la quota di investimenti in mobilità elettrica, con i finanziamenti dell'UE per la ripresa, rispetto agli altri paesi dell'UE.

Occorre prestare attenzione ai nessi tra il piano di rilancio e la politica climatica generale: il PNRR fissa arbitrariamente obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni al 51% entro il 2030, rispetto al 1990. Non è affatto l'obiettivo nazionale ufficiale di decarbonizzazione. Tuttavia, il piano non collega specificamente le misure di recupero individuali con questo obiettivo generale. Gli impatti complessivi quantificati dal piano ammontano ad una riduzione di 5,6 Mt CO2e, solo il 3% delle necessarie riduzioni delle emissioni fino al 2030. Tuttavia, deve essere osservato che non sono fornite stime per molte misure pertinenti, anche nell'edilizia, la mobilità e i trasporti.

è grave la mancanza di ambizione sulle rinnovabili: nel complesso, il PNRR prevede finanziamenti per 4,2 GW di capacità di generazione rinnovabile aggiuntiva,solo il 70% dei 6 GW che sono necessari in ogni singolo anno per essere sulla buona strada per il 2030. Questo obiettivo è anche significativamente al di sotto della quota nazionale italiana assegnata dalla Commissione che chiede che gli Stati membri utilizzino i fondi di recupero per sviluppare il 40% del 500 GW di capacità di generazione richiesta in tutta l'UE entro il 2030. Le singole misure a sostegno delle rinnovabili sono frammentarie e non legate a una strategia più ampia: non c'è strategia per l'eolico offshore, ma solo un budget generico di 0,6 Mld€ per le tecnologie, molto probabilmente per  la generazione dalle maree. Il supporto chiave per il solare fotovoltaico (2,2 Mld€) è riservato ai comuni con meno di 5000 abitanti e non è accompagnato da alcuna riforma. Sono stati stanziati ingenti fondi per sostenere lo sviluppo del solare fotovoltaico su terreni agricoli (agrivoltaico), con investimenti di 1,5 Mld€ per soli 430 MW. Infine, non ci sono risorse finanziarie o riforme strategiche per sviluppare lo stoccaggio di energia, nonostante l'obiettivo del PNIEC di sviluppare 10 GW di capacità di stoccaggio.

Per l'efficienza energetica vengono complessivamente stanziati 22 Mld€. La maggior parte, 18,5 Mld€, viene utilizzata per un meccanismo di rimborso fiscale (ecobonus) che consiste in un rimborso del 110% dei costi di ristrutturazioni edilizie, con costi relativamente elevati. Purtroppo il meccanismo non è supportato da forti condizionalità di efficienza, poiché richiede un miglioramento di sole due classi energetiche e consente investimenti nel gas fossile per gli impianti di riscaldamento. Non esiste inoltre una strategia di efficienza energetica per il settore pubblico. Infatti, per il miglioramento dell'efficienza degli edifici scolastici, si parla di 195 edifici scolastici su un totale di 32.000, destinando nel contempo ulteriori risorse alla ristrutturazione degli edifici senza vincolo di efficientamento.

Non c'è spinta per la mobilità elettrica e l'allocazione dei fondi per la mobilità è squilibrata: nonostante l'ampio budget complessivo dedicato alle misure di mobilità, in particolare all'alta velocità, il PNRR non destina molte risorse alla promozione della mobilità elettrica e al greening del trasporto pubblico locale. Meno dell'1% dei fondi complessivi è destinato all'elettrificazione della mobilità, con un rischio significativo che l'Italia resti sempre più indietro nel passaggio alla mobilità elettrica. Lo squilibrio nell'allocazione dei fondi nel settore della mobilità sta nella cospicua quota di fondi destinati alle linee ferroviarie a lunga e media distanza rispetto alla mancanza di fondi per intervenire sulla maggior parte dei problemi urgenti nel settore. Nello specifico, le misure fanno poco per ridurre le emissioni a partire dal trasporto stradale e per ottimizzare la qualità dell'aria nelle città, nonostante quest'ultima sia una raccomandazione prioritaria della Commissione Europea nel processo del semestre europeo per il settore trasporti. Secondo la stessa valutazione del governo, gli investimenti  significativi nell'infrastruttura ferroviaria ad alta velocità porteranno a riduzioni delle emissioni di soli 2,3 MtCO2e, una piccolissima parte delle riduzioni di 174 MtCO2e richieste complessivamente entro il 2030 sulla base dell'obiettivo di decarbonizzazione incluso nel PNRR.

Alcune delle riforme incluse nel PNRR consistono nell'accelerare l'iter autorizzativo per le infrastrutture della nuova energia, in linea con gli obiettivi fissati nel PNIEC. C'è il rischio che la riforma proposta favorisca principalmente le centrali elettriche a gas, tanto più che il meccanismo italiano del Capacity Market ha già attivato richieste di autorizzazione di ca. 15 GW di capacità aggiuntiva di gas. Allo stesso tempo, secondo il gestore del sistema di trasmissione Terna, la domanda di punta di 58,8 GW è già significativamente inferiore alla capacità complessiva della rete esistente (119,3 GW). È particolarmente problematico che le centrali termiche, come le centrali a gas, siano autorizzate a livello centrale, mentre la maggior parte degli impianti di energia rinnovabile deve essere approvata a livello regionale, rendendo più complesso il processo di autorizzazione dei progetti di energia rinnovabile. Inoltre, le riforme includono potenziali allentamenti dei regolamenti dei processi autorizzativi per le infrastrutture ferroviarie ad alta velocità, idrogeno e biometano. Mentre una semplificazione delle procedure amministrative è necessaria in linea di principio, data l'attuale complessa infrastruttura della pubblica amministrazione, si teme che ciò possa anche indebolire importanti disposizioni per la protezione dell'ambiente. Sono già molte le associazioni che denunciano i provvedimenti semplificativi delle autorizzazioni temendo che il paesaggio possa essere compromesso dall'invasione dei generatori rinnovabili.

Le principali misure del PNRR in ogni settore con effetti sulla transizione ecologica

 

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SVILUPPO SOSTENIBILE 28 Gennaio 2021. Scompare Paul Crutzen, Padre dell'Antropocene

 

Paul J. Crutzen se ne è andato il 28 gennaio all'età di 87 anni. Crutzen ha scoperto come gli inquinanti atmosferici possono distruggere l'ozono stratosferico, che protegge la Terra dalle dannose radiazioni ultraviolette. Ha condiviso il Premio Nobel 1995 per la chimica per questo lavoro con F. Sherwood Rowland e Mario J. Molina, che avevano dimostrato che tali inquinanti includevano i clorofluorocarburi.

Combinando una ricerca rigorosa con un dono per la comunicazione, Crutzen ha introdotto il termine "Antropocene" per descrivere quella che considerava una nuova epoca, caratterizzata dal predominio umano dei processi biologici, chimici e geologici sulla Terra. Il termine ha subito preso piede e stimolato la discussione in molte discipline. Si ritiene che l '"età degli esseri umani" sia iniziata a metà del XX secolo, con l'accelerazione dello sfruttamento delle risorse del pianeta.

Crutzen è nato ad Amsterdam, nel 1933, e si è formato come ingegnere civile. Negli anni '60, ha studiato meteorologia all'Università di Stoccolma, mentre lavorava come programmatore di computer per sostenere la moglie finlandese, e la famiglia. Come studente laureato, ha combinato le sue capacità di programmazione e scientifiche costruendo un modello informatico della stratosfera. Mentre cercava di spiegare la distribuzione dell'ozono a diverse altezze, ha scoperto che gli ossidi di azoto potrebbero catalizzare le reazioni che distruggono l'ozono. All'inizio degli anni '70, quando gli scienziati iniziarono a discutere i livelli di ossidi di azoto che probabilmente sarebbero stati emessi dalle flotte di aerei supersonici, si rese conto che le emissioni antropiche potevano danneggiare lo strato di ozono stratosferico. Il suo lavoro coincise con quello di Molina e Rowland, che scoprirono che anche i composti contenenti cloro potevano essere utilizzati come propellenti, solventi e refrigeranti. Nel 1985, gli scienziati hanno scoperto un "buco" nello strato di ozono sopra l'Antartico. Crutzen ha contribuito a gettare le basi del Protocollo di Montreal del 1987, i cui stati firmatari si sono impegnati a eliminare gradualmente le sostanze che riducono lo strato di ozono. Lo strato di ozono ora mostra segni di ripresa.

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SVILUPPO SOSTENIBILE

12 gennaio 2021. Il governo pubblica un PNRR inadeguato

 

Nella bozza del PNRR, presentata dal Consiglio dei ministri il 12 gennaio, v’è una grande questione politica: l’inadeguatezza di una proposta molto lontana da quanto ci si sarebbe aspettati oltreché dagli standard europei. Il programma europeo NGEU, Next Generation EU,  mette a disposizione risorse senza precedenti per il nostro Paese, ma per ricostruire meglio e in modo diverso, con innovazione, sostenibilità, attenzione al disagio sociale e alle disuguaglianze cresciute in questi anni. Nel testo del 12 gennaio, non c’è l’Allegato con le schede progetto necessarie per comprendere la concreta articolazione delle proposte. 

Questa situazione chiama in causa Governo ed opposizione, cui si chiede di parlare al Paese del merito delle proposte, della visione che si vuole portare avanti in modo da andare oltre le scelte ordinarie. È inaccettabile che si dica che non ci sono i tempi per aprire un confronto su queste proposte, pena problemi con Bruxelles e ritardi nel far partire i cantieri.

Gli obiettivi del piano italiano sono numerosi e raggruppati in ben 6 missioni. NGEU è invece centrato su pochi obiettivi, con una priorità molto chiara: un Green Deal basato sulla transizione digitale e green, con il 37% delle risorse destinato alle misure per il clima.  Il Piano francese, a sua volta, è centrato su tre missioni: la transizione ecologica, la competitività con la digitalizzazione e la coesione basata su un programma per i giovani. L’allargamento degli obiettivi priva il Piano italiano di effettive priorità e rischia di renderne più complessa e più difficile l’attuazione.

Per la transizione ecologica, il Piano stanzia 69 Mld, dei quali però solo 36 sono per nuovi progetti. Circa 31 Mld sono, infatti, destinati a sostituire finanziamenti già stanziati per progetti già in essere e per arrivare al totale sono conteggiati anche altri finanziamenti europei già stanziati. Sarebbero disponibili quindi solo 6 Mld l’anno, in media, fino al 2026. Gli obiettivi sono numerosi: rendere la filiera agroalimentare sostenibile, implementare pienamente il paradigma dell’economia circolare, ridurre le emissioni di gas serra in linea con gli obiettivi EU 2030, incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili e sviluppare la rete di trasmissione, promuovere e sviluppare la filiera dell’idrogeno, sostenere la transizione verso mezzi di trasporto non inquinanti e le filiere produttive, migliorare le performance energetiche e antisismiche degli edifici, assicurare la gestione sostenibile della risorsa idrica, contrastare il dissesto idrogeologico e un programma di riforestazione e miglioramento della qualità delle acque interne e marine.

La carenza maggiore si riscontra nella ripartizione delle risorse per finanziare nuovi interventi. Gli investimenti per le nuove misure climatiche non solo non sono ingenti, come dichiarato, ma non sono neppure il 37%. Si sente la mancanza di un aggiornamento del PNIEC, il Piano nazionale integrato energia e clima, e quindi della individuazione delle misure necessarie per arrivare al 2030, ma ci sono solo 1,3 Mld l’anno in più per tutte le rinnovabili, per la filiera e le reti e poco altro per tutto il resto delle misure.  Meglio le misure per l’efficientamento energetico degli edifici sia pubblici sia privati. Largamente inadeguati gli stanziamenti per l’economia circolare.  Per la mobilità urbana sostenibile ci sono solo 760 Ml l’anno che dovrebbero servire per un numero elevato di misure (le ciclovie, la filiera dei veicoli elettrici e ibridi, il rinnovo della flotta autobus, di quella dei treni regionali e dei trasporti navali regionali e per il trasporto rapido di massa) con quasi nulla sul tema strategico della sharing mobility.

Chi si aspettava proposte innovative si trova di fronte a un documento desolante in particolare rispetto al sistema dei trasporti dove si rinuncia ad aggredire gli storici ritardi italiani. I cittadini del Mezzogiorno non vedranno cambiare quanto si attendevano una situazione di linee ancora a binario unico, non elettrificate, con pochissimi treni in circolazione. Si punta ancora sui grandi cantieri infrastrutturali con un elenco di ferrovie ad alta velocità, oltretutto in larga parte già finanziate, come la Brescia-Padova, la Milano-Genova, la Napoli-Bari.

Come sempre per le città il ruolo è marginale, con i titoli giusti – decarbonizzazione, rinnovo del parco circolante, riduzione del gap infrastrutturale – ma con risorse del tutto inadeguate. Il vero deficit è, inutile dirlo, sui mancati investimenti per le città ed il trasporto locale

Che fare quindi per rendere effettivamente prioritarie le nuove misure per il Green Deal, che non è solo richiesto dall’Europa, ma è importante per cogliere e valorizzare i potenziali molto elevati di sviluppo della green economy italiana? Ci sarebbero almeno tre possibilità: distribuire fra tutte le 6 missioni in modo più equo i 66 miliardi di finanziamento dei progetti in essere, lasciando così più risorse disponibili per nuovi progetti; ridurre la gamma degli interventi per concentrare maggiori risorse sulle priorità del Green Deal; usare una parte del prestito  del MES per coprire almeno una parte dei 18 miliardi previsti per la salute e liberare così parte delle risorse per altre destinazioni.

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SVILUPPO SOSTENIBILE

  15 novembre 2020. Un nuovo capitalismo del bene comune

 

Apparsa agli onori della cronaca più larga per aver rifiutato la propria firma al cosiddetto Piano Colao per il rilancio dell'economia italiana, Mariana Mazzucato elabora una visione nuova, non rivoluzionaria, di un capitalismo mosso dall'interesse pubblico. Il fallimento totale del capitalismo globalizzato e finanziarizzato, prima nella crisi subprime del 2008  e oggi nella gravissima crisi globale del Covid -19, impone cambiamenti immediati e sostanziali degli assetti dell'economia mondiale e l'indirizzamento degli investimenti verso lo sviluppo sostenibile e la green economy, con al centro il recupero della salute, della qualità della crescita e la riparazione degli immensi danni apportati dal capitalismo alla società e al benessere. Con il Covid le imprese, che hanno accumulato denaro a non finire, bussano alla porta dei governi implorando miserabilmente risorse per la sopravvivenza e si preparano a nuovi cicli di accumulazione, tagli e licenziamenti. Tutto ciò è improponibile e solo un rinnovato ruolo degli Stati, in nome della salute e del benessere dei cittadini potrà riportare sulla scena una dimensione di un futuro possibile.

Il nostro invito è alla lettura della Mazzucato, in particolare del pamphlet "Non sprechiamo questa crisi" pubblicato da Laterza e diffuso da Repubblica, che, ricordiamo è ora un giornale di un gruppo imprenditoriale torinese, non noto per la sua inclinazione all'innovazione. L'autrice insegna economia a Londra dove ha fondato lo IIPP, Institute for Innovation and Public Purpose.

Oggi ci si presenta l'occasione di approfittare di questa crisi per capire come fare capitalismo in modo diverso. Occorre ripensare il ruolo dello Stato: i governi dovrebbero assumere un ruolo attivo per una crescita sostenibile ed inclusiva, per orientare la ricerca e lo sviluppo ad obiettivi di interesse pubblico  e per patrocinare partnership pubblico - private guidate dall'interesse pubblico. Quando le aziende si fanno avanti con richieste di salvataggio o assistenza si devono dettare condizioni affinché gli investimenti le portino verso la green economy, la decarbonizzazione in una chiave di inclusione sociale.

Il capitalismo che conosciamo è preda al contempo di una crisi sanitaria, economica e climatica. Ora che lo Stato è tornato a recitare un ruolo da protagonista, sarà esso stesso a fornire le soluzioni pensate in modo da servire l'interesse pubblico. Le aziende che ricevono risorse pubbliche dovranno essere obbligate a mantenere i posti di lavoro e garantire la formazione dei dipendenti ora nella crisi, poi nella transizione e il miglioramento delle condizioni occupazionali. gli interventi pubblici dovranno comportare degli obblighi, come quello di vincolare le imprese ad abbattere le emissioni serra, rinunciare alla delocalizzazione e minimizzare l'outsourcing.

Gli imprenditori sono inclini a socializzare i rischi ma non i guadagni. Nella crisi chiedono aiuti, ma quando l'economia prospera i vantaggi restano rigorosamente privati. Nella loro visione solo le imprese creano valore e lo Stato si deve limitare a facilitare questo processo. In realtà è il concetto stesso di valore che va ridefinito perché abbiamo confuso il valore con il prezzo di mercato e questo ha alimentato la diseguaglianza e distorto il ruolo del settore pubblico il quale invece, attraverso la produzione di beni pubblici (istruzione, sanità ...) e la sorveglianza dei beni comuni (cultura, paesaggio, ambiente ...), produce eccome valori che non hanno prezzo,  ben lontani dal mercato.

La ripresa post - Covid dovrà  essere green e smart. I mercati da soli non riusciranno a individuare percorsi di crescita sostenibili ed equi. Innovazione e regolamentazione dovranno muoversi in una direzione stabile e coerente. Il fatto di subordinare la concessione degli aiuti pubblici al rispetto di determinate condizioni contribuisce a canalizzare le risorse economiche in modo strategico, garantendo che vengano reinvestite in maniera produttiva piuttosto che essere catturate dalla speculazione. Se ben applicate le condizionalità possono allineare i comportamenti delle aziende ai bisogni della società, garantendo uno sviluppo sostenibile. Inoltre, per evitare conseguenze permanenti, l'approccio della Just transition, elaborato nell'ambito del cambiamento climatico, deve essere implementato in tutti i settori brown dell'economia per dare vita a posti di lavoro green e durevoli. Occorre ripristinare il paradigma keynesiano della piena occupazione, sotto tutti gli aspetti un bene comune,  sotto forma di un sistema di garanzie tale da far sì che il capitale umano non vada sprecato né si deteriori.

La sfida a lungo termine più importante che dobbiamo affrontare è il cambiamento climatico. Lo si può fare solo con un Green Deal di pari forza della trasformazione socioeconomica keynesiana del dopoguerra Di essa i principali attori, da Parigi in poi, sono gli Stati, non le imprese. Per questo abbiamo bisogno di piani e programmi per implementare una transizione green. Si rende necessaria una nuova era di investimenti pubblici per riorganizzare il nostro panorama tecnologico, produttivo e sociale.

Le cose da fare

  1. Indirizzare la produzione e la distribuzione di attrezzature richieste con urgenza;

  2. Governare il rischio e premiare la ricerca sul Covid -19;

  3. Salvataggi per le missioni pubbliche, occupazione, migliori condizioni di lavoro, condizioni smart e green, stato sociale e sistema sanitario.

Le cose da non fare

  1. Chiusure aziendali;

  2. Pratiche finanziarizzate

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SVILUPPO SOSTENIBILE 19 settembre 2020. La nuova strategia comunitaria per il 2030

 

La Commissione Europea ha pubblicato un documento di grande importanza che sposta in avanti gli obiettivi climatici ed energetici al 2030. Al termine del processo di co-decisione i nuovi obiettivi diverranno obbligatori per i Paesi membri. Le conclusioni del documento: Rafforzare l'ambizione climatica dell'Europa per il 2030. Investire in un futuro climaticamente neutro a beneficio delle nostre persone, sono le seguenti.

Aumentare l'ambizione dell'UE fino a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 55% rispetto al 1990 entro il 2030 è fattibile e vantaggioso per la salute, la prosperità e il benessere dei nostri cittadini. Senza sottovalutare la sfida di mobilitare significativi investimenti aggiuntivi nel prossimo decennio e di promuovere una transizione giusta e, nel contesto della ripresa COVID-19, si offre così un'opportunità di investimenti duraturi che possono rilanciare l'economia dell'UE. Una maggiore ambizione per il 2030 contribuirà a un percorso di riduzione delle emissioni più graduale e ad una transizione economica e sociale più equilibrata verso la neutralità climatica nei prossimi 30 anni. Pertanto, sarà più credibile, più prudente e più equa rispetto alle generazioni future.

Agire in modo ambizioso fornirà all'UE e alle sue imprese e industrie il vantaggio di prime mover nell'arena economica internazionale, aumentando la sua competitività nei mercati globali in crescita per le tecnologie sostenibili e verdi. Altrettanto importante è che il miglioramento dell'ambizione porterà vantaggi, insieme alla lotta al cambiamento climatico, come la riduzione del costo di importazione di combustibili fossili, una maggiore sicurezza energetica, inquinamento atmosferico ridotto, salute migliore, biodiversità migliorata, minore dipendenza da materie prime importate e meno rischi derivanti dai rifiuti. Accoppiato con l'aumento delle energie rinnovabili e le politiche di efficienza energetica, taglierà i costi energetici per famiglie e aziende e, a condizione che gli impatti sociali siano affrontati, contribuirà ad alleviare la povertà energetica e  alla crescita e all'occupazione. I cittadini, le imprese e le parti sociali dell'UE richiedono maggiore certezza e prevedibilità sulla via verso la neutralità climatica. Pertanto, la Commissione sta modificando la sua proposta per la prima legge europea sul clima oggi, aggiungendo un obiettivo per il 2030 di almeno il 55% di riduzioni nette delle emissioni di gas serra rispetto al 1990. Questo sarà l'inizio per un percorso possibile affinché l'UE diventi climaticamente neutra entro il 2050.

La Commissione invita il Parlamento europeo e il Consiglio a raggiungere rapidamente un accordo e adottare il regolamento della legge europea sul clima. Nel corso dei prossimi nove mesi, la Commissione riesaminerà la sua legislazione energetica. La presente comunicazione individua già le opzioni chiave per modificarla. La Commissione è convinta che tutti gli strumenti politici rilevanti per la decarbonizzazione della nostra economia devono lavorare in modo coerente per raggiungere gli obiettivi. Un rinforzato schema ETS, un maggiore utilizzo dello scambio di quote di emissioni a livello dell'UE, una efficienza energetica più severa e molta più energia rinnovabile avranno tutti un ruolo importante nel raggiungimento degli obiettivi green europei. Lo stesso vale per le politiche energetiche, gli strumenti a sostegno della mobilità e dei trasporti sostenibili, l'economia circolare e le politiche ambientali, agricole, finanziarie, la ricerca e l'innovazione industriale.

Sarà predisposto un ampio dibattito pubblico e ad un processo di consultazione con il Parlamento, il Consiglio, il Comitato economico e sociale e il Comitato delle Regioni, i parlamenti nazionali e tutti i cittadini e le parti interessate attraverso il Patto europeo per il clima, ma anche la prossima Conferenza sul futuro dell'Europa: la Commissione preparerà le principali proposte legislative necessarie entro giugno 2021. Questo processo dovrebbe aprire la strada alla loro successiva rapida adozione e dare tempo sufficiente a tutti i protagonisti per raggiungere inel 2030 i nuovi obiettivi per il clima e l'energia.

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 CLIMA

02 Agosto 2020. Toni Federico: Clima ed energia: le chiavi per uscire dalla crisi pandemica

 

Il Recovery Plan. Un Recovery Plan da 750 Mld€, finanziato con modalità di tipo federalistico, porterà all’Italia tra sovvenzioni e prestiti 209 Mld€, un terzo dei quali obbligatoriamente da investire nella lotta ai cambiamenti climatici. Per accedere a questi fondi ci viene chiesto di presentare entro il prossimo ottobre un Piano nazionale di riforme e di investimenti pubblici che definisca quella che sarà la transizione energetica ed industriale dell’Italia nei prossimi tre decenni. La proposta della Commissione prevede che l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund sia finalizzato a investimenti in grado non solo di affrontare l’emergenza, ma di assicurare un futuro alle prossime generazioni. Può dare grande impulso all’occupazione, con attenzione ai processi di conversione industriale e di formazione dei lavoratori e dei giovani. Il Green Deal deve costituire l’elemento di condizionamento e di guida della ripresa, in nome del quale l’azione dei Governi europei e della finanza pubblica riprendono il ruolo di indirizzo dell’attività delle imprese abbandonato in nome del dettato neo-liberista, quello stesso che ha aggravato le diseguaglianze a livello mondiale, che ha scaricato sui lavoratori il peso delle sue utilità e che si dimostrato fallimentare proprio a fronte della pandemia. Il Green Deal non è una fuga in avanti ambientalista, ma un solido programma popolare condiviso dalla maggior parte dei Paesi membri.

Le prime misure da mettere in campo sono quelle per il raggiungimento di target più ambiziosi al 2030, -55% ed oltre di riduzione delle emissioni GHG, che richiedono notevoli investimenti nella transizione energetica, nell’efficienza e nel risparmio energetico, nello sviluppo delle rinnovabili, nella elettrificazione della mobilità di passeggeri e merci e nelle tecnologie per l’idrogeno green e per la cattura e il sequestro del carbonio. Il cambiamento verso un modello circolare di economia, promosso anche dalle nuove direttive europee nella necessaria funzione di accompagnamento della lotta ai cambiamenti climatici e all’inquinamento, richiede investimenti nei processi e nei prodotti industriali, per prolungarne la durata, migliorarne la riparabilità e le possibilità di riuso, per renderli più facilmente riciclabili e per aumentare l’impiego di materie prime seconde.

Accanto alle fonti di energia rinnovabile, l’altra grande dimensione della transizione energetica è l’efficienza, che non è solo risparmio, ma soprattutto innovazione tecnologica e gestione del territorio. L’efficienza dovrà essere interpretata a livello locale, nelle città, investendo in progetti di nuova rigenerazione urbana che comprenda non solo i tradizionali interventi di recupero di edifici e di aree dismesse, ma misure di mitigazione e adattamento climatico e un potenziamento delle infrastrutture verdi.

Non ultima per importanza va ridefinita la strategia agroalimentare europea secondo il modello Farm to Fork, per garantire la sostenibilità della produzione e la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, per promuovere un consumo alimentare sostenibile e ridurre le perdite e gli sprechi ma anche per assecondare il processo generale di transizione e l’uso del territorio nella chiave climatica.

L’impegno di risorse necessarie per il Green Deal è stato calcolato, nel documento di lavoro che accompagna la Comunicazione della Commissione europea del 27 maggio, in 470 Mld€, così suddivisi: 30 per le rinnovabili, 190 per l’efficienza energetica, 120 per la mobilità sostenibile, 77 per altre misure per il clima e l’ambiente e 53 per l’economia circolare e la gestione delle risorse. È fuori strada pertanto chi pensa all’apertura di una sorta di bancomat dove ciascun Paese possa prelevare soldi, solo con limiti quantitativi, per spenderli come vuole, senza tener conto degli indirizzi e delle priorità indicate a livello europeo.

Il 30% destinato al Green Deal. L’azione per il clima - si dice nel testo delle conclusioni del Consiglio del 21 luglio - sarà integrato nelle politiche e nei programmi finanziati nell’ambito del QFP e di Next Generation EU per il 30% dell’importo totale della spesa, pari per l’Italia a 62,7 Mld€. La condizione è che gli obiettivi devono conformarsi entro il 2050 alla neutralità climatica e ai nuovi milestone climatici dell’Unione per il 2030, che verranno aggiornati entro fine 2020. Un monitoraggio della spesa per il clima e della sua efficienza, incluse la rendicontazione e misure pertinenti in caso di progressi insufficienti, dovrebbe garantire che il prossimo QFP nel suo complesso contribuisca all’attuazione dell’accordo di Parigi. La Commissione riferirà annualmente in merito alle spese per il clima.

Per rispettare queste condizionalità è opportuna l’applicazione al Recovery Plan della Tassonomia europea per gli investimenti sostenibili e green, stabilendo più chiaramente che si può finanziare una serie di progetti che hanno effetti positivi per una serie di obiettivi climatici e ambientali e che comunque non li devono in ogni caso danneggiare. La misura è formulata in modo generico e potrebbe essere facilmente aggirabile dai Piani nazionali.

L’altro pilastro del Green Deal, è l’economia circolare che invece è molto indebolita nelle indicazioni europee del Recovery Plan. Senza economia circolare non vi può essere né economia climaticamente neutra, né Green Deal: da qualche parte questa indicazione per i Piani nazionali dovrebbe essere ben più chiara. Nel conclusioni del Consiglio si trovano diversi riferimenti all’agricoltura e alla PAC, ma non al Green Deal e alla transizione alla neutralità ben declinati dalla recente strategia europea Farm to Fork tanto che anche l’indicazione del 40% dei fondi per l’agricoltura a misure climatiche risulta indebolita.

Si consulti il bel Rapporto di Luigi di Marco sulle iniziative europee pre e post pandemia, Green Deal e New Generation EU.

Il 2019 e la pandemia. Secondo le indicazioni di Italy4climate la pandemia ci riserva una prospettiva di sostanziale incertezza. Non possiamo anzitutto nascondere la situazione come si presentava a fine 2019: si chiude il decennio più caldo mai registrato in Italia, con 13,4 °C di temperatura superficiale media; tra il 2008 al 2019 cresce di 10 volte il numero di eventi estremi in Italia, fino a 1600; le emissioni! di gas serra non diminuiscono sensibilmente da sei anni, stazioniamo sopra i 420 MtCO2eq; l'efficienza energetica dell'economia da diversi anni non migliora più e permane intorno a 93 tep/M€; in sei anni in Italia le rinnovabili elettriche crescono meno che nel resto d'Europa (+3%) anche se erogate a prezzi inferiori, mediamente meno di 5 €cent/kWh. Cala a 20 TWh la produzione elettrica da carbone, così consentendo la discesa dell’impronta carbonica dell’energia elettrica a 289 gCO2/kWh, mentre ne viene confermato il phase-out entro il 2025; le emissioni dei trasporti, pur con meno auto diesel vendute, salgono in media a 119 gCO2/km. Gli effetti sensibili della pandemia ci stanno dicendo che solo nei mesi di marzo e aprile 2020 abbiamo ridotto le emissioni di oltre 20 MtCO2 rispetto all’anno precedente. Nella fase di piena operatività delle misure di restrizione, la riduzione delle emissioni è stata intorno al 35% che, al di là delle apparenze, è in realtà molto vicina a quello che dovrebbe essere il taglio da raggiungere in appena un decennio per centrare gli obiettivi di Parigi e non far precipitare la crisi climatica. Questo ci mostra in maniera molto chiara la dimensione dello sforzo che dovremmo fare nei prossimi anni e anche la distanza dall’obiettivo di contenimento del cambiamento climatico.

Per altro verso, dopo la flessione record registrata ad Aprile in pieno lockdown, il bollettino di Terna per il mese di maggio evidenzia una decisa ripresa dei consumi elettrici (+10%) rispetto al mese precedente, per un totale di 22,7 TWh di elettricità consumata, di cui il 94,4%  è stata soddisfatta con produzione nazionale. Il maggio appena trascorso rispetto allo stesso mese del 2019 ha fatto segnare un -10%. In questo contesto spicca però un importante record positivo: il 51% della domanda nazionale di elettricità è stato coperto da fonti rinnovabili, il valore mensile più alto di sempre. Nello stesso periodo del 2019, la domanda di energia elettrica coperta da FER è stata del 41%. A maggio la produzione di elettricità da fonti rinnovabili è cresciuta dell’12% rispetto allo stesso mese del 2019 e la produzione fotovoltaica, pari a 2,9 TWh, ha superato del 25% il maggio 2019. Quella eolica, pari a 1,8 TWh vale un +6,3%.

Le nostre proposte per la ripresa. Poiché è previsione facile e condivisa che l’atteso rimbalzo del PIL post-Covid si trascinerebbe dietro tutte le variabili energetiche, è evidente la necessità di giocare d’anticipo e quindi la priorità da riservare al rilancio delle fonti rinnovabili e dell’elettrificazione nell’impiego dei primi investimenti che vanno fatti con i fondi europei. Non certo nuove autostrade e nuova cementificazione, ma molte più rinnovabili elettriche, un forte impulso all’autoproduzione elettrica, all’elettrificazione dei trasporti, e finalmente la realizzazione della smart grid elettrica dotata di intelligenza e capacità di stoccaggio. Quest’ultima, e non certo la rete 5G, è la vera innovazione telematica per portare energia rinnovabile a tutti. Certamente portare Internet a tutti è parte integrante del rilancio, ma conta di più l’estensione territoriale e l’alfabetizzazione informatica generalizzata che non l’alta velocità telefonica e il relativo abuso delle piattaforme social con cui le compagnie telefoniche fanno soldi solo nei centri urbanizzati più densi e più ricchi.

Non basta tuttavia promuovere il solo consumo delle rinnovabili, occorre spostare il sistema industriale dall’attuale attitudine soporifera e misoneista verso le produzioni green che possono garantire un gran numero di nuovi posti di lavoro e il recupero di una competitività sui mercati sempre più compromessa. Tra queste va favorita l’introduzione dell’idrogeno green come vettore energetico rinnovabile, prodotto mediante l’energia solare e l’elettrolisi dell’acqua.

Parliamo anche di elettrificazione rinnovabile dei trasporti pubblici e privati puntando sulla mobilità dolce, rilanciata a livello mondiale dalla pandemia, sull’idrogeno verde, sulle celle a combustibile per il trasporto pesante e sulle facility pubbliche e domestiche per la ricarica delle batterie, accompagnate da un programma di costruzione di stazioni di ricarica di potenza in tutte le stazioni di servizio e on demand. Sicuramente l’Europa provvederà alla standardizzazione dell’hardware per la ricarica. Occorre una ulteriore promozione della ferrovia, passeggeri e merci, con la introduzione dell’obbligo dei veicoli elettrici per la logistica merci dell’ultimo km. Agli scettici ricordiamo che sono Amazon e company ad aver ormai sviluppato tutta l’intelligenza artificiale che serve per consegnare le merci. Inutile stare a guardare. Per i trasporti extraurbani niente asfalto o cementificazione aggiuntivi ma manutenzione del capitale infrastrutturale costruito. Lungo questo percorso non si comprende l’incentivazione dei mezzi benzina e diesel Euro 6 introdotta dal Governo nel Decreto rilancio né l'attenuazione delle garanzie ambientali dei appalti adombrate nelle proposte di semplificazione.

Investimenti vanno ad un ulteriore sviluppo dell’efficienza energetica, nella quale l'Italia è meno in ritardo. Si tratta di riduzione e controllo dei consumi, ma anche di innovazione tecnologica. Va riqualificato il patrimonio edilizio con investimenti e incentivi per l’edilizia a consumi ed emissioni zero, apportatori di buona e nuova occupazione. Il riscaldamento e il raffreddamento devono al più presto abbandonare il gas naturale in favore delle pompe di calore, dispositivi elettrici reversibili dal caldo al freddo, riqualificando la progettazione degli edifici. Tra le lezioni della pandemia emerge con forza, nel panorama dell’efficienza, la pratica dello smart working, che sta dando prove straordinarie in fatto di economie di sistema, risparmio energetico, mitigazione della mobilità delle persone, connettività sociale e innovazione tecnologica.

Riscrivere il PNIEC italiano. C’è n’è più che abbastanza per riscrivere l’obsoleto PNIEC italiano, con un rapido adeguamento delle misure e degli impegni alla roadmap 2050 della decarbonizzazione europea del Green Deal e un percorso pianificato per ridurre le emissioni GHG almeno del 55% al 2030. Ricordiamo che i PNIEC sono documenti ufficiali dell’Unione che possono fortemente condizionare l’erogazione dei fondi. La flebile Legge sul clima italiana va riscritta, rimessa al passo con la legge europea e dotata di strumenti attuativi e finanziari all’altezza degli obiettivi. La Commissione Europea ha preparato in marzo per il Parlamento e il Consiglio una Climate Law che propone il target della decarbonizzazione al 2050 come obbligatorio (legally binding) per tutti i paesi membri e nuovi obiettivi per il 2030. Ribadiamo che per stare sul percorso di Parigi è richiesta la conferma del phase out totale del carbone al 2025 con la riduzione del ricorso al gas naturale per energia, riscaldamento e trasporti in favore dell’uso del biometano e dell’idrogeno green. Con le dovute cautele l’Italia deve associarsi ai progetti per la CCS e BECCS a scala europea ed internazionale evitando le fughe in avanti come il Progetto Ravenna dell’ENI. Va promossa la ricerca scientifica sul DAC e sui gravi rischi della geoingegnerizzazione del clima.

Preso atto dell’aumentato sforzo delle Amministrazioni pubbliche per fare fronte al dissesto idrogeologico e al grave degrado delle infrastrutture e del patrimonio architettonico, va prontamente strutturato e dotato di risorse il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, a partire dalla Strategia esistente ma in una chiave rafforzata dagli orientamenti del Green Deal. Sull’onda dei recenti disastri di Genova, Venezia, Palermo e di altri ancora si dimostra una sinergia sistemica tra queste tematiche e quelle della protezione della salute, che hanno in comune i fattori organizzativi, le finalità ed anche le origini nelle quali si riconoscono gli effetti della violazione degli assetti naturali e degli habitat degli organismi viventi.

Fiscalità ed incentivi dannosi. Una sempre rinviata riforma fiscale ecologica è chiamata ad adeguare le accise sui carburanti, a parità di gettito, in funzione del contenuto in carbonio dei combustibili. Una meditata riflessione deve portare l’Italia all’adozione progressiva di una Carbon Tax generalizzata e alla adozione della Border Tax del Green Deal europeo, equilibrando un prezzo unitario per le emissioni di carbonio tra i settori ETS a controllo europeo e gli altri settori, in particolare civile e trasporti. Dopo interminabili esitazioni va normato con target e scadenze il percorso per la eliminazione degli incentivi ambientalmente dannosi a partire dai combustibili per aviazione civile, autotrasporto, agricoltura e pesca. Si tratta qui non solo e non tanto di offrire compensazioni economiche ai settori colpiti, quanto di offrire alternative sistemiche e dispositivi alternativi, tecnologicamente basati sulle fonti rinnovabili, in particolare sull’idrogeno green.

Si attende un nuovo protagonismo dell’Italia nei rapporti multilaterali, dove clima energia e salute sono la nota dominante. Ci riferiamo al G7 al G20 di Roma del 2021 ma soprattutto alla COP 26, vera occasione mancata dall’Italia che avrebbe dovuto esserne Presidente e protagonista e che ora si trova nel ruolo di comprimaria con il Regno Unito, appena uscito dall’Unione. Nonostante le enormi difficoltà finanziarie del nostro Paese non si vede come ci si possa esimere dall’invocare che l’Italia, partner della Coalizione dei Paesi ambiziosi, onori i propri impegni per il finanziamento del Green Climate Fund, quest’anno alla scadenza dell’obiettivo dei 100 GUS$/anno, ma lontanissimo da questo target.

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SVILUPPO SOSTENIBILE

11 Dicembre 2019. In dieci punti il Green Deal di Ursula von der Leyen. Finalmente l'Europa al rango programmatico che le appartiene

  1. Europa "climate neutral". Questo è l'obiettivo generale del Green Deal europeo. L'UE punterà a raggiungere emissioni di gas serra nette pari a zero entro il 2050, un obiettivo che sarà sancito da una "legge sul clima" che sarà presentata nel marzo 2020. Ciò significa aggiornare l'ambizione climatica dell'UE per il 2030, con una riduzione del 50-55% delle emissioni di gas serra per sostituire l'attuale obiettivo del 40%. Il dato del 55% sarà soggetto a un'analisi costi-benefici. La Commissione non vuole lasciare nulla di intentato e prevede di rivedere tutte le leggi e i regolamenti dell'UE al fine di allinearli ai nuovi obiettivi climatici. Ciò inizierà con la direttiva sulle energie rinnovabili e la direttiva sull'efficienza energetica, ma anche con la direttiva sullo scambio di quote di emissioni e il regolamento dell'effort sharing, nonché con la direttiva LULUCF che si occupa del cambio di destinazione del suolo. Le proposte saranno presentate come parte di un pacchetto nel marzo 2021. Nel 2020 verrà presentato un piano di integrazione settoriale intelligente che riunirà i settori dell'elettricità, del gas e del riscaldamento in un unico sistema. Verrà presentata una nuova iniziativa per sfruttare l'enorme potenziale dell'eolico offshore.

  2. Economia circolare. Un nuovo piano d'azione per l'economia circolare sarà presentato nel marzo 2020, nell'ambito di una più ampia strategia industriale dell'UE. Includerà una politica di prodotto sostenibile con prescrizioni su come realizziamo le cose al fine di utilizzare meno materiali e garantire che i prodotti possano essere riutilizzati e riciclati. Anche le industrie ad alta intensità di carbonio come acciaio, cemento e tessuti, focalizzeranno l'attenzione nell'ambito del nuovo piano di economia circolare. Un obiettivo chiave è prepararsi alla produzione di acciaio pulita usando l'idrogeno entro il 2030, perché per avere un'industria pulita nel 2050, nel 2030 parte l'ultimo ciclo di investimenti. La nuova legislazione sarà inoltre presentata nel 2020 per rendere le batterie riutilizzabili e riciclabili.

  3. Ristrutturazione edilizia. Sarà uno dei programmi di punta del Green Deal. L'obiettivo chiave è quello di almeno raddoppiare o addirittura triplicare il tasso di ristrutturazione degli edifici, che attualmente si attesta intorno all'1%.

  4. Inquinamento zero. Sia nell'aria, nel suolo o nell'acqua, l'obiettivo è quello di raggiungere un ambiente privo di inquinamento entro il 2050. Nuove iniziative includono una strategia chimica per un ambiente privo di sostanze tossiche.

  5. Ecosistemi e biodiversità. Una nuova strategia sulla biodiversità sarà presentata a marzo 2020, in vista del vertice ONU sulla biodiversità che si terrà in Cina a ottobre. L'Europa vuole dare l'esempio con nuove misure per affrontare i principali fattori di perdita della biodiversità. Ciò include misure per affrontare l'inquinamento del suolo e delle acque, nonché una nuova strategia forestale sia nelle città che nelle campagne. Saranno presentate nuove regole di etichettatura per promuovere prodotti agricoli privi di deforestazione.

  6. Strategia agricola. Da presentare nella primavera del 2020, la nuova strategia mirerà a un sistema di agricoltura verde e più sana. Ciò include piani per ridurre significativamente l'uso di pesticidi chimici, fertilizzanti e antibiotici. I nuovi piani strategici nazionali che dovranno essere presentati il ​​prossimo anno dagli Stati membri nell'ambito della politica agricola comune saranno esaminati per vedere se sono in linea con gli obiettivi del Green Deal.

  7. Trasporti. Un anno dopo che l'UE ha concordato nuovi standard di emissione di CO2 per le automobili, il settore automobilistico è di nuovo nella linea di tiro della Commissione. L'obiettivo attuale è raggiungere 95 gCO2/km entro il 2021 per poi andare verso lo zero negli anni 2030. I veicoli elettrici saranno ulteriormente incoraggiati con l'obiettivo di distribuire 1 milione di punti di ricarica pubblici in tutta Europa entro il 2025. Ogni famiglia in Europa deve essere in grado di guidare la propria auto elettrica senza doversi preoccupare della stazione di ricarica più vicina. I carburanti alternativi sostenibili, biocarburanti e idrogeno, saranno promossi nel settore dell'aviazione, della navigazione e del trasporto pesante su strada dove attualmente non è possibile elettrificare.

  8. Moneta. Per non lasciare indietro nessuno, la commissione propone un meccanismo di transizione per aiutare le regioni maggiormente dipendenti dai combustibili fossili. "Abbiamo l'ambizione di mobilitare € 100 miliardi mirati precisamente alle regioni e ai settori più vulnerabili", ha dichiarato von der Leyen alla presentazione del Green Deal. Ogni euro speso dal fondo potrebbe essere integrato da 2 o 3 euro provenienti dalla regione. Le linee guida dell'UE in materia di aiuti di Stato saranno riviste in tale contesto in modo che i governi nazionali possano sostenere direttamente gli investimenti nell'energia pulita, con la benedizione della direzione della Commissione per la concorrenza. Alle regioni verrà inoltre offerta assistenza tecnica al fine di aiutarle ad acquisire i fondi nel rispetto delle rigide norme di spesa dell'UE. Tuttavia, qualsiasi aiuto di Stato dovrebbe essere verificato dalla Commissione nell'ambito di nuovi piani di transizione regionali presentati in precedenza a Bruxelles. Lo strumento da € 100 miliardi proposto ha tre gambe:

            - Un giusto fondo di transizione che mobiliterà risorse dal bilancio della politica regionale dell'UE;

            - Il programma "InvestEU", con denaro proveniente dalla Banca europea per gli investimenti;

            - Finanziamenti BEI provenienti dal capitale della banca dell'UE.

  1. R&S e innovazione. Con un budget proposto  100 miliardi di € nei prossimi sette anni (2021-2027), anche il programma di ricerca e innovazione di Horizon Europe contribuirà al Green Deal. Il 35% del finanziamento della ricerca dell'UE sarà destinato a tecnologie rispettose del clima in virtù di un accordo concluso all'inizio di quest'anno. E una serie di attività di ricerca dell'UE si concentrerà principalmente su obiettivi ambientali.

  2. Relazioni esterne. Infine, saranno mobilitati gli sforzi diplomatici dell'UE a sostegno del Green Deal. Una misura che potrebbe attirare l'attenzione e le critiche è una proposta per un'imposta daziaria sul carbonio, una border tax. Man mano che l'Europa aumenta le sue ambizioni climatiche, prevediamo che anche il resto del mondo svolgerà il suo ruolo, ma in caso contrario l'Europa non sarà ingenua e proteggerà la sua industria dalla concorrenza sleale.

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SVILUPPO SOSTENIBILEOttobre 2019: La tutela dell'ambiente nelle costituzioni degli stati membri dell'Unione Europea

 

è del massimo interesse il Dossier (Nota breve 18/140) pubblicato dall'ufficio studi del Senato sulla introduzione nelle Costituzioni dei paesi memb4ri di riferimenti all'ambiente e allo sviluppo sostenibile. Il testo delle Costituzioni degli Stati europei sorte nell'immediato secondo dopoguerra non palesa, in generale, una particolare attenzione verso la tutela dell'ambiente. Non così il testo di Costituzioni più recenti (come la spagnola del 1978), invece dotate di specifiche disposizioni. È però accaduto che in sede di revisione costituzionale disposizioni sull'ambiente siano state inserite in corso di tempo entro una Carta costituzionale o legge fondamentale più risalente (come nei Paesi Bassi nel 1983, in Germania nel 1994 e, con particolare ampiezza, in Francia nel 2005). Il Dossier non riporta i dati per l'Italia nè riferisce delle proposte di inserimento dello sviluppo sostenibile nella Costituzione italiana, proposte avanzate da diversi partiti politici e di recente raccolte anche dal Governo.

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SVILUPPO SOSTENIBILE

Estate 2019: L'intervento di insediamento del nuovo Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il Programma del nuovo governo italiano

Il primo in particolare, ma anche il secondo, portano riconoscibili i segni di importanti passi in avanti nella direzione dello Sviluppo sostenibile. Riteniamo perciò opportuno e conveniente disporre nel sito i riferimenti ad entrambe le istanze, augurandoci che non si debba trattare unicamente di citazioni meramente bibliografiche.

Il testo del discorso con cui Ursula von der Leyen si è presentata il 16 luglio 2019 al Parlamento Europeo per ottenere l'incarico di nuova Presidente della Commissione europea è disponibile per intero. Di seguito riportiamo i punti che abbiamo ritenuto determinarti e maggiormente promettenti nel percorso di promozione dello sviluppo sostenibile:

"... Yet it is now clear to each and every one of us that we must once again take a stand and fight for our Europe. The whole world is being challenged by disruptive developments that have not passed Europe by Demographic change, globalisation of the world economy, rapid digitalisation of our working environment and, of course, climate change. None of these meta-developments is new: science predicted them a long way back. What is new is that we, as citizens of Europe — irrespective of the country in which we live — are feeling and experiencing their effects first hand...

Our most pressing challenge is keeping our planet healthy. This is the greatest responsibility and opportunity of our times. I want Europe to become the first climate-neutral continent in the world by 2050. To make this happen, we must take bold steps together. Our current goal of reducing our emissions by 40% by 2030 is not enough. We must go further. We must strive for more. A two-step approach is needed to reduce COemissions by 2030 by 50, if not 55%. The EU will lead international negotiations to increase the level of ambition of other major economies by 2021. Because to achieve real impact, we do not only have to be ambitious at home – we have to do that, yes – but the world has to move together. To make this happen, I will put forward a Green Deal for Europe in my first 100 days in office. I will put forward the first ever European Climate Law which will set the 2050 target into law.

This increase of ambition will need investment on a major scale. Public money will not be enough. I will propose a Sustainable Europe Investment Plan and turn parts of the European Investment Bank into a Climate Bank. This will unlock €1 trillion of investment over the next decade. It means change. All of us and every sector will have to contribute, from aviation to maritime transport to the way each and everyone of us travels and lives. Emissions must have a price that changes our behaviour. To complement this work, and to ensure our companies can compete on a level-playing field, I will introduce a Carbon Border Tax to avoid carbon leakage. But what is good for our planet must also be good for our people and our regions. Of course I know about the importance of cohesion funds. But we need more. We need a just transition for all. Not all of our regions have the same starting point – but we all share the same destination. This is why I will propose a Just Transition Fund to support those most affected...

This is the European way: we are ambitious. We leave nobody behind. And we offer perspectives. If we want to succeed with this ambitious plan we need a strong economy. Because what we want to spend we need to earn first... The world is calling for more Europe. The world needs more Europe. I believe Europe should have a stronger and more united voice in the world – and it needs to act fast. That is why we must have the courage to take foreign policy decisions by qualified majority. And to stand united behind them ...".

In data 9 settembre 2019 il Premier Italiano Giuseppe Conte si è rivolto alla Camera dei deputati per ottenere la fiducia al suo nuovo Governo. Il testo integrale del discorso è disponibile e di esso vanno citati i seguenti passaggi:

"... La politica deve adoperarsi per elaborare un grande piano che attribuisca all’Italia una posizione di leadership nel campo dei nuovi modelli economici eco-sostenibili. Partiamo avvantaggiati. In Europa già ci distinguiamo per l’utilizzo delle energie rinnovabili. Dobbiamo puntare all’utilizzo delle tecniche scientifiche più innovative e sofisticate per consolidare questo primato. Abbiamo progetti all’avanguardia nello sfruttamento dell’energia dai moti ondosi, possiamo sfruttare nuove tecniche di produzione in base alla c.d. biomimesi. L’obiettivo da perseguire deve essere una efficace “transizione ecologica”, in modo da pervenire a un’articolata politica industriale, che, senza scadere nel dirigismo economico, possa gradualmente orientare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare, che favorisca la “cultura del riciclo” e dismetta la “cultura del rifiuto”. Lo sviluppo equo e sostenibile deve spingerci a integrare in modo sistematico, nell’azione di governo, un nuovo modello di crescita, non più “economicistico”. Dobbiamo incentivare le prassi delle imprese socialmente responsabili, che permetteranno di rendere il nostro tessuto produttivo sempre più competitivo anche nel mercato globale. Confido che la cabina di regia “Benessere Italia”, che ho da poco istituita, possa tornare ben utile a questi scopi, anche in futuro...

Più in generale, la politica deve reagire alle sfide del mondo globale rilanciando un ventaglio di proposte e soluzioni che, più volte nei miei interventi, ho riassunto con la formula “nuovo umanesimo”. Non sto qui a riassumerle, ma è stata questa la stella polare che mi ha guidato in questi mesi di governo. Anche sull’Europa, occorre un rinnovato slancio di responsabilità. Gli ideali che avevano nutrito le fasi iniziali del processo di integrazione stanno via via perdendo la loro forza propulsiva e il comune edificio europeo sta attraversando una fase particolarmente critica ...".

Del pari importante è l'esame dei 29 punti del Programma del Nuovo governo. Da essi citiamo:

...

3) Il sistema industriale del nostro Paese sconta problemi di bassa crescita e produttività, ma ha in sé grandi potenzialità per affrontare la sfida di una nuova stagione di sviluppo che faccia dell'Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile il suo punto di forza. Siamo una realtà nella quale la produzione di massa incontra la capacità di personalizzazione del prodotto. La presenza di unità economiche di piccola e media dimensione (settori artigianali, design, manifattura) ci consentono flessibilità nei processi e adesione alle richieste del mercato. Oggi la sfida è quella dell'innovazione connessa a una convincente transizione in chiave ambientale del nostro sistema industriale, allo sviluppo verde per creare lavoro di qualità, alla piena attuazione dell'economia circolare, alla sfida della "quarta rivoluzione industriale": digitalizzazione, robotizzazione, intelligenza artificiale. Il piano Impresa 4.0 è la strada tracciata da implementare e rafforzare. Il Governo intende inoltre potenziare gli interventi in favore delle piccole e medie imprese...

7) Il Governo intende realizzare un Green New Deal, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti a inserire la protezione dell'ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale. Tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell'ambiente, il progressivo e sempre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici. Occorre adottare misure che incentivino prassi socialmente responsabili da parte delle imprese; perseguire la piena attuazione della eco-innovazione; introdurre un apposito fondo che valga a orientare, anche su base pluriennale, le iniziative imprenditoriali in questa direzione. È necessario promuovere lo sviluppo tecnologico e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più efficace la "transizione ecologica" e indirizzare l'intero sistema produttivo verso un'economia circolare, che favorisca la cultura del riciclo e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto.

8) Occorre prevedere un piano di edilizia residenziale pubblica volto alla ristrutturazione del patrimonio esistente e al riutilizzo delle strutture pubbliche dismesse, in favore di famiglie a basso reddito e dei giovani; adeguare le risorse del Fondo nazionale di sostegno alle locazioni; rendere più trasparente la contrattazione in materia di locazioni.

9) Massima priorità dovranno assumere gli interventi volti a potenziare le politiche per la messa in sicurezza del territorio e per il contrasto al dissesto idrogeologico, per la riconversione delle imprese, per l'efficientamento energetico, per la rigenerazione delle città e delle aree interne, per la mobilità sostenibile e per le bonifiche. È necessario accelerare la ricostruzione delle aree terremotate, anche attraverso l'adozione di una normativa organica che consenta di rendere più spedite le procedure. Occorre intervenire sul consumo del suolo, sul contrasto alle agro-mafie, sulle sofisticazioni alimentari e sui rifiuti zero. Bisogna introdurre una normativa che non consenta, per il futuro, il rilascio di nuove concessioni di trivellazione per estrazione di idrocarburi. In proposito, il Governo si impegna a promuovere accordi internazionali che vincolino anche i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo a evitare quanto più possibile concessioni per trivellazione. Il Governo si impegna altresì a promuovere politiche volte a favorire la realizzazione di impianti di riciclaggio e, conseguentemente, a ridurre il fabbisogno degli impianti di incenerimento, rendendo non più necessarie nuove autorizzazioni per la loro costruzione...

12) Una nuova strategia di crescita fondata sulla sostenibilità richiede investimenti mirati all'ammodernamento delle attuali infrastrutture e alla realizzazione di nuove infrastrutture, al fine di realizzare un sistema moderno, connesso, integrato, più sicuro, che tenga conto degli impatti sociali e ambientali delle opere...

22) Occorre tutelare i beni comuni, a partire dalla scuola pubblica: è necessario intervenire contro le classi troppo affollate e valorizzare, anche economicamente, il ruolo dei docenti, potenziare il piano nazionale per l'edilizia scolastica e garantire la gratuità del percorso scolastico per gli studenti provenienti da famiglie con redditi medio-bassi, contrastare la dispersione scolastica e il bullismo. L'acqua è un bene comune: bisogna approvare subito una legge sull'acqua pubblica, completando l'iter legislativo in corso. Il Governo è impegnato a difendere la sanità pubblica e universale, valorizzando il merito. Occorre inoltre, d'intesa con le Regioni, assicurare un piano di assunzioni straordinarie di medici e infermieri; integrare i servizi sanitari e socio-sanitari territoriali; potenziare i percorsi formativi medici. Sarà rafforzata l'azione di contrasto al gioco d'azzardo patologico. Anche le nostre infrastrutture sono beni pubblici ed è per questo che occorre garantire maggiori investimenti, assicurare manutenzioni ordinarie e straordinarie più assidue, tutelare gli utenti e rafforzare il sistema della vigilanza in ordine alla sicurezza infrastrutturale. Sarà inoltre avviata la revisione delle concessioni autostradali, confermando il piano tariffario unico. È necessario, infine, rafforzare la normativa per tutelare gli animali, contrastando ogni forma di violenza e di maltrattamento nei loro confronti.

23) Per favorire l'accesso alla piena partecipazione democratica e all'informazione e la trasformazione tecnologica, la cittadinanza digitale va riconosciuta a ogni cittadino italiano sin dalla nascita, riconoscendo - tra i diritti della persona - anche il diritto di accesso alla rete...

29) L'agricoltura e l'agroalimentare rappresentano un comparto decisivo rispetto alle sfide che il nostro Paese deve affrontare. È necessario sviluppare la filiera agricola e biologica, le buone pratiche agronomiche; conservare e accrescere la qualità del territorio, contenendo il consumo del suolo agricolo; adottare gli strumenti necessari per preservare le colture tradizionali e biologiche, tutelando peculiarità e specificità produttive, così come l'agricoltura contadina nelle cosiddette "aree marginali"; sostenere le aziende agricole giovanili; investire nella ricerca in agricoltura, individuando come prioritari la sostenibilità delle coltivazioni e il contrasto ai mutamenti climatici, l'uso efficiente e sostenibile della risorsa idrica, la più ampia diffusione dell'agricoltura di precisione. Occorre, inoltre, concorrere al rafforzamento delle regole dell'Unione europea per l'etichettatura e la tracciabilità degli alimenti e porre la massima attenzione, in sede di negoziazione dei trattati commerciali, alla salvaguardia delle produzioni tipiche. Per le imprese agricole si aprirà a breve un negoziato strategico per la nuova PAC: l'Italia dovrà perseguire, anche in quella sede, l'obiettivo di valorizzare le nostre eccellenze agricole e la filiera agroalimentare".

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 CLIMA  8 giugno 2019. Stiglitz per il Guardian: The climate crisis is our third world war

 

Advocates of the Green New Deal say there is great urgency in dealing with the climate crisis and highlight the scale and scope of what is required to combat it. They are right. They use the term “New Deal” to evoke the massive response by Franklin Delano Roosevelt and the United States government to the Great Depression. An even better analogy would be the country’s mobilization to fight World War II.

Critics ask, “Can we afford it?” and complain that Green New Deal proponents confound the fight to preserve the planet, to which all right-minded individuals should agree, with a more controversial agenda for societal transformation. On both accounts the critics are wrong. Yes, we can afford it, with the right fiscal policies and collective will. But more importantly, we must afford it. The climate emergency is our third world war. Our lives and civilization as we know it are at stake, just as they were in the second world war.

When the US was attacked during the second world war no one asked, “Can we afford to fight the war?” It was an existential matter. We could not afford not to fight it. The same goes for the climate crisis. Here, we are already experiencing the direct costs of ignoring the issue – in recent years the country has lost almost 2% of GDP in weather-related disasters, which include floods, hurricanes, and forest fires. The cost to our health from climate-related diseases is just being tabulated, but it, too, will run into the tens of billions of dollars – not to mention the as-yet-uncounted number of lives lost. We will pay for climate breakdown one way or another, so it makes sense to spend money now to reduce emissions rather than wait until later to pay a lot more for the consequences – not just from weather but also from rising sea levels. It’s a cliche, but it’s true: an ounce of prevention is worth a pound of cure.

The war on the climate emergency, if correctly waged, would actually be good for the economy – just as the second world war set the stage for America’s golden economic era , with the fastest rate of growth in its history amidst shared prosperity. The Green New Deal would stimulate demand, ensuring that all available resources were used; and the transition to the green economy would likely usher in a new boom. Trump’s focus on the industries of the past, like coal, is strangling the much more sensible move to wind and solar power. More jobs by far will be created in renewable energy than will be lost in coal.

The war on the climate emergency, if correctly waged, would actually be good for the economy. The biggest challenge will be marshalling the resources for the Green New Deal. In spite of the low “headline” unemployment rate, the United States has large amounts of under-used and inefficiently allocated resources. The ratio of employed people to those of working age in the US is still low, lower than in our past, lower than in many other countries, and especially low for women and minorities. With well-designed family leave and support policies and more time-flexibility in our labor market, we could bring more women and more citizens over 65 into the labor force. Because of our long legacy of discrimination, many of our human resources are not used as efficiently as they could or should be. Together with better education and health policies and more investment in infrastructure and technology – true supply side policies – the productive capacity of the economy could increase, providing some of the resources the economy needs to fight and adapt to the climate breakdown. While most economists agree that there is still room for some economic expansion, even in the short run – additional output, some of which could be used to fight the battle against the climate crisis – there remains controversy over how much output could be increased without running into at least short-term bottlenecks. Almost surely, however, there will have to be a redeployment of resources to fight this war just as with the second world war, when bringing women into the labor force expanded productive capacity but it did not suffice.

Some changes will be easy, for instance, eliminating the tens of billions of dollars of fossil fuel subsidies and moving resources from producing dirty energy to producing clean energy. You could say, though, that America is lucky: we have such a poorly designed tax system that’s regressive and rife with loopholes that it would be easy to raise more money at the same time that we increase economic efficiency. Taxing dirty industries, ensuring that capital pays at least as high a tax rate as those who work for a living, and closing tax loopholes would provide trillions of dollars to the government over the next 10 years, money that could be spent on fighting the climate emergency. Moreover, the creation of a national Green Bank would provide funding to the private sector for climate breakdown – to homeowners who want to make the high-return investments in insulation that enables them to wage their own battle against the climate crisis, or businesses that want to retrofit their plants and headquarters for the green economy.

The mobilization efforts of the second world war transformed our society. We went from an agricultural economy and a largely rural society to a manufacturing economy and a largely urban society. The temporary liberation of women as they entered the labor force so the country could meet its war needs had long-term effects. This is the advocates’ ambition, a not unrealistic one, for the Green New Deal. There is absolutely no reason the innovative and green economy of the 21st century has to follow the economic and social models of the 20th-century manufacturing economy based on fossil fuels, just as there was no reason that that economy had to follow the economic and social models of the agrarian and rural economies of earlier centuries.

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INTELLIGENZA ARTIFICIALE

 Febbraio 2019. I misteri che non sono misteri: la blockchain

"Le decisioni della finanza internazionale vengono sempre più spesso prese mediante l'intelligenza artificiale. Ma essa non è per ora in grado di interiorizzarei principi dello sviluppo sostenibile" Francesco Starace, AD ENEL, 27 febbraio

Molto spesso gli artifizi dell’informatica creano un alone di mistero intorno a sé e con esso coorti di adoratori più o meno disinteressati. Fu il caso della new economy, dell’intelligenza artificiale ed ora della blockchain. Crediamo opportuno dissolvere queste come altre cortine di incomprensione verso le nuove tecnologie. Per questo l’appunto che segue può essere d’aiuto. Ovviamente maneggiare queste tecnologie è un’altra storia, ma tra maneggiare ed essere maneggiati c’è una bella differenza.

La blockchain è una delle più celebrate tecnologie del momento. Ma cos'è? La prima grande applicazione della tecnologia blockchain è il bitcoin, una delle monete digitali in criptovaluta, creata nel 2009. Il bitcoin viene attribuito a Satoshi Nakamoto che non si sa chi sia né se è una persona o un gruppo. La sua visione si trova nel libro bianco di fine 2008, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System. Utilizzeremo il bitcoin per raccontare la tecnologia blockchain.

La blockchain è un database crittografato e non modificabile né dagli utenti né da eventuali intromissioni che nel bitcoin è sostanzialmente un libro mastro pubblico che ritiene una traccia indelebile ogni transazione che ha avuto luogo. Non può essere alterato o modificato in modo retrospettivo. Pubblico lo si definisce perché non è emesso da un'autorità centrale né da un soggetto privato o da un cartello. Nel bitcoin è stato fissato un limite di 21MɃ, e, a metà 2018 sono in circolazione circa 17 MɃ. Il Ƀ è stato spesso utilizzato per acquistare prodotti illeciti, droghe, armi, etc. La blockchain di Ƀ è gestita da una rete di persone note come miners, nodi della rete web che risolvono in competizione i complessi problemi di crittografia per accreditare una transazione Il vincitore riceve un premio in Ƀ. Ogni transazione Ƀ proviene da un portafoglio che ha una chiave privata di accesso, cioè una firma digitale, e deve essere accompagnata da una prova matematica che la transazione proviene dal proprietario del portafoglio. Le singole transazioni sono raggruppate in un blocco, costruito con rigide regole crittografiche. Il blocco viene inviato alla rete bitcoin, che convalida le transazioni attraverso complessi algoritmi matematici. Il blocco validato viene aggiunto ai blocchi precedenti creando una catena di blocchi da cui il nome blockchain.

Lo schema Ƀ originale di Nakamoto è il seguente. Non provate nemmeno ad interpretarlo, vi scoraggerebbe.

La blockchain è a prova di manomissione. Ogni blocco che viene aggiunto alla catena porta un riferimento rigido e crittografico al blocco precedente che è parte del problema matematico che deve essere risolto per portare il nuovo blocco nella catena. Gli algoritmi elaborano un numero casuale, il nonce, che, combinato con altri dati come la dimensione della transazione, crea un'impronta digitale crittografata chiamata hash. Ogni hash è unico e deve soddisfare determinate condizioni crittografiche per completare il blocco e aggiungerlo alla catena. Se lo si volesse manomettere occorrerebbe riestrarre gli algoritmi crittografici di ogni blocco precedente. Nel bitcoin ce ne sono mezzo milione e quindi la decrittazione è di fatto impossibile.

Ora è chiaro che si tratta di un database bloccato di eventi qualsiasi. Il meccanismo di blocco richiede risorse enormi di lavoro, conoscenze, capacità, soldi ed energia, ma alla fine pare aver convinto molti della sua efficacia.

La blockchain di Ƀ registra tutte le transazioni in bitcoin, non consente pagamenti ripetuti e richiede a più parti di autenticare i movimenti in Ƀ. Poiché non è centralizzata, anche se una parte di essa è compromessa, non collassa l'intera rete, come già avviene per Internet. I database ​​di proprietà di entità aziendali e governative non sono viceversa accessibili al pubblico e sono di fatto aperti a frodi o attacchi che possono paralizzare la rete o saccheggiare i dati.

I problemi non mancano. Nel bitcoin i tempi e i costi delle transazioni sono aumentati a dismisura e la rete è congestionata. Divergenze di vedute tra gli utilizzatori hanno portato a biforcazioni della blockchain. Sono nate la Cash bitcoin e la Gold bitcoin. Niente di male ma il numero di nodi diminuisce e in teoria, se un nodo controlla più della metà del potere di estrazione di una criptovaluta, potrebbe potenzialmente falsificare il registro della blockchain, come è successo con la variante Gold. C’è materiale illecito seppellito nella blockchain Ƀ in cui si sono trovati contenuti come la pornografia infantile, crittografati allo stesso modo e quindi molto difficili da trovare. Per i costi di energia e lavoro Wall Street stima che il prezzo minimo remunerativo è di 8 $ per Ƀ, ma se Ƀ rimane al di sotto per un lungo periodo di tempo, molti miner potrebbero allontanarsi, causando un ulteriore aumento dei tempi di transazione.

Questo tipo di volatilità non è chiaramente adatto per le imprese. Pertanto, molte aziende hanno iniziato a sviluppare in proprio la tecnologia blockchain al fine di avere un registro delle attività condiviso, rendere le transazioni più efficienti, un numero ridotto di parti intermedie coinvolte e minori costi di elaborazione.

Un certo numero di sviluppatori ha creato piattaforme blockchain per le aziende interessate. Tra esse le piattaforme Ethereum, specializzata in contratti smart con una propria criptovaluta, Ripple, che produce xCurrent e gestisce la criptomoneta XRP per le transazioni valutarie internazionali, poi ancora Hyperledger, IBM, R3 etc.

Sono note due applicazioni bancarie importanti, segnalate da CNBC, la Santander e la BBVA.

La Santander ha lanciato un servizio noto come One Pay FX che funziona sulla piattaforma Ripple. Consente ai clienti di inviare denaro da una valuta all'altra in un certo numero di paesi, tra cui la Spagna, il Regno Unito, il Brasile e la Polonia. I clienti possono vedere quanti soldi arriveranno e il costo della transazione nella loro app.

La BBVA ha realizzato un progetto pilota nel quale ha emesso un prestito di 75 M€ utilizzando la blockchain in partnership con una società chiamata Indra costruendo un proprio sistema che usa moneta corrente sulla piattaforma Ethereum. BBVA stima un risparmio di tempo del 50% quando si emette un prestito sulla blockchain rispetto al processo tradizionale.

Come si diffonderà la blockchain? Qualsiasi soggetto che spera di rendere i processi più economici, veloci, tracciabili e sicuri può essere interessato. Il gruppo di borsa Nasdaq ha collaborato con la banca svedese SEB per provare una piattaforma di negoziazione di fondi comuni basata su blockchain. La tecnologia può anche essere utilizzata per tracciare i prodotti lungo l’intera catena del valore di una corporate. Le elezioni sono un altro spazio a cui potrebbe essere applicata la tecnologia blockchain. Nelle elezioni primarie della West Virginia a maggio 2018, alcuni elettori hanno potuto votare tramite una piattaforma mobile basata su blockchain.

Per informazione del lettore, la piattaforma italiana Rousseau dell’azienda milanese Casaleggio associati, dimostratasi manipolabile e vulnerabile, non usa la blockchain ma vorrebbe farlo e sta a tale scopo raccogliendo fondi importanti tra i militanti 5*.

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SVILUPPO SOSTENIBILE      9 maggio 2018: Pubblicato il nuovo libro di Edo Ronchi sullo Sviluppo sostenibile e la transizione alla Green economy

Il Meeting di primavera, per il decennale della Fondazione, è stato dedicato alla presentazione del nuovo libro del suo presidente, Edo Ronchi nel contesto di un panel di discussant di rilevo, scelti tra i più autorevoli esponenti dell'attuale complesso quadro politico italiano. Il titolo del libro rinvia al processo in atto che trasporta il sistema economico mondiale verso un modello di Green economy sostenibile, ormai indispensabile a fronte delle gravi crisi economiche, sociali e politiche che attraversano l'umanità. In realtà è a pieno titolo un saggio sullo sviluppo sostenibile di profilo alto abbastanza per costituire un riferimento per il pensiero politico periclitante e per arricchire il ragionamento ecologico che, nel nostro paese e nella nostra lingua, sta vivendo di stenti. Sono molti i significati dell'iniziativa che si colloca a dieci anni dal lancio del programma UNEP sulla Green economy ispirato dalla volontà di contrastare la grave crisi economica appena nata con un Green New Deal di ispirazione roosveltiana. Sono i primi dieci anni di vita della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile che promuove il Consiglio nazionale della Green economy e il progetto di transizione che esso rappresenta per l'imprenditoria italiana. La presenza delle maggiori forze politiche, è inutile dirlo, suona come un appello perché la transizione venga sostenuta nel quadro incerto che si prefigura per la politica italiana.

Il panel è stato gestito da Antonio Cianciullo, recente autore lui pure di un libro sulla "Ecologia del desiderio. Curare il pianeta senza rinunce" che, su un piano narrativo del tutto diverso, originale e stimolante, rinvia alle stesse tematiche della transizione con grande attenzione alla risposta sociale alla crisi ecologica ed economica. è intervenuto a commentare per primo il libro di Ronchi Jean Paul Fitoussi, decano della sostenibilità, protagonista con Amartya Sen e Joseph Stiglitz della elaborazione moderna del concetto dello Sviluppo sostenibile basato sul benessere e la qualità della vita ridefiniti in un nuovo quadro al contempo teorico ed operazionale. Sono poi intervenuti Andrea Orlando, ex ministro dell'Ambiente e della Giustizia, di area Partito Democratico; Giulio Tremonti, ex ministro dell'economia e delle finanze di area Forza Italia; Lorenzo Fioramonti di area 5 stelle (nella immagine),  in odore di incarico come ministro dello sviluppo del governo in costruzione e Rossella Muroni, ex presidente della Legambiente ed attuale deputata di area Liberi ed Uguali.

Dedichiamo alle tematiche della transizione secondo questo libro un editoriale della pagina della Green economy di questo sito (> vai alla presentazione analitica della "Transizione alla green economy").

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