Aggiornamento 27-ago-2025

 

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L'attività  del GdL 7&13 dell'ASviS

 

per l'Energia e il Clima

 

 

 

a cura del coordinatore, Toni Federico della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile

 

Disclaimer: I materiali qui raccolti sono frutto della attività del GdL i cui contenuti possono non coincidere con le posizioni ufficiali di ASviS

 

Anno 2025: Il decennale dell'Agenda 2030 a 5 anni dalla verifica in Assemblea Generale

 

 

Agosto 2025: Contributo del GdL 7&13 al Rapporto annuale ASviS 2025

 

Toni Federico Proposte: Il clima è cambiato, forti perturbazioni termiche ed idrogeologiche stanno colpendo il mondo intero, causando vittime e danni gravi che vanno oltre le capacità di protezione assicurativa perfino nei paesi più ricchi. In Europa le vittime nel 2025 ad inizio luglio sono 1500, triplicate rispetto al 2024 (Imperial College). Le prime due condizioni per lottare contro il cambiamento climatico sono: concludere nei tempi stabiliti la decarbonizzazione e fermare tutti i conflitti armati. Ma anche il clima politico è cambiato. Il 2025 vede un vero e proprio assalto al green (Silvestrini) e l’Europa mostra evidenti segni di cedimento. LEGGI IL CONTRIBUTO

Simona Fabiani Transizione giusta: Nel quadro dell’Agenda 2030 tre aspetti della transizione energetica vanno considerati con particolare attenzione: l’accesso all’energia, la produzione di energia da fonte rinnovabile e l’efficienza del sistema, il contributo alla riduzione delle emissioni climalteranti. La versione finale di giugno 2024 del PNIEC non appare all’altezza della sfida da nessuno dei punti di vista sopra ricordati. Il PNIEC, infatti, non ha raccolto le proposte avanzate dall’ASviS e, come segnalato anche dalla  Commissione Europea nelle raccomandazioni del 4 giugno 2025 sulle politiche economiche, sociali, occupazionali, strutturali e di bilancio dell'Italia, il nostro paese è in grave ritardo rispetto alla transizione energetica e la programmazione del PNIEC presenta gravi divari rispetto agli obiettivi europei di riduzione delle emissioni. Il PNIEC prevede di ridurre le emissioni totali di gas serra, rispetto al 1990, del 49% al 2030, invece del 55%, e del 60% al 2040, invece del 90%. La distanza è ancora più evidente se guardiamo ai risultati realizzati al 2023: l’Italia ha ridotto le emissioni del 26%, rispetto al 1990, mentre la media europea è stata del 37%. Per quanto riguarda le rinnovabili il PNIEC italiano punta a un contributo del 39,4% al consumo finale lordo di energia entro il 2030, a fronte di un target europeo del 42,5%, con l’aspirazione di raggiungere il 45%. LEGGI IL CONTRIBUTO

Mariagrazia Midulla Accelerare la transizione: L’Italia è un Paese ricco di leggi e piani non attuati. In campo climatico ed energetico, gli esempi più significativi sono il Piano nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) e il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), in teoria gli strumenti per mitigare (abbattere le emissioni climalteranti) e adattarsi alla crisi climatica. Mentre in passato si era cercato di usare l’adattamento quale arma per contrastare la mitigazione -tentativo quanto mai stupido, visto che di fronte a una escalation degli impatti della crisi climatica l’adattamento sarebbe impossibile- oggi il re è nudo: il PNACC è stato varato alla fine del 2023, dopo un percorso lunghissimo, ed è finito in un cassetto, intonso e inapplicato persino negli strumenti operativi basilari. Non che fosse un granché, visto che era privo di finanziamenti e anche di una seria visione di priorità, come aveva invece suggerito ASVIS: ma il nulla è molto peggio e gli effetti sono evidenti, mentre gli eventi estremi si moltiplicano e le conseguenze più pericolose cominciano a manifestarsi, come la fusione del permafrost che sta portando a fenomeni che potrebbero fortemente cambiare la morfologia delle montagne.  Ancora più serio il caso del PNIEC, rivisto per adeguarsi ai target di riduzione fissati dalla UE, ma fortemente inadeguato proprio rispetto al suo scopo. Il PNIEC prevede infatti di ridurre le emissioni totali di gas serra, rispetto al 1990, del 49% al 2030, invece del 55%, e del 60% al 2040, invece del 90%. La realtà è ancora peggiore se guardiamo ai dati al 2023: l’Italia ha ridotto le emissioni del 26%, rispetto al 1990, mentre la media europea è stata del 37%. Per quanto riguarda le rinnovabili il PNIEC italiano punta a un contributo del 39,4% al consumo finale lordo di energia entro il 2030, a fronte di un target europeo del 42,5%, con l’aspirazione di raggiungere il 45%. LEGGI IL CONTRIBUTO

Cosmo Colonna La continua modifica delle regole autorizzative per le rinnovabili, insieme a ulteriori complessità e ingiustificabili comportamenti di alcune Regioni, rallenta il processo di transizione energetica determinando un clima di incertezza normativa che ostacola gli investimenti.  All’incipit  le Raccomandazioni EU segnalano che: All'Italia gioverebbe una strategia industriale nazionale atta a orientare l'assegnazione delle risorse pubbliche, sostenere le tecnologie strategiche e promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno. Sebbene l'adozione del Libro verde e il piano strategico per la zona economica speciale abbiano rilanciato il dibattito pubblico sullo sviluppo industriale, l'adozione di molteplici piani industriali con diversa governance, la mancanza di coordinamento e la coesistenza di oltre 2 000 misure d'incentivazione non vanno nella direzione di una strategia nazionale di crescita chiara. Nel quadro attuale i settori strategici sono individuati senza tener conto delle nuove tendenze e tecnologie industriali e per alcuni distretti industriali chiave la strategia di sviluppo si scontra con il limite dovuto alla mancanza di dimensione territoriale. La debolezza delle politiche non direttamente orientate allo sviluppo delle filiere strategiche per la decarbonizzazione in linea con il Green Deal che il Governo contesta e del Clean Industrial Deal, ha come conseguenze la scarsa innovatività del sistema. Si dovrebbe dare qualche indicazione sulla nuova normativa cosiddetta, se non sbaglio) Energy release. Accelerare una giusta transizione ecologica è un’opportunità unica di sviluppo sostenibile, legata alle filiere strategiche per la decarbonizzazione, all’adattamento al cambiamento climatico e alla tutela dei beni comuni, per la piena e buona occupazione, per ridurre i divari territoriali, di genere e generazionali, che non deve essere sprecata. LEGGI IL CONTRIBUTO

Fernanda Panvini  (Principali aggiunte al testo corrente) La Commissione Europea al punto 5 delle raccomandazioni del 4 giugno 2025 sulle politiche economiche, sociali, occupazionali, strutturali e di bilancio dell'Italia, segnala la necessità di: accelerare l'elettrificazione e intensificare le iniziative per la diffusione delle energie rinnovabili, anche riducendo la frammentazione della normativa sulle autorizzazioni e investendo nella rete elettrica; affrontare il problema dei rischi legati al clima e attutirne l'impatto economico grazie a un maggiore coordinamento istituzionale, a soluzioni basate sulla natura e alla copertura assicurativa contro i rischi climatici e combattere le restanti inefficienze nella gestione delle risorse idriche e dei rifiuti colmando le lacune nell'infrastruttura. All’incipit (29) le Raccomandazioni di cui sopra segnalano che all'Italia gioverebbe una strategia industriale nazionale atta a orientare l'assegnazione delle risorse pubbliche, sostenere le tecnologie strategiche e promuovere lo sviluppo del Mezzogiorno. Sebbene l'adozione del Libro verde e il piano strategico per la zona economica speciale abbiano rilanciato il dibattito pubblico sullo sviluppo industriale, l'adozione di molteplici piani industriali con diversa governance, la mancanza di coordinamento e la coesistenza di oltre 2000 misure d'incentivazione non vanno nella direzione di una strategia nazionale di crescita chiara. Nel quadro attuale i settori strategici sono individuati senza tener conto delle nuove tendenze e tecnologie industriali e per alcuni distretti industriali chiave la strategia di sviluppo si scontra con il limite dovuto alla mancanza di dimensione territoriale.

Per quanto riguarda il nucleare, a maggio Enel, Ansaldo Energia e Leonardo hanno formalizzato la costituzione di Nuclitalia, società che si occuperà dello studio di tecnologie avanzate e dell’analisi delle opportunità di mercato nel settore del nuovo nucleare. Le quote del capitale di Nuclitalia, sono detenute per il 51% da Enel, per il 39% da Ansaldo Energia e per il 10% da Leonardo. Nuclitalia avrà il compito di valutare i design più innovativi e maturi del nuovo nucleare sostenibile, con un focus iniziale sugli Small Modular Reactor (SMR) raffreddati ad acqua. L’opzione nucleare presenta sicuramente molte incertezze, tempi lunghi di realizzazione e problemi di localizzazione ed accettazione sociale, visto anche l’esito di due precedenti referendum. Per alcuni componenti del Gruppo di lavoro andrebbe comunque tenuta in conto in un mix energetico di lungo periodo. LEGGI IL CONTRIBUTO

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SEGNALAZIONE E LINK:  luglio 2025. Lo stato della transizione energetica secondo le Nazioni Unite

Rapporto:  Seizing the moment of opportunity: Supercharging the new energy era of renewables, efficiency, and electrification

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10 luglio 2025: Energia e Intelligenza artificiale di Vanni Rinaldi

 

Nel suo recente Rapporto 2025 su Energy and AI  l’IEA sottolinea che:

- la crescita di domanda di energia elettrica per l’IA crescerà sul totale consumato dall’attuale 1,5% al circa 3% nel 2030, passando da 415TWh a 945Twh (pg 14)

- il rapporto conferma che l’uso prevalente per la produzione diquesta domanda aggiuntiva verrà dalle energie rinnovabili  anche se sarà necessario un mix con altre fonti, tra cui le fossili e il nucleare

- conferma la necessità di una programmazione per la costruzione dei nuovi data centres per evitare problemi di congestione delle reti di dispacciamento e ritardi (pg 15)

- conferma la rapidità della crescita dell’uso da parte dei consumer dell’IA anche perché questa verrà inserita  nella maggior parte delle piattaforme e delle app(pg25)

- le emissioni per l’uso di elettricità nei data centres crescerà dagli attuali 180MTXDAY a 300MTXDAY nello scenario « base » e a 500 MTXDAY nello scenario « Lift-Off case » (PG18)

- che i consumi di acqua stimati sono attualmente di 560 miliardi dilitri per anno e cresceranno entro il 2030 a circa 1200 miliardi dilitri (PG242)

- il Rapporto pur riconoscendo che l’IA promette notevoli incrementi nell’efficientamento dell’uso dell’energia ammette che i vantaggi previsti non superano i peggioramenti stimati nei consumi

- il Rapporto infine suggerisce che sono necessari « policy e regulatory changes » per rispondere alle sfide poste dall’IA (PG17)

Ovviamente le questioni di sostenibilità delle nuove tecnologie dell’ICT, prima fra tutte la IA, nella transizione digitale in corso sono molto complesse e richiedono gradi di approfondimento maggiori, ma fin da ora  si puo’notare come non si possa con facilità rispondere in maniera sostenibile all’attuale trend di consumi. E’ quindi necessario iniziare ad operare con rapidità sul versante delle « policy e regulatory changes ». Peraltro qualsiasi « nuova tecnologia » quando è stata introdotta nella società ha avuto bisogno di processi di regolazione e limitazione. Basti pensare all’aeroplano che dai primi « pioneri » che volavano da qualsiasi superficie , ha poi regolamentato con standard internazionali l’uso delle aviosuperfici (aeroporti), le vie di navigazione (aerovie), le comunicazioni terra-aereo, i gradi di competenza necessari per il pilotaggio (brevetti),i criteri di costruzione, fino a definire standard costruttivi e  processi con entità autonome sovranazionali per il controllo e la gestione della navigazione e della sicurezza aerea, arrivando a dotare tutti gli areomobili delle scatole nere per rilevare i dati relativi ai malfunzionamenti e agli incidenti. Questo ha portato a quella fiducia da parte dei consumatori che consente oggi a miliardi di persone di utilizzare questa tecnologia con facilità e in sicurezza.

Ma ovviamente percorsi analoghi hanno riguardato l’uso dell’automobile o della tecnologia dell’Atomo, e si potrebbe continuare a lungo. E’ ovvio che qualcosa di analogo, oltre a quanto finora fatto e in alcuni casi già messo in discussione come negli USA, vada implementato con urgenza (vista la rapidità con cui si stanno diffondendo p.es l’IA) per l’uso delle tecnologie dell’ICT e dell’IA in particolare.

Inoltre è sotto gli occhi di tutti, che almeno per il cambiamento climatico siamo in una « emergenza pandemica » per cui è necessario incominciare ad introdurre le questioni relative anche da un punto di vista della salvaguardia del « bene comune », come fu fatto ad esempio durante Covid,  e non solo secondo traiettorie e narrazioni funzionali all’incremento senza limiti di queste tecnologie, come proposto dalle Big Tech, scaricando sostanzialmente i costi sociali ed  ambientali su noi tutti e soprattutto sulle generazioni future.

Ritengo quindi sarebbe utile introdurre nel dibattito e nel rapporto Asvis qualche proposta operativa in termini di « policy e regulatories changes » di cui qui di seguito faccio alcuni esempi:

1) Etichetta elettronica per l’ia. Si tratterebbe di fare in modo che l’utente nel momento della sua richiesta (prompt) possa ricevere una puntuale ( o generale) informazione sul consumo di energia legato alla sua richiesta. Questo sistema che viene correntemente implementato per molti tipi di prodotti elettrici ha positivi effetti (scientificamente provati) sulla riduzione per esempio dei consumi superflui.

2) implementazione di standard (internazionali) per i datacentres. Attualmente i datacentres (almeno nel nostro paese) operano senza alcuna normativa specifica di settore lasciando quindi ampia discrezionalità agli operatori, nonostante i forti impatti sul territorio, le reti infrastrutturali e in gener sul territorio.

3) Policy e regole di limitazione dell’uso dell’ia. Sulla base di quanto normalmente avviene per il riscaldamento civile che puo’ essere limitato nell’uso (giorni e gradi) o dell’uso dell’automobile, per motivazioni di carattere generale e straordinarie come nel caso del consumo delle riserve nazionali di gas o dello sforamento dei picchi di CO2.

4) Obbligo dell’uso di energie rinnovabili e  sistemi di accumulo per i data centres. Si potrebbe immaginare di vincolare una percentuale (fino al 100%) del consumo di energia dei datecentres alle RER e ai relativi sistemi di accumulo collegando il raggiungimento di queste percentuali ad una mitigazione dei limiti di cui al punto 3. In altre parole più consumi energie in maniera sostenibile meno sei soggetto ai limiti nell’utilizzo. un po’ lo stesso principio che si usa per esentare dai limiti alla circolazione le auto elettriche.

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SEGNALAZIONE E LINK: 1 luglio 2025. Per comprendere la posizione di Papa Leone XIV sul cambiamento climatico

Conferenza stampa in Vaticano

 Un llamado por la justicia climática y la casa común: conversión ecológica, transformación y resistencia a las falsas soluciones

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12 giugno 2025: Valutazione del Piano sociale per il clima

(a cura di Toni Federico e Luigi di Marco)

Ci muoviamo in un quadro di grave insufficienza dell’attuazione del PNIEC, come messo in evidenza dalla Commissione nell’analisi presentata il 28 maggio 2025[1] e dal Fondo monetario internazionale nella recente missione del mese di maggio. Le scelte del governo italiano sulle aree non idonee all’installazione di impianti eolici e solari (come i terreni agricoli, perfino quelli in stato di abbandono) rischiano di ostacolare il raggiungimento degli obiettivi della Direttiva Red III, secondo cui le rinnovabili dovrebbero soddisfare il 42,5 per cento dei consumi energetici Ue entro il 2030. L’esempio dell’eolico offshore, escluso dal secondo round di incentivi del Decreto Fer2, è emblematico.  

Lo scopo del PSC dovrebbe essere di contribuire alla transizione verso la neutralità climatica affrontando gli impatti sociali dell'ETS2 sulle famiglie vulnerabili, sugli utenti vulnerabili dei trasporti e sulle microimprese vulnerabili.  Posto che pochi mesi fa la Meloni proponeva di svuotare il nostro Piano Sociale per il Clima e reinvestire i suoi 7 miliardi del PSC per aiutare le imprese più esposte ai dazi di Donald Trump, si ravvisa che - osservati gli atti disponibili per la consultazione, il PSC non si configura come un vero e proprio “Piano” quanto piuttosto come una serie di azioni, non trovando presenti:

·      una stima dei probabili effetti dell'aumento dei prezzi derivante dall'ETS2 sulle famiglie, in particolare su quelle in povertà energetica e in povertà nei trasporti, e sulle microimprese vulnerabili;

·      aspetti valutativi alla dimensione territoriale con l’individuazione delle aree che saranno particolarmente impattate dall’ETS 2 (quali le aree interne con scarsa accessibilità a servizi di trasporto pubblico);

·      Individuazione e stima del numero di famiglie vulnerabili, utenti vulnerabili dei trasporti e microimprese vulnerabili che potrebbero beneficiare del sostegno del Fondo, da determinare sommando di chi è in stato di povertà energetica e da chi è suscettibile di divenire tale per effetto dell’ETS2. Si evidenzia che dai dati presenti nelle schede delle azioni è evidente che il PSC è insufficiente già a coprire chi si trova attualmente in stato di povertà energetica e senza considerare le dinamiche e l’ampliamento della platea che sarà verosimilmente indotta dall’ETS2. Nel Piano sono richiesti esplicitamente il numero stimato e l’identificazione dei vulnerabili, sia famiglie che microimprese. Ma l’Italia è ancora in attesa che l’Osservatorio nazionale della povertà energetica, istituito a marzo 2022 presso il MASE, produca qualche risultato, tanto che anche il PNIEC, approvato a giugno 2024, continua ad utilizzare indicatori provvisori;

·      non sono evidenziate misure e strumenti di finanziamento complementari e azioni sinergiche nel contribuire agli obiettivi generali del PSC (ad esempio misure di riforma già previste nel PNIEC, nel PNRR+RePowerEU, nei fondi di coesione o incentivi previsti nelle leggi di bilancio o nel Decreto bollette), né i relativi meccanismi di coordinamento. Brutalmente il recente Decreto Bollette esplicitamente dichiara di voler finanziare il bonus sociale energia, per una platea di famiglie fino a 25.000 euro di ISEE, con il 50% delle risorse del Fondo, dimenticando non solo che la quota massima consentita per il sostegno diretto temporaneo al reddito non può occupare più del 37,5% del Fondo, e comunque solo a partire dal 2027 e solo per gli effetti diretti del meccanismo dell’ETS2 (applicato a edifici e trasporti. Si evidenzia nel merito che un più alto livello d’ambizione per la decarbonizzazione e più forti misure di riforma e investimento conseguenti limiterebbero gli impatti sociali negativi dell’ETS2 e i relativi fabbisogni economici compensativi, dunque le carenze nel livello d’ambizione del PNIEC si riversa nell’aumento del fenomeno della povertà energetica;

·      non troviamo quantificato in che misura il PSC e le singole azioni che lo compongono contribuiranno al conseguimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e alla neutralità climatica al più tardi entro il 2050, integrandosi nel PNIEC e nel Piano per la ristrutturazione a lungo termine (e dunque rispondendo anche alla nuova EPBD). Non è evidenziato come nel contempo le azioni del PSC contribuiranno ad alzare il livello d’ambizione del PNIEC come richiesto dalla Commissione europea) e come queste contribuiranno alla riduzione della dipendenza dall’importazione di fonti fossili nel nostro Paese;

·      non troviamo evidenziate una qualificazione delle misure che si presume avranno effetti duraturi, in ordine al quale valutarne la collocazione in priorità rispetto ad altre, considerando la maggior efficacia combinando insieme il massimo rendimento in termini di riduzione delle emissioni con la maggior efficacia in termini di riduzione della povertà energetica;

·      manca una valutazione d’impatto sociale delle misure, specificamente in che maniera contribuiranno alla creazione di posti di lavoro di qualità e concorrono al conseguimento degli obiettivi del Piano d’azione del Pilastro europeo dei diritti sociali, in che maniera viene affrontato il tema della parità di genere e le diseguaglianze che possono determinare condizioni di maggiore vulnerabilità (come espressamente richiede il Regolamento europeo del FSC), sia nelle fasi di pianificazione che d’implementazione e monitoraggio del PSC;

·      il rispetto del principio DNSH viene dichiarato, ma non ci sono elementi presenti nelle schede delle azioni che indicano come questo sarà sarebbe messo in pratica.


 

[1] Si conferma che l’Italia si mostra inadempiente, recependo solo parzialmente le indicazioni di Bruxelles e mancando l’occasione di colmare davvero le profonde lacune già emerse nella versione preliminare del piano. Nonostante i lievi miglioramenti rispetto alla precedente bozza di piano, le carenze più gravi si registrano nei settori coperti dall’Effort Sharing Regulation (ESR), vale a dire trasporti stradali, edifici, rifiuti, agricoltura e piccola industria, e dal Regolamento LULUCF, cioè l’assorbimento del suolo e delle aree boschive, dove le misure previste risultano inadeguate rispetto agli impegni assunti dall’Italia in sede europea. La Commissione invita l’Italia ad aumentare gli sforzi in tutti i settori ESR e a valutare nuove misure per garantire il rispetto dei target vincolanti. Anche sul fronte delle energie rinnovabili, l’Italia rischia di rallentare la transizione: sebbene siano stati descritti alcuni progressi:

 “Accelerare la transizione verso le energie rinnovabili, adattarsi ai cambiamenti climatici e investire in infrastrutture energetiche resilienti sono passaggi essenziali per ridurre l'impatto degli eventi meteorologici estremi e la dipendenza dalle importazioni di energia. Tra i rischi macrocritici dell'Italia ci sono quelli legati al clima e la sicurezza energetica per via della dipendenza dall'agricoltura, dal turismo e dall'approvvigionamento energetico estero. Il PNIEC fornisce una base strategica, ma sono necessarie azioni più ambiziose per raggiungere gli obiettivi climatici del 2030 e migliorare la sicurezza energetica".

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29 maggio 2025: La riforma dell’Agenda 2030 e l’aggiornamento degli SDG nello scenario della crisi delle Nazioni Unite

 

Lo studio di orientamento di Toni Federico, Fondazione per lo sviluppo sostenibile

Questo lavoro è una apertura di discussione basata su una letteratura internazionale che comincia ad assumere una dimensione importante a fronte di quella che si configura addirittura come una crisi della fiducia dell’umanità nel proprio destino. La sede italiana più qualificata per questo approfondimento è certamente ASviS, custode nazionale dell’Agenda 2030.

Il sistema delle Nazioni Unite, l’unico riferimento per una governance mondiale o, quantomeno, per contrastare le crisi più gravi, resta basato sull’Assemblea Generale e sul Consiglio di sicurezza. L’Assemblea vota con un sistema di maggioranze qualificate e per tutti i paesi uno vale uno, indipendentemente dal coinvolgimento, dalle dimensioni e dal reddito. Dopo il 2012, anno di Rio+20, anche lo Sviluppo sostenibile, tematica introdotta all’Earth Summit a Rio nel 1992, passa nelle mani dell’Assemblea generale alla quale va riconosciuto il merito dei grandi balzi in avanti come l’Agenda del Millennio con gli MDG e quella del 2015 con l’Agenda 2030 e gli SDG. Siamo oltre la metà strada per il 2030 ed è il momento di valutare l’efficacia, le prospettive e la eventuale riforma degli SDG.

Le nazioni del mondo non trovano più la strada per unirsi nei loro sforzi e salvare il pianeta dalle crisi ambientali. Negli ultimi mesi, i negoziati delle Nazioni Unite per affrontare il cambiamento climatico, l'inquinamento da plastica, la perdita globale delle specie e un numero crescente di attacchi di desertificazione, sono falliti del tutto o hanno prodotto risultati limitati inutili rispetto alla portata dei problemi. Sono passati tre anni da quando Greta Thunberg ha liquidato i colloqui globali come "bla-bla-bla", che è diventato un grido di battaglia per i giovani ambientalisti.

L'Associated Press ha intervistato più di 20 esperti che hanno registrato la crisi definitiva dell'ambientalismo multilaterale a causa del macchinoso processo di consenso, del potere dell'industria dei combustibili fossili, dei cambiamenti geopolitici e delle enormi dimensioni dei problemi che si stanno cercando di risolvere. Non mancano progressi, soprattutto sul cambiamento climatico, ma sono troppo pochi, troppo lenti e a passi incerti. Peraltro il DG dell’UNEP, e come lui gran parte degli analisti, vedono il multilateralismo come l'unico modo in cui le nazioni più piccole e povere possono ancora avere un posto al tavolo con i potenti paesi ricchi.

Siamo ben lontani dai giorni di speranza del 1987, quando il mondo adottò un trattato che, con il Protocollo di Montreal, sta arrestando la pericolosa perdita di ozono stratosferico mediante il phase out di alcune sostanze chimiche. A valle di questa esperienza il vertice della Terra di Rio del 1992 istituì un sistema delle Nazioni Unite per negoziare i 4

problemi ambientali, in particolare i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità e la desertificazione articolato attraverso le Conferenze periodiche delle Parti o COP.

La COP sulla biodiversità a Cali, in Colombia, a ottobre 2024 si è esaurita, concludendosi senza un grande accordo, se non quello di dare riconoscimento agli sforzi dei popoli indigeni. La COP sui cambiamenti climatici di novembre a Baku, in Azerbaigian, ha raggiunto sulla carta il suo obiettivo principale di aumentare i finanziamenti per le nazioni povere per far fronte al riscaldamento globale, ma la cifra limitata ha lasciato profondamente insoddisfatte le nazioni del Sud del mondo. Per 27 anni, gli accordi sui negoziati sul clima non hanno mai menzionato specificamente i combustibili fossili come causa del riscaldamento globale, né hanno chiesto la loro eliminazione. L’anno scorso a Dubai, si era finalmente arrivati al concetto della transition away dai combustibili fossili, non più ripreso a Baku a fine 2024.

Un incontro sull'inquinamento da plastica, a Busan in Corea del Sud, ad una settimana da Baku, ha fatto sì che molte nazioni dicessero di voler fare qualcosa, che alla fine non hanno fatto. E anche la conferenza sulla desertificazione a Riyadh, in Arabia Saudita, non è riuscita a raggiungere un accordo su come affrontare la siccità. Un fallimento generale, ha affermato Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania. Nove anni fa, quando più di 190 nazioni si riunirono per adottare lo storico accordo di Parigi, i paesi avevano una visione che implicava che un pianeta sano sarebbe stato un vantaggio per tutti, ma se ne è persa la traccia.

Inevitabile la citazione di Churchill da parte dell’ex presidente dell'Irlanda Mary Robinson: "Il sistema delle Nazioni Unite è il peggior sistema, fatta eccezione per tutti gli altri".

LEGGI L'INTERO STUDIO

 

Il Workshop

Negli ultimi decenni, il sistema delle Nazioni Unite si è affermato come l’unico punto di riferimento globale per affrontare le grandi sfide del nostro tempo, tra cui lo sviluppo sostenibile. Tuttavia, la struttura attuale, fondata sull’Assemblea Generale e sul Consiglio di Sicurezza, mostra segni evidenti di crisi: l’Assemblea, pur garantendo pari voce a tutti i paesi, fatica a rispondere efficacemente alle diverse dimensioni dei problemi, mentre il Consiglio di Sicurezza, pensato per preservare la pace mondiale, è stato messo in crisi dagli eventi recenti, come l’aggressione russa all’Ucraina, che hanno evidenziato i limiti di un sistema ancora legato alle dinamiche post-Seconda guerra mondiale. Nel contesto dello sviluppo sostenibile, con l’Agenda 2030 ormai a metà percorso, è quindi urgente riflettere sull’efficacia e la possibile riforma degli obiettivi globali per rilanciare la fiducia nell’azione collettiva.

Dopo alcuni stimoli iniziali condivisi dagli organizzatori (ASviS e il progetto SPES) o dal documento condiviso ex-ante1, i partecipanti – per un totale di XX persone – hanno discusso in forma libera, condividendo riflessioni e contribuendo alla creazione di un pensiero collettivo in risposta alle tre seguenti domande guida:

- In che modo il mutato contesto internazionale influenza i processi di transizione e i percorsi della sostenibilità, in particolare gli sforzi di perseguimento e monitoraggio degli SDG?

- Quali riforme potrebbero essere attuate per valorizzare gli SDG e rilanciare l’approccio multilaterale in tema di sviluppo sostenibile, oggi e oltre il 2030?

- Può un paese come l’Italia sottrarsi agli impegni generali della transizione e addirittura ostacolare la centralità acquisita dall’Unione Europea nella scala della trasformazione mondiale?

Aprire la discussione su questi temi non è semplice, specialmente in un quadro globale progressivamente ostile alle tematiche della sostenibilità. Il merito di questo workshop sta nell’ambizione coraggiosa di tentare la difficile definizione dei lineamenti di una possibile riforma dell’Agenda 2030.

LEGGI L'INTERO RAPPORTO SUL WORKSHOP

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CONTRIBUTI DEL GdL 7&13 AL FESTIVAL ASviS 2025

 

La giusta transizione per l’energia di Simona Fabiani, CGIL

Trascrizione mediante AI Tureboscribe in revisione

Il ricatto occupazionale avviene sempre, è l'argomento che viene utilizzato per rallentare la transizione sia da parte del Governo ma anche da ampia parte della parte imprenditoriale, proprio quella. Tutti siamo convinti che la transizione energetica vada fatta, tutti siamo convinti che va contrastata col cambiamento climatico, però per tutelare il lavoro bisogna farla con dei tempi più lunghi e da lì anche tutto l'attacco al Green Deal che metterebbe in crisi l'industria europea e italiana, la renderebbe non competitiva sul mercato internazionale, mentre invece sappiamo che è esattamente il contrario da tutti i punti di vista.

Quindi sì, ogni volta noi ci troviamo ad affrontare questa questione perché comunque è un messaggio che sta passando, quello che la transizione crea impatti occupazionali e sociali, aumentano costi, si perde occupazione, questo è un messaggio che viene ripetutamente veicolato e il problema è che non essendoci politiche di giusta transizione questo messaggio attecchisce, o meglio, l'occupazione nella transizione energetica è più quella che si crea che quella che si distrugge. Sono calcoli difficili, però ci sono numerosissimi studi a livello internazionale che dimostrano che nella transizione, per esempio stando solo al settore energetico, i posti di lavoro che si perdono nei settori delle fonti fossili vengono sostituiti da un numero più che doppio nelle fonti rinnovabili. Sono dati dell'Agenzia internazionale per l'energia, quindi non è certo una documentazione o uno studio di parte, il problema è che questi dati sono appunto a livello globale, bisogna vedere poi chi si muove, perché chi non si muove, chi non investe, chi non fa un'innovazione tecnologica, chi non crea questi nuovi posti di lavoro, li perderà a favore di posti di lavoro e verranno creati in altri paesi del globo, quindi il punto che fa la differenza è quello che se un paese ha politiche di giusta transizione oppure non le ha. Il nostro paese non ce l'ha, l'Italia non ha fatto niente da questo punto di vista e politiche di giusta transizione partono da politiche industriali, perché invece di favorire l'innovazione tecnologica, lo sviluppo delle idee strategiche nella transizione si fa opposizione a tutti quelli che sono i provvedimenti del Green Deal. L'ultimo contrasto è intervenuto da parte di chi dice che è un'idiozia fermare il motore endotermico al 2035 e così via, su tutte quelle che sono le disposizioni che dovrebbero rilanciare un'economia e un'industria, un sistema industriale europeo facendo leva proprio sulla competitività su questi nuovi settori. Ovviamente se non si fa niente e si rimane ancorati al vecchio modello fossile, altri paesi svilupperanno queste produzioni e quindi in Italia si avrebbe solo la perdita di occupazione. Questo avviene anche per il caso delle centrali a carbone, ma insomma un po' ovunque, c'è stato questa fase in cui si parlava, si ipotizzava di fare una transizione da carbone a gas e lì veniva utilizzato questo ricatto: veniva invocato il passaggio al gas per non perdere l'occupazione, mentre invece, qui ti vorrei fare l'esempio della centrale di Civitavecchia dove è stato lo stesso sindacato che ha contestato questa narrativa, perché non è così. Aver trasformato quella centrale da carbone a gas avrebbe comportato prima di tutto un impatto da un punto di vista ambientale dell'inquinamento, dell'inquinamento dell'aria, ma anche del cambiamento climatico. C'è una permanenza dell'impatto su un territorio già duramente provato, quindi già c'era una rivendicazione di un sistema alternativo proprio anche per queste questioni di salute e sicurezza dei lavoratori e della cittadinanza, ma poi anche da un punto di vista occupazionale, perché fare una transizione al gas avrebbe comportato una perdita netta di numerosissimi posti di lavoro, mentre il modello alternativo che ha proposto la Camera del Lavoro, in alleanza con tutto il territorio, con le associazioni, con i movimenti, ma anche con le università, con gli enti locali, era quello di uno sviluppo delle rinnovabili e prospettive di produzioni industriali sostenibili che avrebbero creato un'occupazione notevolmente più alta.

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Transizione energetica: rinnovabili e nucleare di Mariagrazia Midulla, WWF

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Nello stesso giorno in cui venivano fuori i dati sulle rinnovabili che ormai sono preponderanti, hanno battuto ampiamente a livello globale il nucleare, nel momento in cui si vengono a sapere i dati sulla Cina, che sono anche qui una valanga, il Ministro dell'ambiente e dell'energia Pichetto  dice con grande serenitàche il futuro dell'Italia è nel nucleare. Viviamo un mondo parallelo, anche un po' fantasy alcune volte in queste dichiarazioni. Però vorrei dire una cosa forse un po' complicata, lo sviluppo sostenibile è fatto per approssimazioni, cioè si sa qual è l'obiettivo e poi man mano che si va avanti uno vede. Per esempio noi nel 2012 avevamo fatto a livello globale il 100% rinnovabili con un grande ruolo delle biomasse, poi ci siamo resi conto che le biomasse non hanno questo ruolo, soprattutto sono pericolose per alcuni aspetti dal punto di vista ecologico, e l'abbiamo rivisto anche perché nel frattempo l'eolico e il fotovoltaico invece hanno stupito tutti con delle performance incredibili. Quello che noi dovremmo fare è avere una maggiore visione del mondo, ma stiamo in un momento in cui, altro che visione del mondo, è un momento di conflitto, addirittura l'istituzione internazionale che si era creata, che poi non l'istituzione, in realtà un club informale che si era creato, il G20, è praticamente morto come istituzione. Invece noi dovremmo stare lì a vedere, ma effettivamente a livello globale, di quanto acciaio c'è bisogno, di quanta energia abbiamo, quali sono le tecnologie su cui puntare, quali sono le infrastrutture su cui puntare e via via, paese per paese, ognuno si dovrebbe fare i suoi piani, dovrebbe coinvolgere gli stakeholders. Quindi, abbiamo bisogno come paese di cambiare strada, di affrancarci dalla dipendenza dall'uno o dall'altro interesse, perché nessuno vuole sostituire un interesse con un altro, però dobbiamo fare chiarezza su quali sono gli obiettivi, obiettivi ambientali e obiettivi economici. In questo momento storico gli obiettivi ambientali e gli obiettivi economici vanno molto di pari passo, quindi chi vuole andare da un'altra parte, non si sa sulla base di che cosa, pensate soltanto alle notizie sulla Cina. Qui l'assenza di governance è dovuta al fatto che l'obiettivo non è chiaro e comunque non può essere dichiarato perché nessuno può dichiarare oggi che vuole l'espansione del gas o vuole tenersi il gas fino al 2070, perché chiaramente non può dire voglio che siamo tutti vittime del cambiamento climatico. Però la frase ci sarà sempre bisogno del gas io la sento anche nel senso tradizionale. Però non possono dirla come la pensano, cioè che il gas continua ad avere un ruolo preponderante, e quindi l'obiettivo non è dichiarato e poi ci sono queste approssimazioni che sono delle approssimazioni dovute alla lobby vincente in questo momento, oppure rispetto all'aggiornamento di una strategia, perché molti ambientalisti, io sono tra questi, pensano che molto difficilmente loro pensano davvero di avere gli small modular reactors in Italia, sicuramente non in tempo utile per conseguire i risultati della decarbonizzazuione, su cui tutti i governi del Paese si sono impegnati in Europa e nel mondo. Però è uno dei tanti modi che si stanno usando per rallentare la transizione. Vediamo che le semplificazioni per le rinnovabili hanno di fatto alzato una valanga di decreti, che quasi sempre hanno semplificato la vita per i fossili. Le rinnovabili hanno avuto continuamente nuove pastoie, anche quando abbiamo cominciato a pensare alle  aree idonee, che più giustamente l'Europa ha chiamato aree di accelerazione,  aree in cui si potessero semplificare le procedure.

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23 marzo 2025: Accelerare la transizione energetica in Italia: scenari, sfide e politiche per le tecnologie pulite e le fonti rinnovabili

La comunità scientifica avverte che la finestra per rimanere sotto +1,5°C si sta chiudendo. Con le politiche attuali potremmo raggiungere +3,1°C entro il 2100 (ONU). Le emissioni di gas serra, soprattutto da combustibili fossili, e la CO atmosferica (già in media 420 ppm nel 2023) continuano a crescere, aumentando i rischi di impatti climatici ingestibili e disastrosi. Più si ritarda la decarbonizzazione, più elevati diventano i pericoli per le persone, per la natura e per la stessa economia globale, comportando la necessità di politiche più severe e rapidi progressi tecnologici. Se non si agisce subito con drastici tagli alle emissioni, rischiamo di non disporre dei mezzi per fronteggiare il cambiamento climatico. Tuttavia, è ancora possibile creare degli scenari che possano permettere la prosperità umana, pur con un clima diverso da quello degli ultimi secoli, perseguendo l’abbattimento delle emissioni climalteranti, investendo nelle tecnologie rinnovabili disponibili e definendo politiche sociali atte a guidare una transizione più equa e sostenibile.

In particolare, in una genuina prospettiva di decarbonizzazione della produzione di energia elettrica e per rispettare i target europei del Fit for 55 e conseguire il nuovo obiettivo europeo di riduzione delle emissioni del 90% al 2040, la strada da percorrere deve necessariamente concentrarsi sul forte sviluppo delle energie rinnovabili, sull’efficienza energetica e sull’elettrificazione dei consumi. Ciò può essere favorito dalla riduzione dei costi dell’eolico, del fotovoltaico e delle batterie, che rendono le soluzioni oggi disponibili sempre più capaci di attuare la transizione, specie se unite a misure di demand response e di uso efficiente dell’energia.

Tuttavia, il quadro italiano è senza dubbio preoccupante rispetto al target relativo alla quota di energia da fonti rinnovabili pari ad almeno il 42,5% dei consumi finali di energia entro il 2030. Secondo l’ultimo rapporto ASVIS, l’andamento registrato finora, anche se crescente nel lungo e nel breve periodo, non permetterà il raggiungimento dell’obiettivo, visto che nel 2022 si registrava un valore pari al 19,1% ben distante dall’obiettivo, con un incremento di appena 6,1 punti percentuali in 12 anni. Nonostante si preveda un forte miglioramento dell’indicatore nei prossimi anni, la stima di Prometeia al 2030 è pari al 35,9%, molto lontana dall’obiettivo. Molte delle previsioni al 2030 contenute nel PNIEC appaiono disallineate dai target europei e alcune peggiorano quelle contenute nella sua versione preliminare. Inoltre, le aspettative di incremento della potenza da fonti rinnovabili al 2030 (131 gigawatt) è inadeguata e insufficiente. Più in generale, il Piano non individua una governance efficace e non coglie l’urgenza dell’azione e dell’obbligo del rispetto degli impegni internazionali.

In questo contesto, è necessario che il sistema italiano ripensi e stimoli una politica energetica volta ad accelerare la transizione puntando su efficienza, risparmio energetico e un approvvigionamento al 100% da fonti rinnovabili dell’energia primaria (entro il 2035 dell’energia elettrica), in modo da assicurare l’autonomia energetica e da contribuire responsabilmente all’obiettivo di contenere l’incremento della temperatura entro gli 1.5° C, definendo un percorso di uscita da tutti i combustibili fossili in linea con gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni.

Inoltre, in questo quadro di complessità si aggiunge anche lo scenario internazionale, in particolare l’elezione di Donald Trump come presidente USA, che rischia di minare le istituzioni multilaterali e, addirittura, quelle informali (G7 e G20) e l’inasprirsi di numerose guerre e conflitti nel mondo, tutti fattori che potrebbero ulteriormente ostacolare il già complesso perseguimento dei target stabiliti a livello globale.

Appare perciò chiaro che, nell’attuale fase di instabilità geopolitica, sia necessario favorire occasioni per stimolare una riflessione attenta e condivisa insieme alla ricerca di nuove strategie di investimento in tecnologie rinnovabili in Italia e in Europa. Pertanto, il workshop ha voluto favorire un confronto collettivo su come il sistema italiano possa accelerare gli investimenti in tecnologie rinnovabili, riducendo drasticamente le emissioni climalteranti in un contesto internazionale in rapida evoluzione. Inoltre, ha fornito l’occasione per un confronto sui possibili fattori abilitanti della transizione energetica e anche sui meccanismi che oggi o in prospettiva la rallentano.

Dopo alcuni stimoli iniziali condivisi dagli organizzatori (ASviS e il progetto SPES) o da keynote speakers invitati, i partecipanti – per un totale di 15 persone – hanno discusso in forma libera, condividendo riflessioni e contribuendo alla creazione di un pensiero collettivo in risposta alle due seguenti domande guida:

  1. Se e in che modo il mutato contesto internazionale e il contesto europeo influenzano i processi di transizione energetica in Italia?

  2. Quali strategie, politiche e azioni per la transizione energetica deve implementare il sistema italiano per accelerare il taglio delle proprie emissioni climalteranti?

  3. Quali sono i costi dei ritardi o dell’inazione, non solo dal punto di vista ambientale?

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19 marzo 2025: La dimensione sociale della transizione energetica: scenari, sfide e politiche per una transizione giusta in Italia

Nel dibattito globale inerente alla transizione energetica, e più in generale all’uscita dalle fonti fossili e ad una riconversione ecologica e sostenibile dell’economia, è forte e diffusa la preoccupazione del rischio di un aumento delle disuguaglianze e di erosione della coesione sociale. Sebbene l’azione per il clima, oltre a non poter essere messa in discussione, rappresenti una soluzione a molteplici problemi (es. dipendenza energetica, costi energetici elevati, crisi occupazionale, salute, ecc.), la comunicazione e narrativa dominante attribuisce alla transizione energetica effetti negativi tesi ad accentuare le disparità ambientali, di reddito e di genere, perdita di posti di lavoro e aumento dei costi legati all’energia e alla mobilità.

Tuttavia, è diffusa la consapevolezza della necessità di accelerare l’azione climatica per rispettare l’obiettivo di contenere l’incremento della temperatura globale entro 1.5°C ma anche delle opportunità economiche, sociali e occupazionali che derivano da una giusta transizione affrontata con una governance partecipata, strategie, politiche ed investimenti attenti alle dimensioni di equità e giustizia sociale. Pertanto, riteniamo che tali riflessioni debbano essere poste al centro del dibattito europeo e italiano, grazie al contributo di numerose organizzazioni e iniziative chiamate a guardare a queste sfide come a uno snodo fondamentale verso un nuovo modello di sviluppo umano sostenibile, capace di coniugare sostenibilità e diritti, unendo la decarbonizzazione dell’economia con il ripensamento del lavoro verso standard più alti di qualità e dignità. In altre parole, un modello di sviluppo volto al benessere inclusivo e sostenibile di tutta la popolazione.

I processi di cambiamento devono coinvolgere diversi settori e tutti i livelli di governance (globale, sovranazionale/europeo, nazionale, regionale e locale), per evitare che le conseguenze della trasformazione dei sistemi di produzione e consumo colpiscano soprattutto le fasce più deboli in termini di perdita di opportunità occupazionali, aumento della povertà energetica e inasprimento delle molteplici forme di disuguaglianza.

Pertanto, assume un ruolo centrale il concetto di "Transizione Giusta", che mira a tenere in considerazione le interdipendenze tra rischi sociali e ambientali. Questo concetto include oggi almeno 4 dimensioni di giustizia: giustizia distributiva, ovvero come i diversi impatti, oneri e benefici vengono distribuiti a livello globale e tra i membri di una società; giustizia procedurale, ovvero come e da chi vengono prese le decisioni riguardanti la definizione del problema, gli approcci e le soluzioni; la giustizia come necessità di riconoscere come valide prospettive provenienti da diversi contesti e gruppi sociali, culturali, etnici e di genere; infine, la giustizia riparativa, riferita a come riparare i danni subiti dai gruppi sociali (più) colpiti.

Nel contesto sociopolitico odierno, va quindi crescendo la necessità di garantire uno stretto legame fra gli impegni internazionali (Accordo di Parigi sul cambiamento climatico e l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile), il Green Deal Europeo e la giustizia sociale, attraverso diversi elementi strategici cruciali (si vedano, a tal proposito, le Linee Guida ILO per la Transizione Giusta e la dichiarazione sulla Transizione Giusta della Conferenza Internazionale del Lavoro del 2023) che ne consentano l’integrazione per favorire il cambiamento strutturale sostenibile dell’intera società. Tuttavia, come emerge anche dall’ultimo rapporto ASviS 2024, il PNIEC non coglie l’urgenza dell’azione e dell’obbligo del rispetto degli impegni internazionali, non compie le scelte conseguenti in modo deciso e conseguente, così come non individua risorse e politiche per garantire una giusta transizione, ignorando le ricadute (ma anche le opportunità) occupazionali, sociali, economiche della transizione ecologica.

Inoltre, in questo quadro di complessità si aggiunge anche il mutevole scenario internazionale (con l’insediarsi della nuova Commissione Europea, la rielezione di Trump negli Stati Uniti), unitamente alla crisi attuale del multilateralismo emersa dai risultati delle ultime COP e dall’inasprirsi di numerose guerre e conflitti nel mondo, tutti fattori che potrebbero ulteriormente ostacolare il già complesso perseguimento dei target stabiliti a livello globale. Appare perciò chiaro che, in alcune fasi critiche come quella odierna, la necessità di momenti di riflessione attenta e condivisa diventa imprescindibile, come del resto lo è la ricerca di nuove idee e strumenti atti a rivedere le politiche per la transizione giusta in Italia e in Europa.

Pertanto, questo workshop ha voluto favorire una discussione e riflessione collettiva – con un taglio fortemente orizzontale e partecipativo -- su come il sistema italiano possa riuscire a coniugare l’imprescindibile perseguimento di obiettivi ambiziosi di neutralità carbonica con l’individuazione dei suoi risvolti sociali e delle modalità per affrontarli secondo il concetto di transizione "giusta", in un contesto internazionale mutevole. Dopo alcuni stimoli iniziali condivisi dagli organizzatori (ASviS e il progetto SPES) o da keynote speakers invitati, i partecipanti – per un totale di 24 – hanno discusso in forma libera, condividendo riflessioni e contribuendo alla creazione di un pensiero collettivo in risposta alle due seguenti domande guida:

  • Se e in che modo il mutato contesto internazionale e italiano influenza i processi di transizione giusta in Italia?

  • Quali strategie, politiche e azioni per la transizione giusta deve implementare il sistema italiano senza rinunciare agli obiettivi di neutralità carbonica e di tutela e ripristino degli ecosistemi?

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13 marzo 2025: Contributo del GdL 7&13 al Rapporto di Primavera ASviS 2025

Il Piano strutturale di bilancio 2025 La Legge di Bilancio 2025 si inserisce in questo quadro, e non in quello decantato dal Governo, che continua a celebrare record immaginari che ignorano le condizioni materiali di vita e di lavoro delle persone. Il Pil cresce dello “zero virgola”, la metà rispetto a quanto previsto nel Piano strutturale di bilancio; la produzione industriale cala da 22 mesi; la domanda interna e l’export ristagnano. Le politiche ambientali passano in seconda linea e vengono messi in discussione gli stessi impegni assunti per il phase-out dei motori endotermici al 2035 e la decarbonizzazione dell’economia al 2050. Il PSB non contiene un solo provvedimento in grado di invertire il declino economico in corso. La legge di bilancio taglia 4,173 M€ alla transizione verde del settore automotive e rifinanzia con 35 G€, fino al 2039, le spese militari e rimodula una spesa di oltre 60 G€, dal 2025 al 2050, per pagamenti di ordinativi già fatti e da fare per equipaggiamenti e apparecchiature di guerra. 

La proposta di dotare l’Italia, come gli altri grandi paesi europei, di una Legge per il clima, capace di parlamentarizzare le pur timide proposte contenute nel PNIEC, non riesce a superare lo sbarramento del governo. Vanno invece considerati con attenzione i numerosi provvedimenti avanzati dal governo in materia di energia, poiché in essi si dissimula il dominio in Italia della componente oil&gas. Quasi sempre privi di investimento, pesano invece non poco sulle modalità di spesa dei fondi PNRR.

I commi da 50 a 53 del Piano prevedono che, con decreto del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica da emanarsi entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge di bilancio, siano stabiliti i termini e le modalità di presentazione di piani straordinari di investimento pluriennale da parte dei concessionari del servizio di distribuzione dell’energia elettrica, al fine di migliorare la sicurezza, l’affidabilità e l’efficienza della rete di distribuzione e conseguire tempestivamente gli obiettivi di decarbonizzazione previsti dagli accordi internazionali e dall’UE per il 2050, e per fare interventi urgenti per il rafforzamento della difesa e della sicurezza delle infrastrutture anche contro i rischi di attacchi informatici e cibernetici. I piani dovranno prevedere interventi per l’adattamento agli eventi climatici estremi, l’aumento della capacità di integrare la generazione distribuita da fonti rinnovabili, il potenziamento delle infrastrutture di rete per adeguarsi all’aumento dei consumi e i sistemi di monitoraggio. Per decreto saranno definiti anche i termini per l’approvazione dei piani di investimento di ARERA ai fini del riconoscimento degli ammortamenti e della remunerazione attraverso l’applicazione del tasso definito per gli investimenti nella distribuzione elettrica. Le eventuali maggiori entrate derivanti da queste disposizioni saranno destinate prioritariamente alla riduzione dei costi energetici delle utenze domestiche e non domestiche. Si tratta di disposizioni positive, ma sarebbe necessaria una ben diversa pianificazione e coordinamento della politica energetica in termini di dislocazione degli impianti, capacità di rete, interconnessioni e sistemi di accumulo per rispondere in modo efficace alle esigenze della transizione, della sicurezza energetica e della riduzione dei costi. Del pari positiva è la esclusione delle spese per gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con caldaie alimentate a combustibili fossili dalle detrazioni delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica.

I commi da 201 a 205 prevedono l’istituzione di un fondo, con una dotazione di 1 M€ per ciascuno degli anni 2025-2026-2027, a sostegno delle piccole e medie imprese fornitrici di beni e servizi connessi al risanamento ambientale o funzionali alla continuazione dell’attività degli impianti dell’ILVA di Taranto. Attraverso il fondo verranno erogati contributi a fondo perduto nel rispetto della normativa europea in materia di aiuti di Stato. A fronte della grave crisi del Trasporto Pubblico Locale, che coinvolge tutte le aree del Paese, dai medi centri urbani alle grandi città, e in modo particolare le aree interne e le periferie, la Manovra di Bilancio espone l’assenza di risorse adeguate e la mancanza di politiche di programmazione. In particolare, manca una visione per la mobilità sostenibile che affronti complessivamente il tema della transizione ecologica nel settore della mobilità e nei trasporti. Le esperienze europee dimostrano che un Trasporto Pubblico efficiente e diffuso è fondamentale per migliorare la qualità della vita delle persone, accorciando i tempi di spostamento e liberando spazi urbani per tutti. Il Fondo nazionale di cui all'articolo 16-bis, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, viene incrementato di 120 M€ per l’anno 2025, ma questo incremento non permetterà neppure il rinnovo del CCNL di settore in maniera tale da recuperare l’inflazione. Di particolare gravità l’approccio totalmente ostile del governo alla decarbonizzazione del trasporto leggero, che da solo è responsabile di oltre il 30% delle emissioni serra e di decine di migliaia di morti ogni anno per effetto del degrado della qualità dell’aria.

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