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La Green economy nel pensiero ambientalista

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La sezione britannica di questa associazione, tra le più attive e decise nei forum internazionali, sponsorizza senza esitazioni la Green economy dedicandosi a campagne di mobilitazione dell'opinione pubblica piuttosto che alla preparazione di studi di settore. Le proposte, che prendono le mosse da un'analisi molto semplice e condivisibile delle ragioni della Green economy, sono essenzialmente le seguenti:

Riforma fiscale ambientale. Aumenti delle imposte sull'inquinamento che dovrebbero essere utilizzati per ridurre le tasse sulle persone fisiche  e sui redditi da lavoro. Le imprese dovrebbero avere agevolazioni fiscali per incoraggiarle ad investire nel risparmio energetico e nell'energia rinnovabile. A livello internazionale occorrono imposte  sulla speculazione finanziaria e su settori finora colpevolmente esentati,  come il trasporto aereo. Questi soldi vanno utilizzati per aiutare i paesi in via di sviluppo a crescere in maniera sostenibile e ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Riforma della spesa pubblica. Tagliare sulla costruzione di strade e spendere di più per i treni, gli autobus, e la mobilità in bicicletta e a piedi. Il governo deve usare la sua influenza per ottenere dalla Banca mondiale e dagli altri organismi che smettano di finanziare  centrali a combustibili fossili e progetti minerari.

Investimenti verdi. Creare una forte Banca nazionale per gli investimenti verdi e per promuovere il finanziamento delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica, non per buon cuore, ma perché il mercato dei prodotti basse emissioni di carbonio avrà un valore di  500 miliardi di dollari all'anno entro il 2050, secondo l'opinione di Sir Nicholas Stern.

Regole chiare. Leggi più severe per limitare il contributo nazionale al cambiamento climatico e le emissioni. Un bilancio globale del carbonio che permetterà di limitare i gas serra che ogni paese riversa in atmosfera. Politiche per promuovere l'uso efficiente delle risorse naturali del pianeta.

Di seguito riportiamo  in lingua originale una bella rappresentazione dei  Friends of the Earth di un mondo green al 2020.

 

La GEC nel post Rio+20 ha rilasciato un position paper dal titolo "Surveying the Green economy landscape post Rio+20". Come è noto la GEC è formata da un gran numero di associazioni formali, informali, NGO etc.

Il documento passa in rassegna il paesaggio della Green economy nel contesto post Rio+20. Piuttosto che prendere spunto dal documento finale di Rio+20, si utilizza un approccio più ampio per documentare l'impostazione politica ed economica in cui La Green economy sta emergendo e si mira a fornire una fotografia equilibrata degli umori attuali mettendo in evidenza le tendenze emergenti e gli sviluppi, nonché le caratteristiche più solide e condivise che compongono il paesaggio della Green economy alla fine dell'anno di Rio+20.  Vengono passate in rassegna tutte le posizioni degli stakeholder più rilevanti a livello mondiale per giungere ad una serie di conclusioni rilevanti.

Sia i concetti che le pratiche della Green economy che quelle della Green growth stanno rapidamente evolvendo. Anche alcuni economisti mainstream, la finanza e le industrie stanno iniziando a vedere la Green growth  come la via d'uscita dalla stagnazione economica e dai bassi tassi di crescita. Tuttavia, i quadri analitici che ispirano le diverse agende variano considerevolmente.

Rio +20 ha dato spazio al gran bisogno di discussione sulla comprensione della Green economy soprattutto per gli aspetti relativi all'equità ed alla lotta alla povertà ed alle politiche di Green economy che possono assicurare queste due finalità strategiche. Si tratta indubbiamente di un allargamento degli orizzonti rispetto alla  definizione più ristretta di Green growth. Il documento finale di Rio+20, inoltre, introduce altre prescrizioni per una maggiore trasparenza delle politiche delle imprese, per  la necessità di sostituire gli attuali modelli insostenibili di produzione e consumo, per andare a valutazioni della ricchezza e del benessere oltre il PIL ed infine per un comune impegno a definire entro il 2015 i nuovi SDG, obiettivi che ad integrazione degli MDG dell'Assemblea ONU del Millennio valgano ad indicare la strada per lo sviluppo sostenibile per tutti i paesi, dai più avanzati ai più poveri. Le discussioni delle Nazioni Unite sulla Green economy dopo Rio+20 potrebbero fornire uno sfondo di vitale importanza per la politica internazionale e la prossima tappa importante sarà il 2015, la revisione MDG e, assolutamente, i negoziati sul clima che ripartono a Doha a novembre 2012. Tuttavia scarseggiano i forum disponibili per la definizione delle politiche economiche globali e per costruire la collaborazione necessaria.

Le agende della Green economy vengono oggi spinte essenzialmente da due altre  forze: i governi che, integrando la crescita verde nei loro piani economici, possono andare oltre la tradizionale politica esclusivamente focalizzata sullo sviluppo degli affari e della tecnologia e le industria e le organizzazioni del settore privato che perseguono le opportunità di mercato veicolate dalla transizione green. La necessità di una collaborazione multi-stakeholder non è mai stata più pressante. Data la velocità con cui l'agenda è in movimento, è fondamentale che tutti i gruppi operino insieme per arrivare alla più ampia comprensione della Green economy  come uno strumento che affronta apertamente la povertà e l'ingiustizia e che protegge gli ecosistemi naturali.

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La Fondazione Heinrich Böll non è affatto amichevole verso la linea della Green economy. Nella Fondazione operano ecologisti di grande rilievo, a cominciare da Wolfgang Sachs, che per gli ecologisti italiani è un punto di riferimento. Tuttavia le analisi portate avanti dalla Fondazione sono talmente rigorose e profonde da costituire un prezioso punto di riferimento anche per chi come noi ha sulla Green economy opinioni diverse. In particolare va segnalato uno studio del maggio del 2012, precedente Rio+20, che esamina a fondo tutte le tendenze e le proposte in campo sulla Green economy. Si tratta della "Critique of the Green Economy. Toward Social and Environmental Equity" firmata tra gli altri proprio da Wolfgang Sachs.

Il ragionamento del Rapporto si svolge a partire dalla considerazione che i limiti del pianeta richiedono ormai passi coraggiosi e radicali verso una trasformazione globale. La Green economy  è oggi proposta come strumento chiave per andare avanti verso  "il futuro che vogliamo" secondo lo slogan di Rio +20, dove questa idea è stata introdotta autorevolmente nei negoziati internazionali per la prima volta. Tuttavia quello che è o dovrebbe essere la Green economy resta ancora oggetto di accesi dibattiti.

Il documento della Fondazione Böll definisce i principi fondamentali della Green economy, che invariabilmente mette l'economia al centro di ogni discussione sulla sostenibilità. è vero che noi potremo salvare il pianeta solo lavorando con l'economia, piuttosto che contro di essa. Ma l'economia è veramente il punto focale di tutte le soluzioni? L'obiettivo di questo Studio è di incoraggiare un esame critico dei concetti esistenti e di delineare le alternative. La tecnologia e l'efficienza svolgono un ruolo di primo piano in tutti gli approcci alla Green economy. Ma, sfortunatamente, non tutto ciò che è verde ed efficiente è anche ambientalmente sostenibile e socialmente equo. Abbiamo bisogno di efficienza, abbiamo bisogno di risparmiare risorse, ma abbiamo anche bisogno di accontentarci di meno se le risorse della Terra e la sua atmosfera devono essere sufficienti per tutti sul pianeta e se deve essere possibile una vita dignitosa e senza privazioni . Efficienza,  consistenza, sufficienza e diritti  umani sono gli elementi di una Green economy fatta di prosperità combinata con la sobrietà.

In data precedente a questo Studio la Presidente della Fondazione Barbara Unmüßig aveva pubblicato un articolo dal titolo "The Green Economy – The New Magic Bullet?" con un impianto concettuale simile al precedente ma maggiormente orientato all'analisi delle controversie che erano allora in atto intorno alla futura conferenza di Rio+20. Ancorché datato, questo articolo dà un contributo di chiarezza alla comprensione delle proposte centrali della Green economy, quella dell'UNEP, cui si rimprovera la mercificazione della natura e quella dell'OECD cui si fa carico di insensibilità in fatto di equità e di diritti umani. Al lettore di oggi non sfugge che anche il pensiero della presidente, tedesca ed eurocentrica, si appuntava sull'ipotesi che a Rio si sarebbe discussa essenzialmente la proposta europea di una roadmap per la Green economy. Sappiamo che non è andata così e che ha prevalso l'opposizione della Cina e dei sudamericani ad un'Agenda comune per lo sviluppo, eguale per tutti. La palla è così tornata in campo e la partita si giocherà sugli SDG, i Sustainable Development Goals, un'idea "di ricambio" dei sudamericani che andrà a scadenza entro il 2015, come la trattativa sulla lotta ai cambiamenti climatici.

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La Legambiente è da sempre un sostenitore della transizione verso la Green economy come passo obbligato verso lo sviluppo sostenibile e come chiave per il superamento della crisi economica oltre che ambientale e occupazionale. Ne parla in maniera convincente il Presidente Cogliati Dezza in un filmato "Rischi ed opportunità della Green economy".

La Green economy coniuga l’esigenza di ridurre le emissioni di gas serra con la creazione di nuove opportunità di impresa e la domanda di prodotti con caratteristiche di sostenibilità radicalmente diverse rispetto al passato. Include la generazione di energie rinnovabili e il risparmio energetico che scaturisce dal miglioramento dell’efficienza. Ma tocca anche settori tradizionali come la produzione di automobili, con la forte riduzione nelle emissioni di anidride carbonica, l’introduzione di combustibili alternativi come il metano e l’idrogeno, la diffusione delle auto elettriche.

Alla Green economy si possono attribuire nel 2010 nuovi posti di lavoro,  3,5 milioni solo in Europa, e tutti gli osservatori ritengono che questa tendenza potrà incidere positivamente sull’economia mondiale. Esiste infatti una domanda crescente di beni e servizi sostenibili, che si abbina all’ingente investimento di aziende e istituzioni nella lotta al global warming. Questo fa della Green economy uno dei pochi comparti sostanzialmente immuni dalla crisi economica. Puntare sulla Green economy è un imperativo condiviso e questa consapevolezza sta iniziando a diffondersi anche laddove da sempre esistevano resistenze fortissime, a cominciare dalla Cina. Occorre sottolineare che qualunque sia il paradigma economico che si vuole adottare l’economia ecologica non ha e non può avere un cuore anti-industrialista nonostante ne riconosca i danni fatti nel passato e nel presente. La Green economy quindi non è la fine dell’industria bensì un cammino di riconversione che conduce alla sostenibilità ambientale e sociale dell’industria. La ricetta è nota: bisogna aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, il sostegno alle aziende che investono in energia e prodotti verdi e concedere maggiori incentivi ai consumi green. Le ragioni più vere dell’ambiente devono coincidere con quelle dello sviluppo e della modernità. Il sogno verde che sta attraversando l’economia mondiale fiaccata dalla recessione, insomma, non è un’ipotesi ma una realtà che genera profitti.

Non v’è dubbio che la testa pensante in materia di Green economy è la Fondazione Symbola, cui Legambiente ha dato infiniti contributi di idee e di buone pratiche,  che pubblica annualmente il rapporto Green Italy. Nell’edizione  2012  si evidenzia come la profondità della crisi abbia indotto l’intero sistema economico italiano a un radicale ripensamento del modello di sviluppo in direzione della sostenibilità, di una maggiore innovazione, della qualità e dell’efficienza. Con una valutazione forse un po’ ottimistica, basta infatti un solo addetto classificabile come titolare di un green job, il Rapporto valuta che un’impresa su quattro (il 23,6%, 360mila imprese, oltre 144mila industrie e circa 214mila servizi) ha realizzato negli ultimi tre anni, o realizzerà entro quest’anno, investimenti in prodotti e tecnologie che assicurano un maggior risparmio energetico o un minor impatto ambientale. Tra le nuove imprese (circa 103mila) individuate nei primi sei mesi del 2012, il 14% ha già realizzato nella prima parte dell’anno o realizzerà entro il 2013 investimenti green.

Le declinazioni della Green economy italiana vanno dalla chimica alla farmaceutica, dal legno-arredo all’high tech, dalla concia alla nautica, passando per l’agroalimentare, l’industria cartaria, tessile, edilizia, minerali non metalliferi, per la meccanica, l’elettronica e i servizi. Si aggiungono i più classici settori delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, del ciclo dei rifiuti e della protezione della natura. In sostanza tutti i settori della nostra economia, compresi quelli più maturi e tradizionali.

La  Green economy comporta la riconversione anche dei comparti tradizionali dell’industria italiana di punta. Il Paese incrocia le vocazioni delle comunità con la tecnologia e la banda larga, la filiera agroalimentare di qualità legata al territorio con il made in Italy e la cultura. Circa il 30% delle assunzioni non stagionali programmate complessivamente dalle imprese del settore privato per il 2012 è per figure professionali legate alla sostenibilità. La rivoluzione verde già oggi interessa il 23,6% delle imprese industriali e terziarie con almeno un dipendente che tra il 2009 e il 2012 hanno investito o investiranno in tecnologie e prodotti green. Le imprese della green Italy sono quelle che hanno la maggiore propensione all’innovazione: il 37,9% delle imprese che investono  nella sostenibilità hanno introdotto innovazioni di prodotto o di servizio nel 2011, contro  il 18,3% delle imprese che non investono green. Idem dicasi per la propensione all’export: il 37,4% delle imprese green vanta presenze sui mercati esteri, contro il 22,2% delle imprese che non investono nell’ambiente.

Per far ripartire il Paese non basta fronteggiare la crisi. Affrontare i nostri mali antichi: il debito pubblico, l’illegalità e l’evasione fiscale, le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, il sud che perde contatto, una burocrazia speso soffocante. Serve una visione in grado di mobilitare le migliori energie per affrontare le sfide del futuro. È necessario difendere la coesione sociale non lasciando indietro nessuno, e scommettere sull’innovazione, sulla conoscenza, sull’identità dei territori: su una Green economy tricolore che incrocia la vocazione italiana alla qualità e si lega alla forza del made in Italy. È necessario cambiare partendo dai talenti dell’Italia che c’è.

La Green economy può rappresentare una chiave strategica per superare questa lunga crisi, uscendone più forti e meglio in grado di costruire un futuro diverso, sostenibile e più ricco di possibilità. Grazie ad un modello di sviluppo che si fonda sui valori tradizionali dei territori e dei sistemi produttivi italiani di piccola impresa: qualità, innovazione, eco-efficienza, rispetto dell’ambiente. Una ricetta che oggi dimostra di saper sposare i valori etici alla competitività e che ha il grande merito di favorire la coesione tra i territori.

Il modello green individuato dalla Fondazione si basa sui seguenti paradigmi:

Logica di rete. Nello sviluppo di comportamenti virtuosi in campo green una leva sempre più utilizzata dalle imprese è quella dello sviluppo di una progettualità comune, secondo una logica a rete e di integrazione di filiera.

Propensione all’export. La Green economy è un investimento strategico anche sul fronte della competitività, prova ne sia la maggiore presenza sui mercati esteri delle imprese che puntano sulla sostenibilità. Ben il 37,4% delle imprese che investono in tecnologie green vantano una presenza sui mercati esteri, contro il 22,2% di quelle che non investono.

Propensione all’innovazione. La competitività richiede anche una buona dose di capacità innovativa. Anche su questo fronte le aziende che investono green hanno una marcia in più: il 37,9% delle imprese che realizzino investimenti green hanno introdotto nel 2011 innovazioni di prodotto o di servizio, a fronte del 18,3% riferito alle altre.

I settori della green Italy. Questo approccio strategico in risposta alla crisi è più diffuso nella manifattura, dove la quota di imprese che realizzano investimenti green supera il 27% a fronte di un più ridotto 21,7% nel terziario. Tra le attività manifatturiere, e alle attività sostanzialmente connesse all’energia (prodotti petroliferi e public utilities), spiccano la filiera della gomma e della plastica, la lavorazione dei minerali non metalliferi, quelle della carta e della stampa, della meccanica, mezzi di trasporto, dell’elettronica e strumentazione di precisione, dove la quota di imprese che realizzano investimenti green va oltre la media, con una punta record del 41% nel caso del comparto chimico-farmaceutico.

Geografia dell’economia verde.  La classifica regionale per quota delle imprese green è guidata dalla Lombardia (69 mila imprese), seconda posizione per il Veneto con 34 mila, terza per il Lazio con 33 mila. Seguono Emilia Romagna con 30 mila imprese, Campania con  26 mila, Toscana con 24 mila, Piemonte  con 23 mila come la  Sicilia, poco più della Puglia, infine  le Marche con 10 mila.

Occupazione verde. La green economy sembra possedere una marcia in più e tenere meglio ai venti della crisi, tanto che il 38,2% delle assunzioni complessive programmate (stagionali inclusi) da tutte le imprese italiane dell’industria e dei servizi per l’anno in corso si deve alle aziende che investono in tecnologie green. Guardando ai numeri assoluti, ciò significa che sul toltale di oltre 631 mila assunzioni complessive programmate, oltre 241 mila sono ascrivibili ad imprese che credono nella Green economy. L’imprenditoria legata all’ambiente dimostra di avere una dinamicità in campo occupazionale: delle 358 mila imprese che hanno investito negli ultimi tre anni - o lo faranno quest’anno - in tecnologie green, ben il 20% prevede nel 2012 di assumere, laddove per le altre imprese non investitrici la quota quasi si dimezza. (12,6%). Inoltre circa il 30% delle assunzioni complessive non stagionali programmate per il 2012 è per figure professionali legate alla sostenibilità.

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2013 Gianfranco Bologna del WWF Italia (fonti varie). Mentre la crisi persiste, sembra diffondersi, ancora con grande fatica e in forme e modi diversi, l'im­postazione di una Green Economy che si presenta come un'alternativa allo status quo attuale. L'enfasi predominante che viene data alla Green Economy è basata su due aspetti centrali: uno spostamento degli investimenti da attività produttive dannose all'ambiente (ad esempio l'utilizzo dei combustibili fossili) a quelle più virtuose (ad esempio le energie rinnovabili) ed una maggiore efficienza nell'utilizzo di energia e materie prime in tutti i processi produttivi. Si tratta di due aspetti molto importanti e significativi nelle politiche correnti che devono certamente essere affrontati e risolti ma che devono essere considerati delle componenti di una Green Economy, non certo l'essenza centrale della stessa. Impostare una Green Economy significa impostare una nuova economia che sia basata almeno sui seguenti punti fondamentali:

1.1. Gli straordinari sistemi naturali (la ricchezza degli ecosistemi e della biodiversità presente sul pianeta) ed i servizi che essi offrono gratuitamente e quotidianamente allo sviluppo ed al benessere delle società umane costituiscono la base essenziale dei processi economici. Il capitale naturale non può essere di fatto "invisibile" all'economia come avviene attualmente, ma è centrale e fondamentale per l'umanità, dobbiamo quindi "mettere in conto" la natura, riconoscerle un valore. La contabilità economica deve essere assolutamente affiancata da una contabilità ecologica. Il valore del capitale naturale deve influenzare i processi di decision making politico-economici.

2 2. Il sistema economico non può costituire il sistema centrale del nostro mondo come oggi avviene. E' invece un sottosistema dell'ecosistema globale del pianeta e non può quindi essere gestito come se fosse indipendente da esso. L'umanità deriva e dipende dalla natura, ne fa parte, è costituita dagli stessi elementi fondamentali che compongono l'intero universo, la Terra e la vita, non può vivere al di fuori di essa.

3. I modelli economici perseguiti dalle società umane non possono quindi operare al di fuori dei limiti biofisici che i sistemi naturali presentano. Le capacità rigenerative e ricettive dei sistemi naturali rispetto alla continua e crescente pressione umana presentano dei limiti evidenti. La conoscenza scientifica ha ormai fatto avanza­menti significativi in questo ambito e si stanno approfondendo i cosidetti Planetary Boundaries (i confini planetari che l'intervento umano non dovrebbe sorpassare, pena il prodursi di effetti disastrosi sull'intera umanità). 

3 4. I modelli economici dovrebbero perseguire modelli di produzione e consumo che imitino  i meccanismi della natura e della vita (che ha ormai 3.8 miliardi di anni di esperienza sulla Terra), attuando una vera e propria Industrial Ecology basata sulla biomimesi, che consenta, per quanto possibile, di trasformare gli attuali processi produttivi lineari, alla fine dei quali si produce lo scarto, l'inquinamento, in processi circolari come quelli che hanno, da sempre, luogo nei processi naturali.

5.   Nelle politiche attuative di una Green Economy occorre ridurre i livelli di consumo e migliorarne la qualità, in particolare nei paesi dove si consuma il superfluo.

Ma cosa significa veramente green economy? È un ennesimo aspetto di quello che, sin dalla fine degli anni Ottanta, si definiva “greenwashing”, e cioè un tentativo di far credere che una “tinteggiatura” di verde delle attività produttive delle corporation – ben divulgata dal marketing e dalla comunicazione – potesse renderle più sostenibili per i sistemi naturali? E’ un semplice spostamento di investimenti da attività chiaramente negative per la salute e la vitalità dei sistemi naturali e sociali, come l’utilizzo dei combustibili fossili, ad altre più sostenibili come l’uso delle energie rinnovabili, del tipo eolico e fotovoltaico? Oppure è l’impostazione di una nuova modalità di fare economia che dia finalmente valore al capitale naturale e che ne faccia discendere prassi operative conseguenti?

A monte di questo dibattito è fortemente presente la straordinaria importanza che le culture delle nostre società attribuiscono alla continua crescita materiale dell’economia che, non a caso, ha prodotto anche modifiche dello stesso termine green economy in green growth o green growth economy.

E’ di tutta evidenza che l’impostazione dell’economia del futuro non può assolutamente essere la normale prosecuzione di quella attuale. Come ci ricordano Rockstrom e Sachs in un intervento sull' Agenda per lo sviluppo post-2015 delle Nazioni Unite, (> leggi il Rapporto) se il reddito dei paesi attualmente a livello medio e basso dovesse salire a quello dei paesi ad alto reddito (che si aggira intorno ai 41.000 dollari pro capite annui) l’economia globale dovrebbe crescere di 3,4 volte passando dagli attuali 87.000 miliardi di dollari a 290.000 miliardi di dollari annui. Le possibilità rigenerative e quelle ricettive dei sistemi naturali, per fare fronte sia all’utilizzo di risorse sia alla produzione di scarti da parte dei metabolismi delle società umane sono limitate, e proseguire su questa strada è impossibile. Ecco quindi che la green economy dovrebbe muoversi nell’ambito di una complessiva reimpostazione dell’attuale sistema economico che certamente non può considerare la crescita materiale e quantitativa come un obiettivo futuro perseguibile.

2012 Sezione inglese del WWF: "Building green economies. Creating prosperity for people and planet". Il Rapporto segna una decisa apertura verso le Green economies come si legge nel messaggio di apertura: " The transition to green economies is essential both to protect nature for its own sake, and to maintain the conditions required for humanity to thrive". Le parole Economia  e Ecologia condividono la stessa radice del greco parola, oikos, che significa casa.Come suggeriscono i nomi, i due campi sono strettamente collegati, ma per troppo tempo economisti e ambientalisti non sono riusciti a trovare un linguaggio comune. L'agenda della Green economy mira a colmare questa lacuna. Essa affronta il nodo centrale della sfida politica ed economica  dei nostri tempi che è anche una  opportunità imperdibile per tornare a vivere entro i limiti delle nostre risorse ed entro le frontiere ecologiche planetarie, e per tentare l'eliminazione della povertà e il miglioramento del benessere per tutti.

Tuttavia, la stagnazione economica e l'instabilità in molte parti del mondo, compreso il Regno Unito e gli altri paesi europei, stanno rafforzando la opposizione alla politiche ambientali che alcuni percepiscono come la causa che impedisce la ripresa. Altri attribuiscono la colpa dei nostri problemi attuali alla sola questione della crisi  economica ignorando le criticità sociali e ambientali. Questi diversi punti di vista condividono la convinzione di fondo che ci sia un conflitto fondamentale tra l'economia e l'ambiente che non può essere risolto. Il ostro parere è che abbiamo l'imperativo di praticare un approccio alternativo che riconosce che la prosperità economica e il benessere umano dipendono essenzialmente dallo stato di salute del mondo naturale.

La transizione verso la Green economy è essenziale sia per la protezione della natura per se stessa, che per mantenere le condizioni necessarie perché l'umanità possa prosperare. La scienza ci dice che abbiamo bisogno di niente di meno che di una profonda trasformazione delle nostre economie, delle politiche, delle tecnologie e delle modalità di produzione e consumo.

In occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile a Rio nel giugno 2012 si è manifestata nella assemblea plenaria una sostanziale mancanza di volontà politica e di leadership . Ma gli eventi paralleli al Summit, sono stati ricchi di idee, di energia e d'impegno delle comunità, delle città e delle aziende che stanno già iniziando a costruire un mondo sostenibile. Il Rapporto del WWF inglese illustra le prospettive delle economie verdi - perché c'è bisogno di loro, quello che sono, e come arrivarci - e mostra come il WWF sta lavorando in tutto il mondo per fare il passaggio alle economie verdi. Abbiamo anche da suggerire alcune azioni prioritarie che i governi  dovrebbero adottare per promuovere le  innovazioni sostenibili che consentano di attuare le condizioni per lo sviluppo sia delle aziende che delle nostre comunità.

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Comitato Scientifico della

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